La crisi ucraina messa in moto dal rifiuto della leadership del paese di sottoscrivere un Accordo di Associazione, nell’ambito della politica del Partenariato orientale, con l’Unione Europea (UE) ha svelato in maniera drammatica le aspirazioni post-imperiali della Federazione russa. Nei primi anni Novanta, la Russia era assorbita dal processo interno di trasformazione e dal fronteggiare le gravi conseguenze di una rapida e radicale liberalizzazione economica. La politica estera del paese mirava a consolidare le relazioni con l’Occidente con l’obiettivo primario di attrarre finanziamenti e prestiti per evitare il default economico. Una volta che il paese fu in grado di ripagare i debiti contratti con le istituzioni finanziarie internazionali e registrò una crescita economica consistente che favorì anche la stabilizzazione politica, l’élite al potere tornò a guardare verso il vicinato.
In particolare, il presidente Vladimir Putin, sviluppò la visione che in un sistema internazionale strutturato secondo il principio del multipolarismo le potenze si definiscono come tali anche in base alla loro capacità di controllare e influenzare la regione su cui insistono. Per la Russia quella regione era il cosiddetto ‘estero vicino’ che si pone all’intersezione fra politica interna e politica estera, costituendo una sfera politica del tutto peculiare. Gli strumenti di influenza che la Russia ha utilizzato in questa sfera variano da quelli più tipicamente attribuibili ad un soft power a quelli che invece caratterizzano un hard power come quando il Cremlino decise di ricorrere alle armi ed alla occupazione di parti della Georgia nell’agosto del 2008.
Similmente, nel momento in cui la Russia ha temuto che l’Ucraina virasse decisamente verso la Comunità euro-atlantica, attraverso il rafforzamento del legame con la UE, non ha esitato a procedere all’annessione della Crimea e a infiltrare militari russi nella regioni sud-orientali dell’Ucraina dove la situazione è ancora confusa, incerta e suscettibile di degenerare in un conflitto regionale. La Russia, così facendo, ha chiarito che gli assetti dello spazio post-sovietico non possono essere modificati senza il suo consenso, ovvero la Ue o in futuro la Nato devono rinunciare all’esercizio di un loro potere in quell’area, seppur sotto forma di potere civile, a meno che non si vogliano scontrare con Mosca.
La Russia, fino allo scoppio della crisi ucraina, non aveva mostrato ambizioni imperiali che implicassero una acquisizione di territori una volta facenti parte dell’Unione Sovietica. Le circostanze propizie nel corso del 2014 (la certezza che né la Ue né gli Stati Uniti intraprendessero azioni militari) hanno però indotto Mosca all’annessione della Crimea, aggiudicandosi una importante vittoria geopolitica sia in termini di capacità di esercizio della ‘potenza’ che di riposizionamento geostrategico come il mantenimento dell’accesso al Mediterraneo con lo stazionamento della flotta russa nel porto di Sebastopoli testimonia. Riteniamo però che questo sia un unicum e che l’obiettivo russo sia piuttosto quello di conservare una presa forte ed esclusiva su alcuni paesi anche attraverso la fomentazione di conflitti interni (Transnistria) ma senza tuttavia perseguire la riunificazione territoriale.
La scelta di rispondere all’intrusione europea negli affari interni ucraini (così è stato giudicato il cambio di regime a Kiev a seguito dei tragici scontri di piazza Maidan) con un gesto così estremo ha causato un nuovo isolamento della Russia da parte di attori rilevanti come gli stati europei e gli Stati Uniti che hanno convenuto nell’imporre sanzioni economiche (oltre che misure restrittive e diplomatiche) contro il Cremlino. L’effetto negativo delle sanzioni è amplificato da un contesto economico già in fase declinante sia per l’atavica incapacità di diversificare l’economia che per il calo del prezzo del greggio. La svalutazione del rublo ha ridotto pesantemente il potere di acquisto dei russi. Finora i russi sembrano condividere la politica estera condotta dal loro leader e all’indomani del ricongiungimento della Crimea alla Russia il sostegno dell’opinione pubblica per il governo è salito. Tuttavia se il deterioramento delle condizioni economiche dovesse continuare a peggiorare anche il consenso per l’élite politica potrebbe iniziare a scemare.
Anche gli europei sono colpiti dall’effetto delle sanzioni contro Mosca, considerando l’intensità dei flussi commerciali fra UE e Russia. Inoltre nuovamente gli europei hanno evidenziato le differenti posizioni rispetto alla reazione nei confronti della Russia. Al fine di giungere alla sottoscrizione dell’Accordo di Associazione con il nuovo establishment ucraino, la UE ha dovuto accettare di scorporare la parte politica sottoscritta a marzo 2014 da quella economica che prevede la possibilità per i prodotti ucraini di accedere al mercato europeo attraverso una graduale riduzione dei dazi. Il Cremlino ha chiesto e ottenuto un rinvio sull'applicazione commerciale dell'accordo, che diverrà operativo solo nel 2016. Questa concessione alla Russia è sintomatica della debolezza e contraddittorietà europea. Inoltre non si può rimarcare l’assenza delle istituzioni europee in occasione degli accordi Minsk I e Minsk II per porre fine agli scontri nelle regioni sud-orientali dell’Ucraina. La Russia approfitta della debolezza europea e della mancanza di una elaborazione un po’ più sofisticata del Partenariato orientale sulla ricomposizione dello spazio post-sovietico che non può ignorare il ruolo e le aspirazioni della Russia.