La Siria che si avvia alle elezioni presidenziali, previste per il 26 maggio, è un paese diviso. Il voto si svolgerà, infatti, soltanto all’interno delle aree controllate dalle forze governative fedeli al presidente Bashar al-Assad. Vaste porzioni di territorio rimangono, di fatto, fuori dal controllo dello stato centrale: all’interno di gran parte della zona orientale dominano i gruppi curdi legati al Partito dell’unione democratica (Pyd), ideologicamente vicino al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). A nord-ovest, vicino al confine con la Turchia, permane una zona controllata da una serie di forze ribelli, in gran parte d’ispirazione islamista, specialmente nella zona di Idlib. Nell’area più a nord esistono alcune porzioni di territorio amministrate da milizie e gruppi politici legati alla Turchia. Infine, permane una sacca controllata dai ribelli vicino al confine con la Giordania.
Le evoluzioni politiche ed economiche nelle aree governative
L’attuale situazione dal punto di vista militare è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi mesi. La guerra civile siriana è ormai entrata da più di un anno in una fase di bassa intensità in cui le linee del fronte sono rimaste sostanzialmente inalterate. Tale assenza di operazioni militari su larga scala si accompagna a un’altra caratteristica dell’attuale fase del conflitto siriano, ossia la preminenza degli attori esterni su quelli locali. In breve, non sono gli attori locali, ma le potenze regionali e internazionali a determinare le dinamiche del conflitto. Allo stato attuale, i principali alleati dei gruppi locali presenti nel paese sono Iran e Russia per le forze governative, Turchia per una parte delle forze ribelli che operano nel nord del paese, e gli Stati Uniti per le milizie curde. Nel contesto attuale né le forze fedeli ad Assad né quelle che si oppongono al regime siriano possono ottenere vittorie significative senza l’appoggio dei loro principali sostenitori internazionali, in quanto troppo deboli per lanciare operazione militari su larga scala.
Partendo da questa premessa di contesto, è necessario analizzare le dinamiche internazionali per identificare possibili cambiamenti nel conflitto nei prossimi mesi che potrebbero interrompere l’attuale fase di stasi. La prima novità è rappresentata dal deterioramento dei rapporti tra Russia e Turchia, legato alla forte presa di posizione di Ankara contro le milizie filo-russe in Ucraina[1]. Qualora l’attuale tensione arrivasse a una vera e propria crisi diplomatica ci potrebbero essere conseguenze sul conflitto siriano, dove la Russia e la Turchia hanno un ruolo decisivo. I due paesi, infatti, si sono trovati negli scorsi anni su fronti opposti, ma sono sempre scesi a patti per determinare le rispettive aree di influenza. Un inasprimento delle relazioni diplomatiche potrebbe contribuire ad aumentare l’attrito tra i gruppi legati alla Turchia e le forze del regime di Assad, sostenute dalla Russia. Un conflitto tra questi due fronti aumenterebbe inevitabilmente il livello dello scontro nel nord della Siria – dove già nell’ultimo periodo le tensioni si sono acuite –, aprendo una nuova fase del conflitto.
Un’altra dinamica internazionale che potrebbe avere delle conseguenze sul conflitto è quella legata allo scontro tra Israele e Iran. All’interno del territorio siriano agiscono, infatti, varie milizie paramilitari legate a Teheran. A fine aprile è stato trovato un missile nella zona di Dimona, dove si trova il reattore nucleare israeliano. Israele ha subito accusato i gruppi filo-iraniani attaccando alcuni di loro con un bombardamento aereo in territorio siriano. Ciò che preoccupa di questo episodio è il fatto che il missile non sia stato intercettato dai sistemi di sicurezza israeliani[2], rappresentando certamente agli occhi di Tel-Aviv un potenziale salto di qualità della minaccia iraniana. Tale circostanza potrebbe spingere Israele ad attaccare con più forza e frequenza le milizie vicine all’Iran in territorio siriano per impedire che attacchi di questo tipo mettano in pericolo siti strategici per la sicurezza nazionale.
