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Commentary

La Russia guarda a est: come cambia il rapporto con Pechino

Aldo Ferrari
|
Eleonora Tafuro Ambrosetti
17 giugno 2021

L’avvicinamento della Russia alla Cina di questi ultimi anni deve essere inquadrato all’interno del rapido declino dello scenario politico affermatosi alla fine della Guerra Fredda.  Questo ordine era fondato sulla possibilità e la volontà degli Stati Uniti di porsi alla guida della comunità internazionale, sia in pace che in guerra. Nonostante la “rivolta contro l’Occidente” verificatasi nel corso del Novecento in seguito all’affermazione di Stati comunisti – pur fondati su un’ideologia di origine europea come il marxismo – e ai processi di decolonizzazione, l’egemonia statunitense perpetuava la centralità occidentale nel sistema internazionale. E questo non solo in termini di potere, ma anche per quel che riguardava la capacità di diffusione di modelli politici, ideologici e giuridici. Una capacità che venne rafforzata profondamente dal crollo dell’URSS e dalla conseguente scomparsa dell’alternativa ideologica comunista al modello capitalista e democratico occidentale.

Questo ordine internazionale egemonizzato dagli Stati Uniti e dal modello politico e culturale dell’Occidente appare ora meno solido di ciò che la presidenza Biden vorrebbe trasmettere. Il ridimensionamento del ruolo dell’Occidente nello scenario internazionale è determinato soprattutto dalla radicale contestazione del suo modello politico, economico e culturale da parte della Cina e, in minor misura, della Russia. Due Paesi che costituiscono il nucleo principale di un numero crescente di Stati, spesso definiti revisionisti, molto diversi tra loro, ma sostanzialmente contrari alla secolare egemonia dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare. Non è un caso che Cina e Russia siano tra i principali sostenitori di due organizzazioni multilaterali che promuovono un mondo policentrico, come i BRICS e la Shanghai Cooperation Organization (SCO), spingendo verso un’agenda condivisa da altri Paesi emergenti anche in seno al G20 .

 

Russia-Cina: rapporti economici sempre più stretti

Il comune fronte anti-occidentale e una forte complementarietà economica hanno fatto sì che i due Paesi aumentassero notevolmente i loro rapporti commerciali nel corso dell’ultimo decennio. Per la Russia la Cina, con le sue ingenti necessità di risorse energetiche, rappresenta un mercato enorme, in crescita e vicino. Allo stesso tempo, la Cina fornisce alla Russia beni manifatturieri e investimenti a prezzi competitivi. Nel 2010, la Cina ha superato la Germania diventando il principale partner commerciale della Federazione russa, anche se l'Unione Europea nel suo insieme rimane il maggiore partner economico  della Russia stessa.

Tuttavia, c’è una forte disparità nella relazione: nel 2018, prima della pandemia COVID-19, la Cina rappresentava il 15,5% del commercio totale russo; la Russia, al contrario, rappresentava solo lo 0,8% del commercio totale della Cina nello stesso anno. Tali asimmetrie non sono diminuite nell’ultimo anno, come evidenziano i dati più recenti: il volume del commercio bilaterale della Cina con la Russia ha raggiunto i 40,2 miliardi di dollari tra gennaio e aprile 2021 ma, mentre le esportazioni cinesi in Russia sono aumentate del 38,7% nei primi quattro mesi dell'anno, le esportazioni di merci russe in Cina hanno registrato una crescita di appena 7,7%. Tuttavia, Mosca e Pechino hanno dichiarato di voler raddoppiare il volume degli scambi a 200 miliardi di dollari entro il 2024 e continuano a portare avanti la loro battaglia congiunta per la de-dollarizzazione. Russia e Cina stanno infatti collaborando per ridurre la loro dipendenza dal dollaro, uno sviluppo che ha ricevuto crescente attenzione da parte dei media e degli esperti di tutto il mondo. Nel primo trimestre del 2020, la quota di scambi del dollaro tra Russia e Cina è scesa al di sotto del 50% per la prima volta in assoluto, secondo dati della Banca centrale russa e del servizio doganale federale.

Russia e Cina hanno inoltre intensificato la loro collaborazione nello spazio, dopo anni in cui la cooperazione stentava a prendere forza nonostante i proclami. Lo scorso aprile, giusto un mese dopo aver annunciato la partnership per la costruzione di una stazione lunare entro il 2030, i due Paesi hanno annunciato di voler collaborare a una missione robotica nel 2024 su un asteroide chiamato Kamo'oalewa, entrando direttamente in concorrenza con le missioni degli Stati Uniti e dei suoi partner.

Anche nel settore energetico la cooperazione tra Russia e Cina si sta intensificando, seppur all’interno del quadro tradizionale che vede Mosca come fornitore energetico di Pechino. La costruzione del gasdotto Power of Siberia 2, che porterà il gas russo attraverso la Mongolia e fino a breve distanza dalla capitale cinese, è iniziata nel 2020 e porterà la Russia ad assumere una posizione preminente nelle forniture di gas a Pechino, mercato in espansione a causa della transizione ecologica che farà aumentare la domanda di gas nei prossimi anni. La scelta cinese di una rotta che attraversa un Paese terzo, la Mongolia, in tempi passati scartata proprio per evitare rischi di dipendenza, testimonia infine la maggiore assertività in politica estera della Cina, ora più consapevole della propria forza.

