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Commentary

La rinnovata centralità strategica del Niger

Andrea de Georgio
18 gennaio 2018

Ridimensionamento della presenza militare in Iraq e Afghanistan in favore di nuove missioni in Africa, in particolare nel Sahel. Questa è la rotta tracciata dal Parlamento italiano il 17 gennaio. Nonostante le Camere sciolte il nostro governo ha “urgentemente” approvato il dispiegamento di truppe in Niger, Libia, Tunisia, Marocco e Repubblica Centroafricana per un totale di oltre 83 milioni di euro per il 2018 (di cui 65 fra Niger e Libia). La logica di tale decisione è chiaramente espressa dal documento redatto dalla Camera dei Deputati: “Le nuove missioni si concentrano in un'area geografica - l'Africa - ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali. La tipologia degli interventi previsti è principalmente focalizzata sulle attività di elevato impatto per la sicurezza e la stabilità internazionali, quali quelle di capacity building a favore di paesi maggiormente impegnati nella lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali”. Un’interventismo concentrato in remote zone dell’Africa occidentale che segue il principio d’esternalizzazione della sicurezza e delle frontiere europee inserendosi nel più ampio riposizionamento delle potenze occidentali nel Sahel, regione geopoliticamente sempre più rilevante. 

In questo contesto, teatri prima percepiti dall’Italia come periferici tornano ad assumere importanza centrale nello scacchiere globale. È il caso del Niger. Se fino a un paio d’anni fa nei media nostrani questo paese veniva spesso confuso con la vicina (e profondamente diversa) Nigeria, da qualche mese il Niger gode di un’eco mediatica che segue il crescente interesse politico. L’apertura di un’Ambasciata italiana a Niamey, decisa a ottobre 2016 e ufficialmente avvenuta a febbraio, è stato il primo passo verso un “miglioramento dei rapporti bilaterali” fra il nostro paese e il Niger. La recente decisione di inviare 470 soldati, 130 mezzi e due aerei nel paese saheliano (con una spesa di 50 milioni per il 2018, 30 dei quali già stanziati per il periodo gennaio-settembre, mentre gli altri 20 dovranno essere erogati dal prossimo governo) è il nuovo capitolo di tale processo. 

Le truppe italiane saranno dislocate nella capitale Niamey e, in maggior numero, nella base settentrionale di Madama, un vecchio fortino meharista a circa cento chilometri dalla desertica frontiera con la Libia costruito dai francesi nel 1931 per contrastare l’espansionismo coloniale italiano. In una presunta ottica post-coloniale, invece, Madama rappresenta un avamposto strategico della presenza francese nel Sahel (Operazione Barkhane, che conta 4000 uomini e basi sparse dalla Mauritania al Ciad) nella lotta al terrorismo di stampo neo-jihadista. Questa remota località, infatti, si trova al centro delle piste sahariane attraversate da ingenti traffici illegali, soprattutto di armi, droga ed esseri umani. Se la potenza francese è presente nella regione nigerina di Agadez dal 2014 con obiettivi prettamente anti-terrorismo, l’intento sbandierato dall’Italia è quello di contrastare i flussi migratori in transito verso l’Europa. Sostanzialmente si mette in pratica il mix di “dimensione esterna della sicurezza e repressione delle migrazioni irregolari” sancito dal Summit di Abidjan che a fine novembre ha ridefinito i rapporti fra Europa e Africa. 

Oltre ai rischi rappresentati da una zona d’intervento molto insidiosa - nella zona di confine fra Niger e Libia, oltre 600 chilometri di sabbia e campi minati, sono attive cellule di Al Qaeda nel Maghreb Islamico e di altre sigle affiliate al gruppo Stato Islamico - un’altra forte criticità della missione italiana in Niger è rappresentata dalla percezione di tale dispiegamento da parte delle popolazioni locali. La regione settentrionale di Agadez è grande come la Francia ed è abitata da circa 500mila persone. Durante gli scorsi decenni cicliche sollevazioni armate di gruppi indipendentisti tuareg hanno incendiato i rapporti con il potere centrale, guidato dal poco popolare autocrate Mahamadou Issoufou. Recentemente la decisione del governo nigerino di siglare accordi con l’Unione Europea tesi a rinforzare i controlli delle frontiere a fronte di 120 milioni di euro di finanziamenti allo sviluppo (parte del cosiddetto Emergency Trust Fund for Africa, di cui il Niger è paese prioritario) ha inasprito le critiche delle autorità di Agadez. Un recente comunicato delle collettività regionali denuncia la quasi totale mancanza di progetti rivolti alle popolazioni del nord del Niger che, una volta di più, si sentono abbandonate e “svendute da Niamey ai bianchi”. Una situazione politica interna che appare già precaria e che rischierebbe di non reggere ulteriori pressioni destabilizzanti. 

La militarizzazione del paese, con i contingenti francesi, americani e tedeschi attivi nella lotta al terrorismo con soldati, basi e droni armati, si concentra soprattutto ad Agadez, crocevia regionale dove l’attività di molte persone dipendeva, fino a poco tempo fa, dal transito dei migranti. L’anno scorso l’applicazione di una legge che criminalizza il traffico di esseri umani ha parzialmente chiuso il passaggio dall’antica “Porta del deserto”, costringendo i migranti subsahariani ad aggirare i controlli delle forze armate nigerine, concentrate soprattutto attorno a oasi e pozzi d’acqua, e rendendo il viaggio verso la Libia più pericoloso, lungo e costoso. Secondo le associazioni nigerine che denunciano l’esternalizzazione delle frontiere europee a scapito delle popolazioni locali, come primo effetto della chiusura di Agadez le morti di migranti nel deserto (già stimate fra due e tre volte superiori a quelle nel Mediterraneo) negli ultimi mesi sono drasticamente aumentate. Un’altra tegola per i paracadutisti italiani, che nel nord del Niger saranno impegnati in una delicata e asimmetrica lotta a trafficanti e terroristi, in cui l’appoggio degli autoctoni risulterà determinante.

Se è facile capire le ragioni strategiche dell’ex madrepatria coloniale nel Sahel e in particolare in un paese come il Niger - in cui esistono importanti giacimenti di uranio, petrolio, gas naturali e oro e dove il colosso francese Areva estrae il 30% dell’uranio utilizzato nelle centrali nucleari di Francia - non paiono invece ancora chiari gli interessi economici italiani che si celano dietro un impegno militare corposo, costoso e pericoloso come quello che sta per cominciare a Niamey e Madama. 

 
Andrea de Georgio, freelance journalist e ISPI Associate Research Fellow, tra le sue ultime pubblicazioni: Altre Afriche - Racconti di paesi sempre più vicini, Milano, Egea, 2017

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Tags

missione in Niger Italia Francia Libia Africa emergenza migrazione
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AUTORI

Andrea de Georgio
reelance journalist e ISPI Associate Research Fellow

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