La presenza di forze armate paramilitari legate all’Iran rappresenta sempre più un problema anche per la stessa Damasco, che deve contare su gruppi armati locali per mantenere il controllo del territorio. Il tema principale è che il governo centrale è troppo debole per imporre il disarmo di questi gruppi e deve così assicurarsi la loro fedeltà. Fino a questo momento è stata utilizzata una strategia che permettesse a queste formazioni di beneficiare delle limitate rendite presenti nel paese, ad esempio concedendo loro di creare dei posti di blocco per estorcere denaro alla popolazione locale[3], Tale strategia consente di evitare di indirizzare verso questi gruppi dei pagamenti, ma finisce per indebolire lo stato centrale, che deroga al monopolio dell’uso della forza sul suo territorio. Inoltre, questi gruppi hanno ormai creato una rete di sostegno locale, creando legami con figure di spicco di alcune regioni della Siria per ottenere informazioni e perseguire i propri interessi. Un’alternativa a tale sistema sarebbe quello di creare un consiglio militare per istituzionalizzare queste organizzazioni paramilitari. Tuttavia, una scelta del genere costringerebbe lo stato centrale a riconoscere a questi gruppi un ruolo formale nel sistema di potere, drenando verso di loro risorse pubbliche. A complicare la questione c’è anche la presenza di forze paramilitari siriane, le Forze di difesa nazionale, che chiedono di essere incluse nel futuro sistema di potere. Su questo punto fino a ora il governo siriano non ha ceduto, ma la situazione potrebbe cambiare nei prossimi mesi[4].
Dal punto di vista della politica interna, l’evento principale dei mesi a venire riguarderà le elezioni presidenziali del prossimo 26 maggio. La vittoria dell’attuale presidente è scontata, vista la natura dittatoriale del paese, ma l’organizzazione della tornata elettorale sarà un momento importante per verificare l’efficacia della struttura di potere governativa. In questo senso, più che la percentuale di voti per Assad sarà importante misurare l’affluenza alle urne nelle varie zone del paese come indicatore della capacità dell’apparato statale di mobilitare l’elettorato in una situazione di crisi e dell’affezione dei siriani nei confronti dell’attuale sistema politico.
Un’altra importante sfida che il governo siriano si troverà a dover affrontare è quella economica. Nel 2019 le stime indicano che l’83% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà[5], e alcuni dati recenti stimano che questa percentuale arrivi addirittura al 90%[6]. Il potere d’acquisto di gran parte della popolazione, anche quella lavoratrice, è in calo in tutto il paese. La ragione principale è l’aumento dei prezzi dei prodotti di importazione, che rappresentano la quasi totalità dei beni consumati in un paese in guerra. In dieci anni il cambio tra lira siriana e dollaro è passato da 47 lire per un dollaro a 2512 e, al mercato nero, ha ormai raggiunto il valore senza precedenti di 2990[7]. In tale contesto, il governo fatica sempre di più a fornire servizi alla popolazione e a reperire risorse per ricostruire le zone distrutte da dieci anni di conflitto.
L’attuale situazione di crisi economica sta avendo ripercussioni sulla tenuta politica del regime. La povertà ormai sempre più diffusa tra la quasi totalità della popolazione, compresi quei settori della società che avevano sostenuto Bashar al-Assad, indebolisce la fiducia nel governo. In assenza di una generale soddisfazione economica per il miglioramento delle condizioni di vita materiale della popolazione, la capacità del presidente siriano di mantenere il potere è sempre più legata al grado di sostegno da parte delle forze di sicurezza, che però sono in parte legate all’Iran. Il dilemma di Assad è perciò che il governo è attualmente troppo debole per potere controllare da solo il territorio, finanziare la ricostruzione, e mantenere un grado minimo di servizi nel paese e deve sempre più dipendere dai suoi alleati, Russia e Iran, per garantirsi la sopravvivenza. Tuttavia, affidarsi a potenze straniere significa anche perdere progressivamente risorse e legittimità, che sono le due condizioni principali di qualsiasi potere politico per governare.
