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Commentary
Kirghizistan: le prime elezioni presidenziali libere in Asia Centrale?
Aldo Ferrari
|
Frank Maracchione
12 ottobre 2017

Il 15 ottobre il popolo kirghiso sarà chiamato ad eleggere la più alta figura dello Stato in quella che molti considerano una delle prime reali competizioni elettorali del paese e di tutta la regione centroasiatica. La riforma costituzionale del 2010, che vede nell’attuale Presidente Almazbek Atambayev il suo maggiore sostenitore, ha trasformato il paese in una repubblica parlamentare e ha imposto il limite di un mandato alla carica di Presidente della Repubblica, a cui è stato anche revocato il potere di sciogliere le camere legislative. Di conseguenza, l’attuale leader kirghiso non potrà ricandidarsi alle elezioni del 2017. Per di più, in un discorso pubblico tenuto alla fine di luglio, Atambayev ha dichiarato di non aver individuato un proprio successore e che “il popolo dovrebbe scegliere autonomamente il proprio leader”. Un’affermazione che suona comune nel dibattito politico di un paese democratico, ma rivoluzionaria in un paese dell’Asia Centrale post-sovietica.

Dei 59 candidati iniziali per le elezioni presidenziali, 13 hanno raggiunto i requisiti necessari alla candidatura. Le ragioni per l’esclusione sono delle più diverse. Due dei candidati esclusi erano già in prigione al momento della candidatura. Si tratta di Omurbek Takebaev, leader del Partito Ata Meken arrestato nel febbraio 2017 per corruzione e abuso d’ufficio e Sadyr Japarov, ex deputato dell’Ata Zhurt fuggito dal paese nel 2013 perché implicato in un violento scontro con la polizia nella città di Karakol. Tra le candidature ritenute valide dalla commissione elettorale, spiccano quattro figure di punta della politica kirghisa: Omurbaek Babanov, Sooronbai Jeenbekov, Tamir Sariev e Bakyt Torobayev. In particolare, le candidature più influenti, quella di Babanov per il Partito Respublika e quella di Jeenbekov per il Partito Socialdemocratico, sono sintomo di una vera competizione tra il partito di governo e l’opposizione. I due candidati possono entrambi contare su una base parlamentare: nelle elezioni politiche del 2015, considerate uniche nel loro genere in Asia Centrale per livello di libertà di voto da Osce e Consiglio d’Europa, i due partiti di riferimento si sono posizionati al primo e al secondo posto tra i sei che hanno superato la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento.

Il clima elettorale nel paese è caldo. Il Presidente Atambayev, che ha dichiarato il suo sostegno per Jeenbekov, ha messo in chiaro con parole poco concilianti che il suo governo è ancora in carica e che eventuali azioni di disturbo del processo elettorale verranno punite duramente. Le parole del presidente possono sembrare intimidatorie in un contesto di normale confronto democratico, ma suonano comprensibili in un paese nel quale proprio delle elezioni hanno acceso la miccia di due rivoluzioni che hanno deposto le precedenti leadership del paese. Nel suo blog Qishloq Ovozi, Bruce Pannier, un autorevole esperto di Asia Centrale, racconta come i due candidati principali siano realmente figure opposte. Jeenbekov è un candidato conservatore di più di sessant’anni, una figura che permetterebbe ad Atambayev di continuare ad influenzare le sorti del paese. Babanov, al contrario, più giovane, anche da primo ministro era stato politicamente attivo e indirizzato al cambiamento. Jeenbekov può permettersi di attingere dai sostenitori di Atambayev, tra i quali gli emigrati kirghisi e la popolazione uzbeka che hanno apprezzato il miglioramento dei rapporti con Russia e Uzbekistan, nonché dalle risorse che il supporto presidenziale può garantirgli. Babanov, oltre a possedere una buona copertura finanziaria, sembra aver incassato l’appoggio di alcuni lobbisti russi che vedono nella sua candidatura dei benefici personali. L’elezione di Jeenbekov garantirebbe stabilità, ma la prosecuzione del controllo dell’ex Presidente sul Kirghizistan; la vittoria di Babanov darebbe invece, qualora tale risultato venisse accettato dall’attuale elite, un segnale importante di rafforzamento della libertà politica all’interno del paese.

Queste elezioni potrebbero quindi costituire un altro passo verso una democrazia multipartitica e una successione non-violenta alla carica di Presidente della Repubblica. Nonostante la strada per la democrazia in Kirghizistan sia ancora lunga, il solo fatto che si possa parlare di una competizione elettorale in questi termini dimostra che un cambiamento reale è davvero possibile nel paese. In questo senso queste elezioni potrebbero segnare una pagina storica non solo per il Kirghizistan, ma anche – in prospettiva – per l’intera Asia Centrale.

 

Aldo Ferrari, Head dell'Osservatorio ISPI Russia, Caucaso e Asia Centrale

Frank Maracchione, Università di Bologna

 

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Elezioni democrazia Kirghizistan Asia
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AUTORI

Aldo Ferrari
Head, Osservatorio Russia, Caucaso e Asia centrale, ISPI
Frank Maracchione
Università di Bologna

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