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Transizione energetica

La crisi energetica dà una spinta alle rinnovabili

Benedetta Oberti
16 gennaio 2023

Il 2022 è stato per l’Europa l’anno della crisi energetica. Il prezzo del petrolio continua a rimanere al di sopra della media di 60$ al barile, quello del gas è stato in media di sette volte più alto rispetto al periodo pre-crisi, e quello del carbone è quadruplicato. Siccome in Europa più di un terzo dell’elettricità proviene da fonti fossili, l’aumento del prezzo di gas e carbone è risultato in bollette più salate per tutti.

Fra le cause di questa crisi vi è certamente la guerra in Ucraina e il taglio delle esportazioni di gas russo verso l’Europa, deciso come ritorsione da parte di Mosca per le sanzioni imposte dall’occidente. Tuttavia, il comportamento della Russia sui mercati energetici ha esacerbato una situazione già negativa. La ripresa economica e il ritorno della produzione verso livelli pre-pandemici, condizioni climatiche sfavorevoli in alcune parti del mondo, la riduzione degli investimenti nei settori del gas e del petrolio da parte dei paesi produttori e i lavori di mantenimento di gasdotti e di oleodotti posposti a causa della pandemia, sono tutti fattori che – ben prima dell’invasione russa – stavano già mettendo a dura prova la tenuta del mercato energetico globale.

Fra le conseguenze delle misure adottate dai governi per compensare il taglio delle forniture di gas dalla Russia e far fronte al generale aumento dei prezzi dell’energia c'è l’utilizzo massiccio di fonti energetiche fossili, come il carbone, che la minaccia dei cambiamenti climatici aveva contribuito a far diminuire. Nel 2022 il consumo di carbone a livello mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi di tonnellate: +1,2% rispetto al 2021.

Che ne sarà della transizione energetica?

Fortunatamente, tuttavia, questa crisi non sta compromettendo la transizione energetica nel lungo periodo. Infatti, le decisioni sul fronte dell’energia che gli stati stanno adottando oggi includono soprattutto misure emergenziali, atte a contenere l’aumento dei prezzi dell’elettricità e del gas, e assicurare che l’offerta di energia corrisponda alla domanda. Per il lungo periodo restano fermi gli impegni climatici sottoscritti per contenere il surriscaldamento climatico, come dimostrano il piano europeo RePowerEu (che addirittura si propone di accelerare leggermente la transizione), il pacchetto di misure statunitensi contenuto nell’Inflaction Reduction Act o l’obiettivo cinese di portare al 25% la quota di energia non fossile nel suo mix energetico entro il 2030. Anche l’India punta a produrre 500 GW di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, mentre il Giappone ha approvato un piano di investimenti per aumentare la produzione di energia nucleare e da fonti a basse emissioni - come l’idrogeno e l’ammoniaca verdi. Sulla stessa linea si stanno muovendo la Corea del Sud e molti altri stati.

Così come la crisi energetica del 1979 aveva accelerato processi di efficientamento energetico e lo sviluppo di tecnologie nel settore dell’eolico e del solare, la crisi attuale potrebbe stimolare l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e a basse emissioni. Il rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia pubblicato a dicembre 2022 prevede che entro il 2027 la capacità installata di energia non fossile crescerà di circa 2400 GW, il 75% in più rispetto al valore attuale. Secondo le stime, il 60% della crescita sarà trainato dall’estensione degli impianti di generazione rinnovabile da pannelli fotovoltaici e lo stato più virtuoso sarà la Cina (che installerà metà dell’addizionale capacità di produzione di energia pulita).

