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Commentary

La revisione del Patto di stabilità e crescita: una visione europea

20 ottobre 2010

L’Europa ancora una volta avanza per necessità e non vede la necessità se non nella crisi, secondo il più citato degli insegnamenti di Jean Monnet. L’Unione Europea torna ad affidarsi a una filosofia bizzarramente marxista elaborata da liberali (l’economia determina la politica che condiziona la strategia), innestata su una sequenza rigorosamente cartesiana di trattati trascinati da un calendario.

All’interno dell’alternativa tra un balzo in avanti dell’integrazione e la dissoluzione non solo del sistema monetario, ma della stessa Unione Europea è riemerso il ruolo propositivo della Commissione, da ultimo la più opaca delle istituzioni. La Commissione ha presentato una serie di proposte che comportano un severo irrigidimento del patto di stabilità e di crescita, attraverso riduzioni drastiche del debito pubblico, il rispetto di indicatori di competitività, sanzioni automatiche. Si aggiunga che ogni anno una consultazione tra Stati membri e istituzioni dovrebbe portare le leggi di bilancio nazionali ad allinearsi sugli obiettivi europei; che la vigilanza sugli intermediari finanziari non sarà più scoordinata e frammentata su scala nazionale; che a maggio è stato varato un meccanismo di sostegno finanziario senza precedenti a beneficio dei paesi in difficoltà nella moneta unica. L’euro è tornato forte pur se ancora senza uno Stato che possa coniarlo, senza un governo che lo guidi, senza un sovrano che lo rappresenti, senza un esercito che lo difenda. La Commissione vede lo spazio presidiato dall’euro come avanguardia virtuosa dell’intero processo. La sua burocrazia torna a essere la vestale di un fuoco acceso in tempi assai più nobili.

Nel proporsi per la riscrittura del patto di stabilità, la Commissione si fa certo interprete della volontà del paese più forte, la Germania, secondo bilanci che tendano a un saldo strutturale in pareggio. Accresce i propri poteri di sorveglianza, non senza incognite circa le conseguenze per la crescita e l’occupazione. Ma rafforza le due componenti di base della dialettica comunitaria: responsabilità e solidarietà.

Responsabilità significa per i singoli governi accettazione di un meccanismo intrusivo che vuole anche correggere inadempienze della Commissione stessa emerse in occasione della crisi greca. La solidarietà che si esprime attraverso il fondo di stabilizzazione vuole impedire una frattura dell’area comunitaria che, in nome di un euro puro, in realtà una riedizione dell’area del marco, abbandonerebbe al loro destino le economie più fragili. L’integrazione, finora così deludente nel settore della politica estera, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, riscopre il primato di una strategia economica sorretta da una visione politica, la sola in realtà, come insegna la storia dell’Unione, in grado di far arretrare le barriere della sovranità.

Il fronte dei nemici dell’Europa, lo vediamo anche dalle ultime consultazioni elettorali nazionali, intercetta senza imbarazzo i pregiudizi di sinistra come di destra, ieri i concorrenti polacchi o i predatori baltici, oggi gli invasori musulmani. La costruzione comunitaria, perpetuamente incompiuta, segue a fatica. Ma le incognite appariranno meno gravi se le istituzioni “federali” dell’Unione, e in particolare la Commissione, sapranno recuperare il loro ruolo di impulso e di arbitrato.

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