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Commentary

La politica europea della Germania dopo le elezioni federali

18 settembre 2013

L’eccessivo ottimismo, come d’altronde l’eccessivo pessimismo, è cattivo consigliere, nella vita quotidiana come nell’analisi politica. Le prossime elezioni in Germania, con l’atteso rinnovo del Bundestag dopo quattro anni di un governo democristiano-liberale, inducono molti osservatori a sperare in grandi cambiamenti nella politica europea della Repubblica Federale. In realtà, è preferibile rimanere cauti. Non c’è dubbio che il nuovo governo, quale esso sia, avrà maggiore margine di manovra una volta archiviato il voto federale, ma nelle sue linee direttrici la strategia tedesca negli affari comunitari rischia di non cambiare radicalmente.

In questi mesi, la Germania del governo Merkel ha ostacolato il cammino verso una unione bancaria, chiedendo tra le altre cose una impopolare riforma dei Trattati per dare al meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie una solida base legale. Nel contempo, ha rallentato i negoziati in vista di una riforma dell’unione monetaria e della nascita di un controverso bilancio della zona euro. Ha negoziato con i denti i programmi di aiuto a favore di Grecia e Cipro, imponendo non poche condizioni ai paesi in crisi finanziaria. Si è opposta a qualsiasi forma di mutualizzazione dei debiti pubblici. Ha introdotto numerosi paletti alla possibilità di ricapitalizzare una banca attraverso il Meccanismo europeo di stabilità (ESM).

Certo, queste scelte sono in parte dettate da opportunismo politico con lo sguardo rivolto alla consultazione di fine settembre e alle idiosincrasie dell’opinione pubblica tedesca, ma soprattutto da profonde convinzioni che vanno ben al di là del calendario elettorale, delle differenze tra i principali partiti, delle paure della popolazione tedesca di essere lo Zahlmeister, l’ufficiale pagatore dell’Europa. Cambiamenti nella politica europea della Germania dopo il voto di fine settembre ci saranno; il paese dimostrerà un atteggiamento più conciliante, soprattutto nel negoziato in vista della nascita di una unione bancaria che spezzi i legami tra bilanci sovrani e bilanci bancari, ma saranno modifiche marginali, seppur importanti. Le ragioni sono almeno tre. La prima dipende dal sistema costituzionale tedesco.

Superate le elezioni federali, il nuovo governo che uscirà dalle urne potrà godere di un limitato periodo di grazia. Il 2014 è segnato da una serie di elezioni regionali: si voterà in Sassonia, in Turingia e nel Brandeburgo (tre regioni della ex Germania Est caratterizzata da un elettorato particolarmente volatile). L’anno successivo toccherà alle città-stato di Amburgo e di Brema. Nel 2016, poi seguiranno altri cinque Länder. I voti regionali modificano gli equilibri al Bundesrat, la Camera Alta del Parlamento tedesco, e sono utilizzati dai partiti, nonostante le smentite di routine, per valutare la loro forza politica anche a livello nazionale.

Non c’è elezione regionale a cui un cancelliere federale possa mostrarsi insensibile. Proprio il passaggio all’opposizione del Bundesrat ha contribuito negli ultimi vent’anni all’indebolimento politico - progressivo o brusco (a seconda dei casi) - di due cancellieri, Helmut Kohl e Gerhard Schröder. Angela Merkel ne è perfettamente consapevole. Già oggi il partito democristiano non controlla la Camera Alta, un elemento che spiega tra le altre cose l’atteggiamento opportunista, se non ondivago, del cancelliere. Se l’attuale maggioranza democristiano-liberale dovesse essere confermata dalle urne, la signora Merkel dovrà continuare in un modo o nell’altro a tenere conto dell’opposizione nel governare la Repubblica Federale, con tutte le conseguenze del caso.

Veniamo così alla seconda ragione per cui cambiamenti alla politica europea della Germania saranno probabilmente deludenti agli occhi di molti osservatori. I sondaggi in vista del voto di domenica sembrano escludere una vittoria dell’alleanza socialdemocratico-verde. Invece è possibile l’arrivo a Berlino di una grande coalizione democristiano-socialdemocratica. Ma neppure questa eventualità modificherebbe radicalmente la politica europea della Germania. L’Spd ha posizioni più morbide della Cdu-Csu sui modi in cui affrontare la crisi debitoria europea e aiutare i paesi in difficoltà finanziaria; nell’alleanza a due riuscirebbe a influenzare in alcuni casi la politica europea dell’esecutivo. Ma è meglio non farsi troppe illusioni sull’atteggiamento che il partito socialdemocratico avrebbe una volta al potere, anche in una grosse Koalition.

