La morte del re Bhumibol Adulyadej (Rama IX), venerato alla stregua di una divinità in tutta la Thailandia, contribuisce ad aggravare la situazione di profonda incertezza politica in cui al momento versa il Paese. Il processo di successione che dovrebbe portare all’incoronazione del principe ereditario Vajiralongkorn, che tra il popolo non ha mai riscosso lo stesso apprezzamento del padre, rischia di far divampare le tensioni politiche che da tempo dividono il Paese e che il governo militare non è ancora riuscito ad attenuare.
Sebbene il sovrano, dall’abolizione della monarchia assoluta nel 1932, formalmente non godesse di poteri rilevanti, per oltre mezzo secolo ha rappresentato la principale fonte di legittimità nazionale e l'arbitro ultimo delle decisioni politiche nei momenti di più grave crisi. Simbolo di unità nazionale, è intervenuto più volte per evitare che le fratture interne diventassero irreparabili, fino ad assumere quasi uno status di vigilanza morale erta al di sopra della politica thailandese. Uno degli interventi più noti è quello del maggio del 1992, quando il re si adoperò per porre fine alle sanguinose rivolte che presero il nome di “maggio nero”. Oltre agli interventi pubblici del sovrano, il ruolo centrale che ha assunto la monarchia nella politica thailandese è dipeso dall’infittirsi di ciò che viene definita “rete monarchica”.
In Thailandia, la monarchia non deve essere immaginata come una semplice istituzione monarchica ma come una fitta rete di figure non elette, quali burocrati, militari e uomini di corte che hanno contribuito a partire dagli anni Ottanta al mantenimento dello status quo. Nel 2001 la rete politica partita dal Palazzo Reale, che da sempre rappresenta la continuità, è stata sfidata dall’ascesa del magnate delle comunicazioni Thaksin Shinawatra, che facendosi portavoce degli interessi della popolazione rurale e degli strati più poveri, ha rappresentato la possibilità di cambiamento economico e sociale del Paese.
L’aggravamento delle condizioni di salute del re e i forti scossoni apportati dalla famiglia Shinawatra alla politica thailandese hanno assestato un duro colpo alla rete monarchica - il cui indebolimento nell’ultimo decennio potrebbe anche celare un frazionismo interno - contribuendo al rafforzamento della polarizzazione non solo politica ma anche socio-economica, geografica ed etnica che vede il Paese ormai completamente spaccato in due parti. L’élite militare, intervenuta con un colpo di stato in un quadro di totale ingovernabilità nel maggio del 2014, doveva servire proprio a guidare la riconciliazione nazionale, ma dopo oltre due anni appare ancora ben lontana dall’obiettivo. Ciò è stato confermato dal risultato del referendum popolare indetto lo scorso agosto per l’approvazione della nuova Carta costituzionale, la ventesima per la Thailandia in meno di 85 anni.
Non solo la vittoria a poco più del 60% non ha rappresentato uno schiacciante voto di fiducia per l’operato della Giunta e per la guida politica del generale Prayuth, ma la distribuzione geografica dei voti favorevoli e contrari ha riconfermato che la popolazione thailandese è ancora fortemente divisa e ben lontana dalla riconciliazione nazionale. I voti contrari hanno trionfato soprattutto tra la popolazione rurale del nord e del nord-est, tradizionalmente sostenitori del cambiamento e della famiglia Shinawatra. E’ proprio in queste province che le repressioni per le critiche all’operato della giunta militare sono state più dure, contribuendo negli ultimi anni ad aumentare il malcontento e le proteste generate da un’esplosione di rabbia e disillusione.
La serie di attentati non rivendicati che nel mese di agosto, a ridosso dei festeggiamenti per il compleanno della regina e a qualche giorno dal risultato del referendum, hanno portato all’esplosione di undici ordigni nel sud del Paese, risultano più comprensibili se letti come una manifestazione della faida politica interna, che affonda le proprie radici nella Thailandia del nuovo millennio, e danno un’immagine della gravità della crisi in cui potrebbe ulteriormente sprofondare il Paese dal momento che è venuta a mancare la forza fondante dell’assetto politico della monarchia costituzionale thailandese.
Martina Dominici, ex casco bianco della Caritas Italiana in Thailandia e ex ISPI Research Trainee