Gli investimenti bilaterali tendenzialmente seguono il percorso inverso rispetto a quello del gas, ma rimangono limitati da dinamiche strutturali. Se le sanzioni europee e occidentali hanno spinto Mosca a guardare verso Pechino per l’afflusso di capitali, la risposta cinese non è stata entusiasta: nel 2018 addirittura si è assistito a un deflusso di investimenti cinesi dalla Russia pari a 13 milioni di dollari. I rischi di investire in Russia restano elevati per attrarre maggiori investitori privati cinesi, e la cooperazione si è infatti concentrata a livello dei rispettivi governi. Tuttavia, un clima di rispettiva sfiducia riduce le prospettive di investimenti cinesi in Russia, a oggi prevalentemente concentrati nelle infrastrutture energetiche e nell’immobiliare.

 

Unione (inevitabile) contro l’egemonia USA?

In ogni caso non c’è dubbio che Mosca e Pechino stiano mettendo in discussione l’ordine emerso dalla dissoluzione dell’URSS, tanto in alcuni contesti geopolitici locali quanto nella dimensione globale. Ridotta al margine della vita politica internazionale dalla crisi degli anni 90 del XX secolo, sotto la guida di Putin la Russia è tornata a recitare un ruolo di assoluto rilievo. In particolare opponendosi con crescente assertività all’espansione verso Est dell’UE e della NATO, dalla quale si sente minacciata nella sua sicurezza nazionale.

In politica estera Pechino appare sinora meno aggressiva rispetto a Mosca, che dal 2008 ad oggi ha giù fatto ricorso all’uso della forza militare in Georgia, Ucraina e Siria.  Alcuni analisti vedono in questo diverso atteggiamento la conseguenza di una differenza sostanziale tra i due Paesi. Per raggiungere i propri obbiettivi la Cina avrebbe infatti bisogno di stabilità, pace, mercati stabili e commercio libero; la Russia, invece, economicamente debole, avrebbe solo da guadagnare dall’aumento della tensione internazionale. Tuttavia, questo aspetto della politica estera cinese potrebbe mutare nei prossimi anni. John Mearsheimer – un conosciuto accademico statunitense, tra l’altro spesso critico delle politiche occidentali verso la Russia – ritiene improbabile che l’ascesa della Cina possa essere indefinitamente pacifica.

Per il momento Pechino mostra con forza di voler affermare la sua centralità in Asia Orientale secondo un progetto che va evidentemente ben oltre la sovranità di alcune isolette del Mar Cinese Meridionale. Come la Russia, anche la Cina intende acquisire una sfera di influenza intorno a sé, in contrasto con la politica e gli interessi degli Stati Uniti. Ma anche questo è in realtà un obbiettivo limitato, per quanto importante. Il nocciolo della questione è proprio la contestazione della legittimità dell’ordine unipolare affermatosi dopo il crollo dell’URSS che Mosca e Pechino stanno ormai portando avanti con decisione.

Sin dalla seconda metà degli anni 90 del XX secolo Mosca sostiene infatti una visione multipolare delle relazioni internazionali, sviluppata soprattutto dall’ex ministro degli Esteri e primo ministro Evgenij Primakov e largamente incentrata sulla collaborazione con Pechino. Il termine “alleanza” non è probabilmente il migliore per indicare la reale dinamica dei rapporti russo-cinesi, segnati – oltre che dalle asimmetrie economiche – anche da possibili conflitti latenti. Questo si nota specialmente in Asia centrale, una regione ritenuta come legittima area di influenza per la Russia dove la Cina sta acquistando sempre maggior peso. Tuttavia, la comune opposizione all’egemonismo statunitense rende prioritaria la cooperazione bilaterale nonostante le possibili frizioni. Per ragioni non solo strategiche, ma anche storico-culturali, in particolare per quel che riguarda il peso delle rispettive identità nazionali. La Russia moderna ha sempre insistito con forza sulla sua specificità rispetto all’Occidente, lungamente imitato ma mai completamente assimilato. Per la Cina, invece, la rinascita nazionale che il Paese sta conoscendo dopo “I cento anni di umiliazione nazionale” (1842-1949) dell’epoca coloniale determina una rinascita del tradizionale sinocentrismo e quindi una inevitabile opposizione all’egemonia occidentale e all’unipolarismo statunitense. La Cina si è mossa peraltro con prudenza in questa linea di opposizione all’ordine internazionale emerso dal crollo dell’URSS e tendenzialmente egemonizzato dagli Stati Uniti.

 

Riformare l’ordine internazionale dall’interno

Tanto la Russia quanto la Cina possono quindi essere considerate potenze revisioniste in quanto auspicano una trasformazione dell’ordine internazionale per sottrarsi a una condizione di subalternità agli Stati Uniti che percepiscono come inaccettabile alla luce della loro storia e del loro ruolo. Al tempo stesso Mosca e Pechino non contestano le regole fondamentali dell’ordinamento internazionale, ma vogliono essenzialmente ottenere maggior importanza al suo interno, sostenendo quindi la necessità di una sua evoluzione in senso meno americanocentrico e più pluralistico.

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AUTORI

Aldo Ferrari
ISPI
Eleonora Tafuro Ambrosetti
ISPI

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