Durante la recente campagna elettorale, il candidato alla cancelleria Peer Steinbrück ha criticato la politica europea della signora Merkel, ma più per metterla in difficoltà che per veramente offrire all’opinione pubblica tedesca una alternativa radicale in termini di politica europea. Ancora recentemente dinanzi al Bundestag, Steinbrück si è dimostrato curiosamente vicino alle posizioni della Cdu: “Da cancelliere – ha detto ai deputati – non darò il denaro dei contribuenti tedeschi per salvare una banca straniera. In primo luogo, sono gli azionisti e i creditori che dovranno essere responsabili delle perdite di un istituto di credito”.

In realtà, ed è questo è il terzo motivo per cui i cambiamenti nella politica europea della Germania rischiano di essere marginali, dietro alla posizione dell’establishment tedesco ci sono convinzioni profonde sull’improvvisa fragilità dell’assetto istituzionale europeo. La crisi debitoria ha messo drammaticamente in dubbio due principi cardini del Trattato di Maastricht: il divieto di monetizzazione del debito pubblico e l’interdizione dei salvataggi sovrani. Agli occhi di molti tedeschi, gli acquisti di obbligazioni pubbliche sui mercati finanziari da parte della Banca centrale europea e i prestiti ai paesi in difficoltà sono nei fatti una pericolosa violazione delle regole europee.

Per risolvere queste contraddizioni istituzionali e dare anche una soluzione più radicale alla crisi debitoria, la Germania ha proposto (forse troppo timidamente?) di passare al livello superiore e di puntare su un'Europa federale, chiedendo in cambio di una mutualizzazione dei debiti una cessione di sovranità dalla periferia al centro. Dinanzi al silenzio o all'opposizione dei partner, la reazione è stata il ripiego nazionale. Il Bundestag, la Corte costituzionale e anche la Bundesbank si sentono oggi investiti di nuovi poteri nel vagliare le controverse scelte prese a livello europeo. Negli ultimi anni, il Parlamento è stato chiamato a dare il benestare definitivo ai programmi di aiuto ai paesi in difficoltà; il tribunale di Karlsruhe ha valutato la legittimità di alcune scelte europee; la Bundesbank ha difeso le sue convinzioni di politica monetaria nel consiglio direttivo della Banca centrale europea.

In tutti questi casi, la Germania ha tenuto il resto dell’Unione in ostaggio. È possibile che dietro a questa tendenza nazionalista e intergovernativa ci sia il desiderio surrettizio di dominare l’Europa e la Commissione, come sembrano pensare alcuni commentatori europei, in particolare italiani. Ma soprattutto, dietro a questa deriva, si nasconde la sensazione tutta tedesca che l’Unione così come sta evolvendo è caratterizzata da troppe pericolose contraddizioni. Il ruolo accresciuto delle istituzioni tedesche nella politica europea è il riflesso di un paese che dinanzi a una Unione che non è né pienamente federale né pienamente confederale preferisce rimpatriare poteri e competenze a livello nazionale, pur di difendere le proprie prerogative.

Al di là di considerazioni sullo spirito di solidarietà tra paesi partner o sui naturali interessi tedeschi alla sopravvivenza dell’euro, è così sorprendente che la Germania tema di aiutare paesi della zona euro in difficoltà senza poter controllare pienamente la loro politica economica? Difficilmente il nuovo governo tedesco, quale esso sia, modificherà questi nuovi equilibri senza una riforma dell’Unione in senso federale. Certo, non si può escludere che dopo le elezioni la Repubblica Federale ritorni alla carica con nuove proposte di tipo federalista. Ma sarà bene ricordare che il futuro dell’Europa passa tanto da un atteggiamento più morbido della Germania sul futuro del continente quanto dalla piena accettazione da parte di molti paesi, a cominciare dalla Francia e dall’Italia, di una maggiore integrazione europea.

Beda Romano, corrispondente a Bruxelles - Il Sole/24 Ore

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