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Blog @Slownews

Kiev val bene una Bomba

Ugo Tramballi
21 gennaio 2022

Preso dalle tante ansie sanitarie, climatiche, politiche ed economiche, il 3 gennaio il mondo avrebbe dovuto trarre un grande sospiro di sollievo. “Affermiamo che la guerra nucleare non può essere vinta e (dunque) non deve mai essere combattuta”, hanno messo per iscritto i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, nonché cinque potenze nucleari storiche.

Dovendo comunque giustificare l'esistenza di 8mila testate atomiche nel mondo, i cinque hanno spiegato che quelle bombe “devono servire per scopi difensivi, per scoraggiare aggressioni e prevenire la guerra”. Mi viene in mente “Ho visto un re” cantata da Enzo Jannacci che diceva “ah beh, sì beh, dai dai, conta su...”.

I firmatari Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia non si sono inventati nulla di nuovo: hanno solo ribadito la dichiarazione allora molto più pacificamente rivoluzionaria che Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov fecero nel 1985: “Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”.

La vera differenza non è tanto che negli arsenali di allora ci fossero 61.662 testate, ma che Reagan e Gorbaciov volessero sinceramente liberarsene. Al vertice di Reykjavik del 1986 arrivarono a un passo da quel risultato. Oggi sta accadendo il contrario: tutti continuano a riarmare. Usa, Russia e ora anche Cina stanno rapidamente modernizzando le loro bombe e le capacità dei missili che le trasportano.

Usa e Russia principalmente aggiornano le loro armi, i cinesi le aumentano anche: nella lunga marcia verso la qualifica di superpotenza, sempre più vicina alla meta, Pechino ambisce alla “parità nucleare” con Washington e Mosca che possiedono il 90% delle 8mila testate.

Nonostante la crisi ucraina, l'ambasciatore russo all'Onu ha firmato la lettera/giuramento sul ripudio della guerra nucleare. Ma proprio nel contesto delle crescenti tensioni con l’Occidente, altri russi più importanti di lui hanno fatto capire che Mosca potrebbe dispiegare armi nucleari a ridosso dei paesi Nato. Ci avevano già provato Nikita Khrushchev e Fidel Castro nel 1962 con qualche missile a Cuba, a 150 chilometri dalle coste Usa oltre lo stretto della Florida: fu il momento più vicino a una guerra termonucleare nella storia umana.

Della modernizzazione militare cinese e russa non sappiamo nulla o quasi, a parte gli annunci quando viene lanciato il razzo iper-veloce-più-veloce-della-luce. Quella americana è un po' più trasparente. Alla fine del suo mandato Barack Obama fu costretto dalle pressioni del Pentagono e dei repubblicani ad approvare un investimento trentennale da 1,2mila miliardi di dollari che smentiva le promesse di riduzione del nucleare. Ma il limite più grave degli americani è la “first use ambiguity”, la mancanza di chiarezza sull'impegno a non usare per primi la bomba in caso di conflitto. Entro febbraio Joe Biden dovrebbe presentare la sua riforma alla “postura nucleare” Usa: rifiuto di usare per primi l'arma e riduzione del ruolo dell'atomica nella strategia militare nazionale. Ma, ancora, il Pentagono insiste per mantenere l’ambiguità e l’aggressività della postura ora in vigore: lo richiederebbe la doppia minaccia cinese e russa, mai così alta.

L'ex senatore democratico Sam Nunn, protagonista della distensione nucleare negli anni '80 e '90, già due anni fa scriveva che “Stati Uniti e Russia sono in uno stato d'instabilità strategica”. La minaccia di un'invasione dell'Ucraina ha ulteriormente aggravato lo stato delle cose. Nei momenti più rilassati della Guerra Fredda – che dopo la crisi dei missili di Cuba del '62 furono in realtà ben più lunghi di quelli problematici - i negoziatori s'incontravano a New York, Ginevra, Vienna. Ai tempi di Sam Nunn c'era il reciproco riconoscimento degli interessi vitali, le linee rosse da non superare erano chiare e i mezzi per ridurre il rischio d'incidenti sperimentati.

Il lungo cammino della riduzione degli armamenti mostra invece un quadro progressivamente allarmante. Nel 2002 gli Usa rompono il trattato sul bando dei missili anti-missili strategici (firmato nel 1972); nel 2007 la Russia sospende il trattato sulle forze convenzionali in Europa (1990); nel 2019 Washington si ritira dagli accordi sulla riduzione delle forze nucleari di media gittata (1987); dopo molte fatiche, il New Start, il trattato del 2010 sulla riduzione delle armi strategiche, è stato rinnovato per altri cinque anni: ma i missili strategici – quelli che volano da un continente a un altro oltre l'atmosfera – sono stati superati da strumenti più piccoli, agili, veloci ed efficaci.

La distensione nucleare non esiste più, russi e americani non hanno più credibili canali di comunicazione. E in Europa è in corso una crisi politica e militare come non si vedeva dalla II Guerra Mondiale. A Stati Uniti e Russia è rimasto un solo primato positivo: sono gli unici due paesi di una certa importanza geopolitica a non essersi mai scontrati in un conflitto, a parte la Guerra Fredda. “Parigi val bene una messa” ammise l'ugonotto Enrico IV, convertitosi al cattolicesimo per diventare re di Francia. Ma ancora non sappiamo fino a che punto Vladimir Putin intenda arrivare per avere Kiev.

 

Foto di U.S. Government, usata sotto licenza CC BY 2.0

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Russia Ucraina Stati Uniti Crisi Russia Ucraina
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AUTORI

Ugo Tramballi
ISPI Senior Advisor

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