Rischi di escalation: il delicato equilibrio nel nord-ovest della Siria
Nel nord-ovest della Siria – in particolare, nella parte settentrionale del governatorato di Idlib e in alcune aree contigue – l’attore dominante è Hayat Tahrir al-Sham, gruppo islamista militante un tempo affiliato ad al-Qaeda, che deve però convivere con vari altri gruppi armati nell’area. Se la situazione di “congelamento” dello status quo rilevata finora – dovuta in parte anche all’attuale pandemia da Covid-19 – sembra persistere, è innegabile che si tratta di un equilibrio particolarmente delicato. Per quanto concerne le dinamiche interne all’opposizione armata locale, in continuità con quanto avvenuto soprattutto a partire dall’estate 2020, Hayat Tahrir al-Sham ha continuato anche di recente a bersagliare le componenti qaidiste presenti nell’area e le cellule legate al sedicente Stato islamico (IS) – in un tentativo di consolidare ulteriormente la propria presa nell’enclave di Idlib, nonché per accreditarsi agli occhi degli attori esterni, specialmente della Turchia, come interlocutore locale, che si distanzia dal jihadismo di ispirazione qaidista.
Nella regione, il perdurare delle ostilità – con attacchi aerei, lanci di missili e scontri tra gruppi armati locali – continua ad avere un drammatico impatto sulla vita della popolazione civile. In particolare, nella seconda metà di marzo, si è verificata quella che è la più intensa escalation da un anno a questa parte, con una scia di attacchi da parte delle forze che sostengono Assad. Il timore è che questa escalation possa portare alla crisi dell’accordo turco-russo siglato nel marzo 2020 che istituiva un cessate-il-fuoco nella zona di Idlib. Un attacco delle forze governative ha colpito un ospedale presso al-Atarib, nel governatorato di Aleppo; sono stati registrati in seguito un attacco missilistico e dei raid russi nella zona al confine con la Turchia, anche nei pressi del valico frontaliero di Bab al-Hawa. Sono seguiti altri attacchi governativi nelle zone controllate dall’opposizione, e contrattacchi con mortaio da parte dei gruppi ribelli[8]. Quest’offensiva nella regione al confine con la Turchia ha destato particolare preoccupazione, soprattutto perché si tratta di una zona in cui risiedono molti rifugiati e in cui vi sono sedi e magazzini di varie organizzazioni umanitarie; nella fattispecie, dopo la risoluzione delle Nazioni Unite dello scorso luglio, il valico di Bab al-Hawa resta l’unico punto di passaggio per il trasporto degli aiuti umanitari dalla Turchia.
L’escalation è avvenuta in coincidenza con altri due sviluppi. In primo luogo, nello stesso periodo è emersa nuovamente la questione dell’apertura dei valichi tra le zone controllate dall’opposizione e quelle sotto il controllo del regime (ora chiusi). Dal punto di vista di Damasco, ciò potrebbe alleviare le criticità socio-economiche nelle aree sotto il suo controllo. Tuttavia, alcuni osservatori ritengono che un’eventuale riapertura fornirebbe maggiore influenza agli attori legati al regime, che potrebbero controllare il flusso di aiuti umanitari lungo questi corridoi. Nella seconda metà di marzo, la Russia ha annunciato di aver raggiunto un accordo con la Turchia per la riapertura di tre di questi valichi (nella zona di Idlib e nell’est del governatorato di Aleppo); tuttavia, la Turchia ha smentito tale dichiarazione[9]. Inoltre, l’11 marzo a Doha, in Qatar, si è tenuto un incontro trilaterale tra i ministri degli Esteri di Russia, Turchia e Qatar – rispettivamente, Sergei Lavrov, Mevlüt Çavuşoğlu e Mohammed bin Abdulrahman al-Thani –, per lanciare un nuovo processo trilaterale[10], che potrebbe essere visto dalla Turchia come un canale diplomatico per rafforzare la propria posizione e “controbilanciare” l’influenza della Russia, che sostiene Assad.
