Quando si parla del lungo conflitto siriano, gli stati “vicini” che vengono citati più spesso negli articoli e nei dibattiti sono di solito Libano, Arabia Saudita, Turchia o Iran. Dell’Iraq si parla poco, quasi come fosse in una sorta di dimensione parallela. Una volta c’era la guerra in Iraq, e la Siria non esisteva; oggi c’è la guerra in Siria, e l’Iraq è rimasto nel dimenticatoio.
Senza nulla togliere agli stati sopracitati, è però un grosso errore non considerare il ruolo centrale dell’Iraq nella guerra civile siriana, in particolare quando si parla dello sviluppo dei gruppi terroristici all’interno della ribellione e della crescente e preoccupante presenza di formazioni legate ad al-Qaida. È un errore perché poco di questo fenomeno sarebbe davvero comprensibile senza considerare l’Iraq e il ruolo che il terrorismo qaidista ha avuto in questo paese a partire dall’invasione americana del 2003.
Quando gli americani completarono l’occupazione e le prime cellule di al-Qaida cominciavano a mobilitarsi all’interno del paese la Siria entrò silenziosamente in scena fornendo un “passaggio sicuro” per i mujahiddin stranieri diretti verso il territorio iracheno. Damasco divenne così un punto di passaggio fondamentale per tutti i foreign fighters appartenenti o simpatizzanti di al-Qaida diretti in Iraq, i quali in Siria cominciarono a sviluppare le basi di un apparato logistico locale. Il ruolo della Siria come punto di passaggio venne però meno tra il 2006 e il 2008, quando l’azione incrociata dell’esercito regolare iracheno, delle forze statunitensi e delle milizie sunnite locali estirpò AQI (al-Qaida in Iraq) – poi diventata ISI (Islamic State in Iraq) – dai territori che era riuscita a conquistare e ne ridusse il potere ai minimi termini. Per quanto danneggiata e decimata, la struttura dell’ISI però sopravvisse negli anni, approfittando del malcontento crescente nella comunità sunnita e dello scarso controllo del territorio delle autorità irachene. Fu così che, quando pochi anni dopo il conflitto esplose nella vicina Siria, i leader qaidisti in Iraq intravidero la possibilità di sfruttare la vicinanza geografica (la provincia sunnita irachena di al-Anbar ha un lunghissimo e poroso confine con la Siria) e le conoscenze acquisite anni prima per infilarsi in un nuovo scenario di conflitto e sviluppare nuovamente una grande presenza di al-Qaida nella regione.
Così ebbe inizio l’avventura siriana di al-Qaida che, partita dall’Iraq, presenta ad oggi risultati controversi che investono la Siria arrivando fino al Libano(1).
Da una parte, infatti, l’avventura siriana ha portato all’emergere della prima seria frattura nella catena di comando qaidista guidata dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri. Quando i primi militanti qaidisti cominciarono a confluire dall’Iraq alla Siria all’inizio del 2012 formarono un gruppo autonomo che prese il nome di Jibhat al-Nusra (Fronte al-Nusra)(2). Nelle loro prime azioni essi dimostrarono di aver imparato dagli errori che li avevano portati alla sconfitta in Iraq qualche anno prima. Essi infatti iniziarono a limitare le loro operazioni e la propria propaganda soprattutto sull’obiettivo di abbattere il regime, ridussero al minimo l’uso di attacchi kamikaze (per gli attacchi terroristici a Damasco usarono soprattutto autobombe) e dimostrarono di voler porre in secondo piano e nel futuro post-Assad la possibile instaurazione di uno stato islamico. Ciò impedì loro, come invece successo all’ISI in Iraq, di diventare invisi alla comunità sunnita nel paese, tradizionalmente moderata, e permise al gruppo di arricchire le proprie fila con numerosi membri locali attirati dal superiore addestramento e armamento che il gruppo poteva offrire grazie all’esperienza pregressa dei suoi quadri. Questo sviluppo “tutto siriano” di al-Nusra piacque però poco ai leader dell’ISI rimasti in Iraq, i quali volevano che le due formazioni continuassero ad avere un’agenda comune che prevedesse strategie congiunte in entrambi i paesi. Quando l’attuale leader dell’ISI Abu Bakr al-Baghdadi dichiarò al-Nusra il “braccio siriano” della sua organizzazione nell’aprile del 2013, la risposta che ricevette dalla leadership siriana fu alquanto stizzita. Abu Muhammad Al-Julani, leader di al-Nusra, pur ribadendo la sua appartenenza ad al-Qaida e la sua fedeltà al leader al-Zawahiri, affermò l’indipendenza della sua organizzazione dall’ISI. A nulla servì l’intervento di al-Zawahiri stesso, che ordinò ad al-Baghdadi di desistere dal suo desiderio di controllare anche le attività qaidiste in Siria. Quest’ultimo decise infatti di creare una nuova organizzazione sul territorio siriano direttamente dipendente dall’ISI, quella che poi divenne ben presto conosciuta (e temuta) come ISIS (Islamic State in Iraq and Syria) o ISIL (Islamic State in Iraq and Levant). Questa aperta disubbidienza di un leader locale di al-Qaida agli ordini di al-Zawahiri rappresenta una spaccatura ancora unica nel suo genere all’interno della gerarchia dell’organizzazione, che ha portato l’analista americano William McCants a spiegare su Foreign Policy come al-Qaida abbia peccato di “overstreaching”, portando la sua leadership a perderne il controllo(3).