Oltre alla volontà degli stati di limitare il riscaldamento climatico (meno del 20% del mix energetico dovrebbe provenire da fonti fossili per evitare il superamento della soglia degli 1,5 °C di riscaldamento), l’incremento della quota di energia rinnovabile è dovuto a due altri fattori:

  1. L’aumento del prezzo dell’energia da fonti fossili ha reso più competitiva l’energia solare e eolica. Questo è vero nonostante i costi delle materie prime alla base delle tecnologie per produrre energia pulita abbiano subito un aumento (una delle conseguenze della crisi delle catene di approvvigionamento globale, ma anche dell’aumento stesso della domanda di nuove installazioni di energia rinnovabile). Secondo Bloomberg, a parità di energia prodotta costruire un nuovo impianto a energia solare o eolica costerebbe il 40% in meno rispetto a un impianto a carbone o a gas.
  2. L’impatto dell’invasione russa dell’Ucraina sull’offerta di energia ha reso evidenti – in termini di sicurezza energetica nazionale – gli svantaggi della dipendenza da pochi e grandi fornitori. Al contrario, affidarsi a fonti rinnovabili significa poter differenziare le proprie fonti di approvvigionamento (risorse come il sole e il vento sono più diffuse su scala globale), nonché rendersi più autonomi (è più facile reperire all’interno dei propri confini sole e vento piuttosto che petrolio e gas).

L’Europa non sta al passo

Per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, nel maggio 2022 la Commissione Europea ha comunicato l’avvio di RePowerEu: un piano di efficientamento e decarbonizzazione del sistema energetico europeo. Entro il 2027 l’Unione Europea si è prefissa l’obiettivo di aumentare la quota di energia rinnovabile nel settore dei trasporti, del riscaldamento, e per la produzione di elettricità. Nel quadro di questo piano rientra ad esempio il recente accordo fra l’UE e i governi di Belgio, Danimarca, Paesi Bassi e Germania (‘Dichiarazione di Esbjerg’) per sviluppare le capacità di produzione di energia eolica al largo del Mare del Nord. L’obiettivo dell’accordo è produrre 260GW di energia eolica entro il 2050: un valore pari a quello che produrrebbero oggi 24.000 delle più grandi turbine esistenti, o poco meno di 260 centrali nucleari di media grandezza. 260GW sono poco più di un terzo della produzione mondiale di energia eolica attuale. Parimenti importante è la Strategia per l’energia solare che mira a produrre entro il 2030 quasi 600GW di energia tramite fotovoltaico.

Tuttavia, nonostante gli impegni e gli accordi presi, al momento l’Unione Europea non è al passo con il raggiungimento degli obiettivi del RePowerEu. Entro il 2027 che fonti rinnovabili sosterranno il 54% della produzione di energia nel settore elettrico, il 16% in quello dei trasporti e il 32% in quello del riscaldamento, a fronte di obiettivi pari rispettivamente al 69%, 32% e 60%. Fra gli scogli principali ci sono i sussidi che i governi degli Stati membri ancora elargiscono al settore dei combustibili fossili, gli ostacoli amministrativi per installare e ampliare gli impianti e procedure di appalto poco trasparenti e competitive. Un’ulteriore barriera è lo stato obsoleto delle infrastrutture energetiche, inadatte a sostenere la diffusione dell’energia solare e/o eolica su larga scala.

Infine, il mercato dell’energia eolica e solare in Europa deve far fronte all’instabilità delle catene di approvvigionamento di materiali e agli alti costi degli stessi. L’acciaio e le terre rare sono alla base del funzionamento di turbine e pannelli fotovoltaici, nonché della produzione di batterie e sistemi di stoccaggio (necessari per garantire la continuità dell’offerta di energia data l’intrinseca discontinuità di fonti quali il vento e il sole). Attualmente la Cina produce più del 70% delle batterie mentre l’Unione Europea solo il 7%. Al fine di aumentare la capacità produttiva europea di batterie, e rafforzare l’indipendenza di un settore ritenuto strategico, la Commissione Europea ha lanciato nel 2017 la European Battery Alliance e poi nel 2022 ha concluso un accordo di collaborazione fra questa e la US Li-Bridge Alliance, controparte statunitense.

Le premesse per un’accelerazione sul mercato delle rinnovabili in Unione Europea ci sono ma, per raggiungere gli obiettivi del RePowerEU e la neutralità carbonica entro il 2050, gli Stati Membri dovranno abbattere gli ostacoli economici, infrastrutturali e burocratici. Certo è anche che, a meno di uno sforzo congiunto a livello europeo in tutti i settori e fra tutte le regioni, a prescindere dall’ambiziosità o meno degli obiettivi, il futuro di un Europa decarbonizzata rimane una chimera.

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