La lunga strada per la Casa Bianca | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
USA2020

La lunga strada per la Casa Bianca

09 novembre 2020

Joe Biden dichiara: “Sarò il Presidente di tutti gli americani”. Ma Trump non riconosce la sconfitta e punta a trasformare la transizione in un percorso a ostacoli.

TAVOLA ROTONDA

"The Day After: cosa cambia nel mondo?"

Ormai è fatta. Joe Biden sarà il 46esimo presidente degli Stati Uniti e Kamala Harris la prima donna vicepresidente del paese. Anche se lo scrutinio non è ancora finito e tre stati (Arizona, North Carolina e Georgia) devono ancora essere assegnati, e anche se il presidente uscente non sembra affatto orientato a concedere la sconfitta, il finale della storia è scritto.  Nessuno, neanche nella ristretta cerchia di Donald Trump, pensa veramente che le cause legali mosse contro la validità del voto e dei conteggi poteranno da qualche parte. E gli uomini della sua amministrazione – lasciati senza indicazione sul da farsi – non hanno chiarito come intendono gestire la fase di transizione che precede l’insediamento del nuovo presidente alla Casa Bianca. Un processo cruciale, previsto dalla legge e che punta a garantire che il nuovo presidente sia pronto a governare già dal primo giorno del suo mandato. Per questo, i prossimi 72 giorni, esattamente quelli che ci separano dalla scadenza dell’attuale mandato presidenziale e dall’insediamento del nuovo inquilino il prossimo 20 gennaio, potrebbero rivelarsi uno stress test da non sottovalutare, per un’America alle prese con una nuova impennata di contagi di Coronavirus, una crisi economica profonda e tensioni sociali laceranti. Il tutto in un paese che – come dimostrato dalle elezioni, in cui 75 milioni e mezzo hanno votato per Biden e quasi 71 per Trump – è letteralmente spaccato a metà. Intanto, l’americana Pfizer sta sperimentando un vaccino anti-Covid che si è rivelato efficace al 90% dei test nella fase 3, e annuncia: entro l’anno saremo in grado di produrre 15 milioni di dosi.

 

Quali priorità per Biden?

Come era prevedibile, nel primo discorso da presidente eletto, Biden ha parlato molto di Coronavirus e annunciato la creazione di una task force di 12 esperti incaricati di delineare un programma di contenimento della pandemia. Ha usato più volte l’espressione “curare il paese” sia in riferimento all’emergenza sanitaria, sia riguardo le divisioni tra Democratici e Repubblicani, a cui ha proposto: “smettiamo di vederci come nemici” e “diamoci un’altra possibilità”. Nel profilo twitter e nel sito creati ad hoc per la transizione, il team Biden-Harris ha annunciato che si concentrerà anche sull'economia, il razzismo sistemico e i cambiamenti climatici. Un programma ambizioso, a cui Joe Biden intende mettere mano anche attraverso una serie di ordini esecutivi, una particolare forma di potere presidenziale che non necessita dell’approvazione del Congresso. L’idea è di capovolgere in tempi rapidi una serie di decisioni del suo predecessore tra cui il ritiro dagli Accordi sul clima di Parigi e dall'Organizzazione mondiale della sanità, il ‘muslim ban’, il divieto di ingresso negli Usa per i cittadini di sette paesi musulmani e ripristinare il Daca, la concessione della cittadinanza ai cosiddetti ‘Deamers’, circa 700mila migranti privi di documenti, entrati negli Stati Uniti da bambini.

 

Una transizione ostacolata?

