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Commentary

La crisi sociale

23 Dicembre 2010

La crisi finanziaria globale scoppiata a fine 2007 ha avuto ricadute molto pesanti sul reddito delle famiglie e più in generale sulla loro sicurezza sociale. Tutte le indagini comparate confermano che la recessione ha colpito duro in termini reali e che ha generato un diffuso senso di ansietà e preoccupazione, soprattutto in merito alle prospettive future dei giovani.

I governi nazionali e l’Unione europea hanno, come è noto, cercato di attutire l’impatto sociale della crisi attraverso misure straordinarie rivolte soprattutto ai disoccupati. L’efficacia di questi sforzi (nel breve, ma anche per il lungo periodo) non è però unicamente connessa all’entità finanziaria degli “stimoli”, ma anche - e forse soprattutto - alle diverse combinazioni fra stimoli e assetti di welfare già esistenti.

Nel panorama europeo possiamo distinguere tre modelli di aggiustamento. Il primo è il modello nordico. Qui la struttura del welfare era già da tempo orientata verso gli “investimenti sociali” piuttosto che le misure passive: istruzione, formazione, politiche attive del lavoro, servizi di conciliazione. Anche nei paesi nordici c’è stata recessione, è aumentata la disoccupazione, è calato il potere d’acquisto. Ma la presenza di un robusto welfare “a trampolino” consentirà (sta già consentendo) alle categorie più colpite di recuperare terreno, di riacquistare autonomia e sicurezza non appena la crisi allenterà la sua morsa.

Il secondo modello è quello continentale (e, in larga misura, anglo-sassone). Qui i programmi di investimento sociale sono meno sviluppati, ma esiste un sistema di ammortizzatori semi-automatici che ha attutito la caduta dei più deboli. I problemi riguardano semmai il ceto medio-basso, quello “squeezed middle” che dispone di redditi al di sopra delle soglie di povertà ma che resta anche molto vulnerabile alle oscillazioni del mercato del lavoro e del credito. Nell’Europa continentale le politiche sociali e fiscali dei prossimi anni dovranno prestare grande attenzione a questo strato, che occupa ruoli delicati tanto nel sistema economico che in quello politico.

Il terzo modello è infine quello sud-europeo. Qui lo stimolo ha tappato i buchi dei vigenti sistemi di protezione con misure spesso emergenziali (pensiamo alla Cassa integrazione “in deroga” nel nostro paese). La crisi ha ridotto al lumicino i margini per procedere in direzione di una graduale “ricalibratura” fra vecchio e nuovo welfare. La famiglia è tornata a essere la principale camera di compensazione fra i bisogni delle varie generazioni. Con esiti soddisfacenti in termini di coesione, ma alimentando nel contempo lacune e difetti del tradizionale “familismo”. È ragionevole aspettarsi che la crisi avrà per questi paesi l’impatto più profondo e durevole, acutizzando lo storico divario fra insider e outsider.

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