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Commentary

La progressiva militarizzazione del Sud Sudan

17 Dicembre 2013

Il tentativo di colpo di stato avvenuto domenica sera a Juba proietta l’ennesima ombra sullo stato più giovane dell’Africa che, secondo le parole pronunciate da Salva Kiir all’inizio dei negoziati per il referendum sull’indipendenza, avrebbe dovuto permettere ai popoli del Sud Sudan di essere finalmente liberi e non più cittadini di seconda classe.

Salva Kiir, prima di diventare presidente, è stato un militare e un combattente della prima ora, unendosi alla ribellione di John Garang contro il governo sudanese nel 1983. Kiir ha fatto carriera nelle file dell’Splm, il Sudan People Liberation Mouvement; da ufficiale semplice dell’esercito regolare, è diventato il vice di Garang. Alla morte del leader, nel 2005, dopo la firma del Comprehensive Peace Agreement con cui sono cessate, almeno formalmente, le ostilità fra l’Splm e il governo sudanese, Kiir è diventato presidente del movimento, in una successione non priva di tensioni.

Il Sud Sudan è in qualche modo il prodotto dell’Splm, che detiene il 97% de seggi in parlamento ed ha di fatto instaurato un sistema a partito unico. Il movimento che ha condotto una lotta armata per quasi quarant’anni dovrebbe essere anche il traghettatore della transizione, attraverso una riconversione assolutamente non scontata. Il braccio armato dell’Splm, sempre secondo lo stesso principio, dopo decenni di guerriglia, è oggi passato ad essere l’esercito regolare di uno stato. 

La recente sollevazione dei soldati fedeli a Riek Machar è soltanto l’ultima delle frequenti divisioni che hanno attraversato il movimento-partito di governo al proprio interno. Machar, nel 1991, era già stato fra i protagonisti di una scissione, operatasi dopo una sollevazione tesa a rimuovere Garang dalla leadership del movimento. Machar aveva successivamente creato una sua fazione personale, il Soudan People Liberation Army-Nasir. Machar era poi rientrato nelle fila dell’Splm, venendo posto a capo della South Sudanese Defence Force nel 1997, divenendo uno dei comandanti di più alto grado dell’Spla nel 2002 ed essendo nominato alla vice-presidenza del Sud Sudan indipendente nel 2011.

Il tentativo di colpo di stato di domenica notte trova una spiegazione nella riduzione della squadra di governo operata da Salva Kiir in luglio, che aveva estromesso Machar dalla vice-presidenza. Kiir aveva dichiarato che la decisione di ridurre i ministri del suo governo era stata presa per ragioni di maggiore operatività e tagli alle spese, ma alcuni alti rappresentanti erano già stati allontananti con l’accusa di corruzione e già allora gli analisti più attenti sottolineavano come queste azioni celassero la volontà di Kiir di accentrare il potere nelle mani di pochi collaboratori fidati.

Il Sud Sudan, a due anni dalla sua creazione, continua ad essere uno stato militarizzato. I soldati dell’esercito sud sudanese si schierano a tempi alterni ai confini con Sud Kordofan, col pretesto di arginare il conflitto in corso dell’area, e fornendo probabilmente supporto ai ribelli Nuba, mentre la zona contesa di Abyei rimane soggetta ad arbitrato internazionale, in attesa di un referendum credibile. Con il pretesto della scomoda e non completamente risolta vicinanza dell’aggressivo governo di Omar Al Bashir, Juba si sta trincerando dietro un’amministrazione fortemente militarizzata, che riduce al minimo le libertà democratiche e soffoca il dissenso. A prescindere dal fatto che il tentativo di colpo di stato abbia avuto luogo esattamente come descritto dalle autorità del Sud Sudan, permangono forti dubbi sull’arresto di esponenti politici che ne è seguito – non confermato dalle autorità - e sulle ulteriori ripercussioni, come il completo svuotamento delle prassi democratiche.

Nel lungo periodo, né la storia di Salva Kiir, né la lunga lotta per l’indipendenza, e forse nemmeno le ingenti risorse petrolifere, renderanno giustificabili pericolose tendenze autocratiche da parte del presidente sud su-danese. La comunità internazionale, che ha in gran parte sostenuto la partizione del Sudan, non potrà esimersi dal richiamare la leadership di Juba agli impegni presi nei giorni dell’Indipendenza. La posta in gioco è l’ulteriore destabilizzazione di un’area geopolitica già ampiamente istabile, e un destino del Sud Sudan che comincia ad assomigliare pericolosamente a quello dei suoi vicini: il Centrafrica e la Repubblica democratica del Congo.  

Marta Montanini, ISPI Research Assistant

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Sud Sudan Salva Kiir colpo di stato Splm Juba
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