Per altri versi, però, la Siria rischia di essere per al-Qaida un’esperienza assai più riuscita – e per il mondo assai più pericolosa – di quella irachena. E proprio in Iraq se ne vedono oggi i primi gravi effetti.
Lo scenario siriano presenta, infatti, alcune differenze fondamentali rispetto a quello iracheno di qualche anno fa. Innanzi tutto non vi è la presenza delle truppe e dell’intelligence americane pronte a reprimere e stanare i gruppi qaidisti sul territorio, e tantomeno una campagna di bombardamenti di droni simile a quella che ha decimato (con controverse conseguenze sul piano delle vittime civili) al-Qaida in Yemen e Pakistan. Il territorio siriano, per molti versi in balia della totale anarchia, si presta perciò molto più dell’Iraq del 2006 ad ospitare “safe haven” e basi di addestramento per i gruppi qaidisti. È proprio grazie a queste basi che molti elementi dell’ISIS hanno potuto addestrarsi, prepararsi e rifugiarsi negli ultimi tre anni per poi tornare a colpire duramente in Iraq causando l’ondata di attacchi dinamitardi che ha insanguinato il paese nel 2013 e portando nuova linfa alle cellule irachene che sono arrivate ad occupare, come nel 2006, nuovamente intere città come Falluja. Inoltre, al contrario della policy adottata dall’allora ISI nei confronti dei volontari stranieri a metà anni Duemila – perlopiù mandati direttamente a compiere azioni suicide – oggi i leader dell’ISIS sembrano aver adottato una strategia più lungimirante nei loro confronti, curandone l’addestramento e l’armamento e trasformandoli in potenza in futuri jihadisti professionisti pronti a colpire in tutte le parti del mondo.
Ma i risvolti inquietanti non si fermano qui e i primi effetti spill-over non si limitano all’Iraq. Recenti rapporti hanno sottolineato infatti come anche il Libano sia stato recentemente oggetto di interesse per ISIS e al-Nusra. Soprattutto i campi profughi palestinesi nel Paese dei Cedri – che in questi anni si sono andati riempiendo di profughi provenienti dai campi siriani – sono diventati terreno di reclutamento per le cellule terroristiche qaidiste che hanno approfittato della crescente povertà e disperazione(4). Inizialmente l’attività si limitava al reclutamento e l’invio sul fronte siriano. Oggi però report e intelligence locali hanno fatto emergere la volontà di fondere i piccoli gruppi locali – come le Brigate Azzam – con (a seconda delle fonti considerate) al-Nusra o ISIS al fine di compiere azioni coordinate anche in territorio libanese, completando una impressionante saldatura delle attività qaidiste dal Libano all’Iraq(5).
1. Brian Fishman, Syria proving more fertile than Iraq to al-Qaeda’s operations, CTC SENTINEL novembre 2013
2. Roisin Blake, Norman Benotman, Jibhat al-Nusra: A strategic brief, Quilliam
3. William McCants, How al-Zawahiri lost al-Qaeda, Foreign Affairs 19/11/2013
4. Nasser Chararah, Terrorist Groups exploit Palestinians in South Lebanon, Al-Monitor 20/09/2013
5. Nasser Chararah, Salafist factions on rise at Palestinian camp in Lebanon, Al-Monitor 13/03/2013
Eugenio Dacrema, ISPI Research Assistant