Guardando oggi l’Afghanistan con la prospettiva dei vent’anni trascorsi emerge come la capacità comunicativa dei talebani si sia evoluta nel tempo, ben adeguandosi alle dinamiche sul campo di battaglia, ai risultati progressivamente ottenuti e, infine, alla vittoria che ha portato alla conquista del potere con la caduta della capitale Kabul e il dissolvimento dello Stato afghano. Una capacità che ha saputo trasformarsi e imporsi all’interno della galassia insurrezionale afghana, pur rimanendo a margine dell’informazione generalista e dunque di un pubblico più ampio, almeno fino a quando i riflettori mediatici sono tornati sull’Afghanistan dopo anni di distrazione da una guerra che per gli stessi Stati Uniti era “dimenticata”.
Con Kabul in mano talebana, a partire dallo scorso agosto si sono moltiplicati gli account Twitter dei vari comandanti militari, oggi promossi ministri o governatori dell’Emirato islamico. Ma sino a poco tempo fa erano solamente due i talebani autorizzati a comunicare attraverso i social network: Qari Yossuf Ahmadi e Zabihullah Mujaheed. Il secondo, assurto alle cronache come vice ministro della comunicazione del sedicente Emirato, è molto noto ai neofiti della comunicazione talebana; il primo, invece, seguito prevalentemente dai reduci dell’informazione e dell’analisi che ne leggono e studiano i comunicati fin dal 2005, prima attraverso il sito Web ufficiale dei talebani e poi, dal 2006, anche attraverso Twitter.
Zabihullah e, in misura minore, Ahmadi hanno visto crescere i loro follower virtuali da poche migliaia a centinaia di migliaia nell’arco di poche settimane. Un confronto tra i vecchi account (oggi non più in uso) e quelli attuali (attivati rispettivamente nel 2017 e nel 2019) mette in evidenza un radicale cambio di registro comunicativo, nei termini utilizzati e nella platea a cui tali messaggi sono rivolti. Dalla violenta contabilità dei nemici morti e l’esaltazione del martirio attraverso gli indiscriminati attacchi suicidi – messaggi rivolti alla galassia jihadista internazionale – sono passati recentemente a testi concilianti, dall’effetto seduttivo, ammaliante nei confronti di un pubblico occidentale, tra i quali molti giornalisti che per questioni anagrafiche non hanno seguito le vicende conflittuali nei due decenni trascorsi e si sono affacciati all’Afghanistan solo di recente. Un pubblico, per lo più a digiuno della strategica propaganda e delle attività terroristiche condotte da loro condotte, che ha così cominciato a guardare ai “nuovi talebani” (in realtà gli stessi da vent’anni) come a soggetti con cui poter dialogare e concedere aperture sempre più ampie, dando così ragione a quella strategia comunicativa volta, non tanto a dimostrare un cambio della loro visione dell’Occidente, della società e di ciò che è diverso dal modello arcaico di Emirato islamico talebano, bensì a condizionare attraverso un’artefatta disponibilità, moderazione e accondiscendenza, l’opinione pubblica occidentale, portandola a guardare ai talebani per come questi vogliono mostrarsi alla Comunità internazionale e non per ciò che in effetti sono.
E non è un caso, bensì una scelta razionale e ben pianificata, che gli account originali di Zabihullah e Ahmadi non siano più disponibili, così come il sito Web del movimento sia stato censurato di tutte quelle informazioni particolarmente “scomode” e lontane dall’immagine pulita dei talebani oggi che, se lette da quell’ampio pubblico che guarda loro con interesse, definisce un’immagine opposta a quella proposta nell’ultimo periodo e che è funzionale ad ottenere un riconoscimento internazionale
Un ulteriore rischio a cui stiamo andando incontro in virtù di un’errata percezione della realtà, è la distorsione dell’immagine dell’intero paese e non solo dei talebani. Chi oggi si approccia all'Afghanistan e lo fa osservando il ritorno dei talebani come un naturale proseguimento di un processo sociale diffuso e condiviso, commette l'errore di proiettare la propria percezione (spesso indotta, come abbiamo visto, dagli stessi talebani) su ciò che osserva. La stessa idea di “realtà tribale” va archiviata una volta per tutte, con buona pace di chi, forte di una letteratura antropologica e sociologica che risale agli anni 60 e 70, utilizza quel modello per descrivere gli equilibri e le scelte di gruppi etno-politici che in realtà seguono più spinte locali e regionali che non tribali. Il risultato è quello di veder descritto in un crescente numero di articoli e reportage giornalistici un Paese che non esiste, una società lontana dalla realtà.
Decenni di guerra hanno invece plasmato, trasformato le realtà afghane, perché di realtà al plurale si tratta: non esiste "un" Afghanistan, né esistono molteplici e sono tutti in un rapporto di competizione collaborativa permanente quanto variabile. È per questo che si rende necessario utilizzare un approccio storico per analizzare le attuali vicende afghane. Occorre leggere la caduta dello Stato afghano, la presa del potere da parte dei talebani e, ancora, i legami con al-Qa'ida e la competizione tra i gruppi terroristi regionali e globali, come elementi di uno scenario nuovo, ma con radici che affondano nei conflitti e nelle trasformazioni della società degli ultimi quarant’anni.
Recentemente si è imposta la narrativa per cui i talebani sarebbero espressione della società afghana con stesse visioni, mentalità e approcci. Se questo può essere in parte vero per alcune delle popolazioni rurali e periferiche – in primis quelle pashtun –, non lo è però in senso più ampio: la società afghana, rurale e pashtun, è tanto più tradizionalista quanto più ci si allontana dal centro – a conferma di una naturale contrapposizione centro-periferia – e coerente con il codice comportamentale pashtunwalì a cui si sovrappone un’interpretazione restrittiva dell'Islam a cui fa ancora da contorno una marginale componente sufi, un tempo rilevante.
I talebani invece sono fondamentalisti frutto della tradizione e dell’interpretazione riformista deobandi (assente in Afghanistan) che si è evoluta (ed involuta) in Pakistan negli ultimi quarant’anni. Questo è un distinguo importante per interpretare correttamente la realtà locale che solo alcuni aspetti più esteriori possono accomunare, tra i quali il tema molto caro all’opinione pubblica occidentale del ruolo della donna nella società che per i talebani, così come per i tradizionalisti, rimane subordinato a quello dell’uomo.
E partendo da questa riflessione che l’opinione pubblica occidentale, attraverso il valido lavoro di ben preparati giornalisti e di analisti sul campo, potrà avere una visione complessiva delle dinamiche conflittuali dell’Afghanistan contemporaneo, che non è quello dei talebani i quali rappresentano solamente una minima parte della società afghana.