Nonostante siano passati quasi due anni da quando gli egiziani hanno occupato piazza Tahrir per chiedere la fine della dittatura di Mubarak, l’Egitto non ha ancora approvato la sua nuova Costituzione. Il processo di stesura della nuova Carta fondamentale è stato finora confuso e ha prodotto soltanto un documento provvisorio. I liberali hanno criticato la composizione dell’assemblea costituente, formata soprattutto da intellettuali e deputati islamisti, e molti laici hanno abbandonato la Commissione incaricata di scrivere la nuova Carta fondamentale.
I Fratelli Musulmani sono il gruppo più numeroso dell’assemblea costituente e hanno influenzato la formulazione di diverse leggi costituzionali. All’interno di questo movimento, verso la fine degli anni ’80, un gruppo di intellettuali ha ripensato alcune posizioni tradizionali dell’Islamismo sulla politica e ha cercato di conciliare la Shari’a con il sistema democratico. I protagonisti di questo cambiamento sono stati Al Qaradawi, Al Bishri, Al Majd e Al Awwa. La loro teoria politica prende il nome di “costituzionalismo Islamico”.
I fautori di questa visione politica accettano la struttura formale dello Stato democratico e l’idea che tutti i cittadini abbiano uguali diritti, ma attribuiscono alla Costituzione un ruolo diverso rispetto alla tradizione occidentale. Il costituzionalismo islamico ritiene che lo Stato abbia il compito di educare i cittadini ai valori etici e morali fondamentali. Per raggiungere questo obiettivo, le norme approvate dal Parlamento devono rispettare i dettami della legge coranica.
Il secondo articolo della bozza costituzionale egiziana precisa che «l’Islam è la religione di Stato» e che «la Shari’a è la fonte principale di legislazione». I teorici del costituzionalismo islamico sostengono, infatti, che la legge coranica abbia il compito di fissare i limiti della legislazione positiva. Tuttavia esistono pareri discordanti riguardo all’interpretazione della Shari’a. Per risolvere questo problema, la bozza della Costituzione egiziana attribuisce all’università di Al Azhar il compito di valutare se le norme emendate del Parlamento siano rispettose della legge islamica.
Nonostante i teorici del costituzionalismo islamico ritengano che la Shari’a abbia un ruolo simile alla legge naturale nelle tradizioni occidentali, esistono alcune differenze sostanziali. La legge coranica contiene diverse indicazioni di carattere etico e morale che non determinano solamente un indirizzo generale alla legislazione, ma stabiliscono anche alcuni limiti su diverse norme particolari, come l’eredità, la proprietà e il divorzio.
Secondo il costituzionalismo islamico, la Shari’a è sia l’obiettivo che lo Stato deve perseguire, sia la legge fondamentale che determina il quadro legislativo delle norme approvate dal Parlamento. Questa ambiguità si riflette sulla Costituzione egiziana. L’articolo 12 afferma che lo Stato ha il dovere di «preservare l’identità religiosa ed etica della famiglia», quasi a sottolineare la preminenza del codice familiare scritto nella Shari’a rispetto alla legislazione positiva. Al contrario, l’articolo 14 stabilisce che lo scopo del governo è di «garantire l’uguaglianza tra uomo e donna», «secondo le norme stabilite dalla Shari’a», individuando nella legge islamica un obiettivo verso cui tendere e non soltanto una serie di norme che precedono la legge positiva.
Questa contraddizione pone diversi interrogativi sulla possibilità dello Stato islamico di garantire le libertà fondamentali. La bozza della Costituzione egiziana stabilisce un sistema formalmente democratico, ma è intrinsecamente incapace di garantire ai cittadini la possibilità di scegliere qualsiasi proposta politica, anche quelle contrarie ad alcune norme della legge islamica, perché vuole educare gli egiziani ai valori etici e morali stabiliti dalla Shari’a.
La prova di questa contraddizione è nell’articolo 15 che attribuisce al governo il compito di «salvaguardare l’etica» degli egiziani e «promuovere la disciplina religiosa, il patriottismo, i valori etici, la storia e l’eredità civilizzatrice». La Costituzione attribuisce dunque al governo un ruolo molto esteso e invasivo. Questo non può che contraddire l’idea di neutralità e limitatezza dello Stato, alla base della democrazia liberale.
Università La Sapienza, Atlantic Council e ISPI