Isole Salomone: rivolta anti-cinese | ISPI
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Le rivolte

La crisi alle Salomone e l'ombra della Cina

30 novembre 2021

Almeno cinque vittime nelle rivolte di piazza a Honiara. Povertà, corruzione e ingerenze cinesi tra i motivi all’origine della protesta.

 

Anche le isole Fiji schiereranno un contingente di 50 soldati nel tentativo di riportare la calma a Honiara, capitale delle Isole Salomone in preda a rivolte che in pochi giorni hanno causato cinque morti e un numero imprecisato di feriti. I rinforzi portano a quasi 200, tra soldati e poliziotti, il contingente a guida australiana dispiegato a Guadalcanal, l’isola principale dell’arcipelago che si trova in Oceania, a est della Papua Nuova Guinea. Il dispiegamento è stato richiesto dalle autorità locali sulla base di un accordo siglato nel 2007, che prevede che Canberra intervenga con personale civile e militare in caso di eventi che minaccino la sovranità nazionale del piccolo stato insulare. L’inizio della crisi risale alla scorsa settimana quando la popolazione (circa 650mila persone), alle prese con difficoltà economiche diffuse, è scesa in piazza per protestare contro il governo, accusato di corruzione e di aver ‘svenduto’ il paese a interessi stranieri. Durante i disordini, i manifestanti hanno cercato di bruciare la residenza privata del primo ministro Manasseh Sogavare, e di assaltare il parlamento, prima di essere dispersi dalla polizia con gas lacrimogeni e colpi di avvertimento. Ma la rabbia popolare si è concentrata soprattutto nel quartiere di ‘chinatown’ abitato dalla comunità cinese dove, come mostrano video in circolazione sui social e la stampa, diversi negozi e attività commerciali sono state date alle fiamme. 

 

Diplomazia del renminbi?

A protestare nelle piazze e per le strade di Honiara, spiega Al Jazeera, sarebbe soprattutto la popolazione di un’altra isola: quella di Malaita. Scesa in piazza per protestare contro la povertà e la disoccupazione, ma anche contro la nuova politica filocinese del governo di Sogavare, che ha tagliato i ponti con Taiwan, con la quale invece la minoranza Malaita aveva legami culturali ed economici duraturi e profondi. Nel 2019 il governo di Guadalcanal ha firmato con Pechino un accordo diplomatico di mutuo riconoscimento e instaurazione di ‘solide e amichevoli relazioni’, appena pochi giorni dopo aver disconosciuto il governo di Taipei, in cambio di vantaggiosi ritorni economici e commerciali. Le Salomone furono inserite nella Belt and Road Initiative cinese e Pechino annunciò di voler costruire uno stadio multimilionario nel paese. Alle società cinesi fu concesso il diritto di costruire infrastrutture, strade, ponti e reti elettriche per far rivivere il Gold Ridge, un tempo la miniera d'oro più redditizia del paese. Prima di quell’anno le Isole Salomone erano tra i pochi paesi del mondo che mantenevano rapporti diplomatici ufficiali con Taiwan. Il brusco cambio di politica estera provocò numerose proteste e il governatore dell’isola di Malaita Daniel Suidani bandì le aziende cinesi dalla provincia e decise di accettare aiuti allo sviluppo dagli Stati Uniti.

 

Cina: un partner ingombrante?

In un discorso alla nazione pronunciato domenica sera, Sogavare ha condannato i rivoltosi e ha giurato di non dimettersi. “Questo caos è stato progettato per spingermi alle dimissioni, ma i principi della democrazia e dello stato di diritto devono essere sempre protetti” ha detto Sogarave, aggiungendo: “Sono stato eletto vostro primo ministro per essere custode e protettore di questi principi, su cui si basa la nostra democrazia, e continuerò a difenderla”. Il premier sostiene che il costo dei danni causati dai disordini ammonti a oltre 200 milioni di dollari e ha parlato di “ingerenze straniere” dietro le proteste, per punire il suo governo del riconoscimento diplomatico a Pechino. Secondo il Guardian tuttavia, all’origine del malcontento ci sarebbe la mancanza di servizi alla popolazione e la presenza di lavoratori stranieri che alimenta fenomeni di sfruttamento economico. La Cina rimane il principale partner commerciale delle Isole Salomone e ha concesso un trattamento esente da dazi al 97% delle esportazioni provenienti dall’arcipelago, aprendo la strada a un ulteriore aumento delle esportazioni verso il mercato cinese. Un rapporto di Transparency International tuttavia accusa l’élite politica del paese di corruzione “pervasiva” e istituzioni locali “prive di integrità e credibilità”.

 

 

Per colpa di chi?

L’azione di Canberra a sostegno del governo centrale ha colto di sorpresa i manifestanti. “Siamo gli ultimi a difendere la democrazia nelle Isole Salomone. Pensavamo che l'Australia avrebbe visto la posizione che stavamo prendendo e che avrebbe preso le nostre parti” ha dichiarato un manifestante. I disordini hanno provocato anche la reazione di Washington che si è detta “profondamente preoccupata” dalle recenti violenze a Honiara, e ha chiesto “il rapido ripristino della pace e della sicurezza”. Posizione simile a quella espressa da Pechino, sulle cui responsabilità nell’ondata di proteste sull’arcipelago però permangono diversi interrogativi. Non è la prima volta infatti che la comunità cinese viene presa a bersaglio di proteste massicce alle Salomone: dopo le elezioni legislative del 2006, un’insurrezione era scoppiata a Honiara, in seguito a voci in base alle quali aziende vicine a Pechino avevano truccato il voto. Anche in quel caso, ad essere messo a ferro e fuoco fu il quartiere di ‘chinatown’ dove nei giorni scorsi i manifestanti hanno appiccato il fuoco a un commissariato di polizia e saccheggiato negozi di proprietà cinese.

 

 

Il commento

Di Giulia Sciorati, ISPI e Università di Trento

"I disordini alle Isole Salomone sono da ricondurre, da una parte, a quello che è l’espansionismo cinese nell’area tradizionale di interesse strategico dell’Australia. Dall’altra, è un esempio tangibile di quelle che sono le problematiche relative al modo in cui la Cina conduce i propri progetti d’investimento all’estero che non valorizzano l’economia locale, favorendo importazioni di materie prime, materiali e personale direttamente dalla Cina. Non a caso le società civili dei paesi ospitanti percepiscono la presenza cinese come estranea ed esterna, aggravando la possibilità di disordini, anche violenti. Le Isole Salomone seguono infatti altri paesi, Kazakistan in primis, nelle proteste contro le attività cinesi. Se non vi saranno sforzi in futuro verso l’integrazione, questi episodi rischiano di essere sempre più frequenti".

 

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

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Filippo Fasulo
Co-Head, ISPI Centre on Business Scenarios

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Cina Isole Salomone China economia Economy
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