Tutto pronto dunque, se il Capo dell'amministrazione dei servizi governativi – Emily Murphy, nominata da Trump – consentisse al team di lavorare e di ottenere l'accesso ai fondi del governo. Ma la lettera con cui Murphy riconosce Biden come “vincitore apparente” non è arrivata e secondo la sua portavoce arriverà solo una volta che il vincitore “sarà chiaro sulla base del processo stabilito dalla Costituzione”. Questo avrà implicazioni pratiche, oltre che simboliche: significa stipendi bloccati e pratiche per la creazione di email ufficiali in stand-by, ma soprattutto significa che i funzionari della nuova amministrazione non avranno ancora accesso agli uffici e ai responsabili delle agenzie federali. L'ultima volta che il trasferimento di potere subì ritardi fu nel 2000, in conseguenza dell'incertezza sui risultati della corsa tra il vicepresidente democratico Al Gore e il governatore del Texas, George W. Bush. Allora lo stallo si trascinò fino al 12 dicembre. A giocare quella che tutti sanno essere una partita delicata, i democratici hanno chiamato Ted Kaufman, tra i più stretti collaboratori di Biden, nonché l’uomo che lo ha sostituito al Senato quando è diventato vicepresidente nel 2009, e che ha contribuito a scrivere un aggiornamento alla legge che disciplina il processo di transizione approvata nel 2015 da Barack Obama.

 

Cosa farà Trump?

Mentre il conteggio degli ultimi stati in ballo avanza lentamente, Donald Trump continua a sostenere che le elezioni sono state rubate e che la verità verrà a galla. Il suo entourage non ha ancora fornito prova delle accuse, e non è chiaro su che basi intenda costruire la sua strategia legale ma la sua campagna ha diffuso una raffica di sollecitazioni nei confronti dei sostenitori, invitandoli a non darsi per vinti. Anche in famiglia le idee sul da farsi sono confuse: se il genero Jared Kushner, la figlia Ivanka e la moglie Melania gli avrebbero suggerito – secondo Cnn – di scendere a patti con il nuovo presidente, i due figli maggiori Donald Jr. ed Eric starebbero spronando il padre a continuare la contestazione dei risultati elettorali. Ma almeno per il momento si tratta di indiscrezioni di stampa: dopo il discorso pronunciato la notte successiva al voto il presidente non è più comparso in pubblico, limitandosi a twittare. Dei suoi consiglieri, quello che sembra essergli rimasto più fedele è l’avvocato, Rudy Giuliani, protagonista della surreale conferenza stampa da un malmesso parcheggio alla periferia di Filadelfia, tra un negozio per adulti e un crematorio, trasmessa sabato mattina. Quello che sembra frutto di un malinteso, o un errore di prenotazione ha finito col diventare agli occhi di molti, l’immagine plastica della fine di un presidente la cui campagna elettorale era iniziata in cima ad una scala dorata nel centro di Manhattan.

 

E i Repubblicani?

La confusione sembra regnare anche in casa Rep: se alcuni esponenti come Mitt Romney e George W. Bush hanno già chiamato il neoeletto presidente per congratularsi, la maggior parte dei membri del partito non ha ancora rivolto a Biden i consueti auguri per l’elezione. Il loro silenzio – osserva il NYT – suggerisce che anche nella sconfitta, Trump mantiene forte la sua presa sul

partito e sui suoi leader eletti. Inoltre la riluttanza del presidente ad accettare i risultati delle elezioni ha gettato gli esponenti repubblicani nel dilemma, poiché temono che anche una superficiale espressione di sostegno a Biden possa apparire come uno sgarbo nei confronti di Trump. Una cosa che in molti sanno di non potersi permettere. Quello che qualcuno ha definito ‘L’effetto Trump’ sul Gran Old Party è infatti lontano dall’essersi esaurito e pur avendo perso le elezioni, il presidente uscente ha raccolto 74 milioni di voti, sette in più del 2016, e un milione dei quali solo in Florida.

 

Il video-commento

di Paolo Magri, Vice Presdente ISPI 

 

Leggi il Dossier speciale

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

Ti potrebbero interessare anche:

USA-Cina: la tensione vola
Trichet, De Mistura e Guriev ai Master ISPI School
NATO: alea iacta est?
Stati Uniti: corvette e segreti
Economia: l’inflazione cede il passo (alla recessione)?
Zsolt Darvas
Bruegel and Corvinus University of Budapest
Commercio: cosa resta della globalizzazione?
Claudia Schmucker
DGAP
,
Stormy-Annika Mildner
Aspen

Tags

usa2020 Joe Biden Donald Trump relazioni transatlantiche
Versione stampabile
 
USA 2020

Iscriviti alla Newsletter Daily Focus

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157