Dal punto di vista sanitario, una notizia significativa per la Siria è l’arrivo della prima fornitura di vaccini con il programma Covax: il 22 aprile, sono state consegnate circa 54.000 dosi del vaccino Oxford-AstraZeneca nel nord-ovest del paese, mentre circa 200.000 dosi sono giunte a Damasco[11]. L’avvio del programma di vaccinazioni è previsto per l’inizio di maggio. Nelle settimane a venire, è previsto l’arrivo di ulteriori forniture: entro la fine dell’anno, si mira alla copertura vaccinale di 850.000 persone nel nord-ovest del paese[12].
Il nord-est della Siria e le zone desertiche: le tensioni tra Damasco e le Forze siriane democratiche, la guerriglia di IS e l’incognita di al-Hawl
Negli ultimi mesi, nel nord-est della Siria – regione sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma a guida curda – si è osservato un aumento delle tensioni tra le Forze democratiche siriane (Fds, la cui componente maggioritaria è rappresentata dalle Unità di protezione popolare curde - Ypd) e le forze governative e filogovernative. Le dispute e la conflittualità tra le due parti nella regione nordorientale del paese non sono un fatto inedito. Significative tensioni erano già emerse lo scorso gennaio, con l’assedio da parte delle Fds delle città di al-Qamishli e al-Hasaka – centri che sono in prevalenza sotto il loro controllo, ma in cui ancora persistono sacche in mano alle forze che sostengono Assad. Nella seconda metà di aprile, ad al-Qamishli, la situazione si è aggravata, con violenti scontri tra le Fds e le Forze nazionali di difesa (Ndf, milizie filogovernative), che si sono protratti per giorni. Tuttavia, le criticità permangono e la situazione rimane instabile. Ulteriori tensioni, poi, derivano dalla decisione del regime di rafforzare la propria presenza militare nella regione del nord-est, ad esempio presso la cittadina di Ayn Isa, sotto il controllo delle Fds. Di fatto, già dall’ottobre 2020, la cittadina è teatro di scontri tra le milizie filo-turche e le Sdf; queste ultime temono che il regime e la Russia possano stringere un accordo con la Turchia, avente come obiettivo la loro espulsione.
Dal punto di vista della sicurezza, i miliziani di IS continuano a essere particolarmente attivi nelle zone desertiche centrali e orientali della Siria (indicate con il nome di badiya), dove portano avanti una guerriglia sia contro le Sdf, sia contro le forze che sostengono Assad. Dunque, benché IS – allo stato attuale – appaia maggiormente focalizzato su altri teatri, in primis le regioni dell’Africa centrale e occidentale, ciò non significa che abbia dimenticato il quadrante siriano. Proprio nel mese di febbraio, si è osservata un’ondata di attacchi “mordi e fuggi” di IS contro le postazioni del regime e dei suoi alleati. Sono seguiti bombardamenti russi sulle posizioni di IS nel deserto siriano, nel “triangolo” tra i centri di Aleppo, Hama e al-Raqqa (rispettivamente, nel nord-ovest, nell’ovest e nel centro-est del paese)[13]. IS, nella propria propaganda, riserva inoltre particolare attenzione alle prigioni e agli appelli per liberare i miliziani incarcerati. Operazioni di questo tipo sono già avvenute in passato – nell’estate 2020, per esempio, vi è stato un assalto al carcere di Jalalabad, in Afghanistan – e pertanto è possibile che i miliziani di IS intendano compiere attacchi di questo tipo anche in Siria[14].
Infine, la questione del campo di al-Hawl – in cui un’emergenza umanitaria si intreccia a problematiche di sicurezza – desta particolare preoccupazione. In questo campo – situato nel nord-est della Siria, al confine con l’Iraq – vivono circa 62.000 persone, oltre l’80% delle quali donne e bambini[15], compresi molti famigliari di presunti membri di IS. Le condizioni umanitarie sono estremamente critiche, con sovraffollamento, scarse condizioni igieniche e accesso limitato alle cure mediche, aggravate dall’attuale pandemia. A ciò si sommano criticità sul piano della sicurezza, che si sono acuite nel corso dell’anno: sono infatti aumentati gli atti di violenza compiuti dagli “irriducibili” fedeli all’IS ai danni non solo delle guardie, ma anche degli altri residenti del campo (tra cui anche soggetti minorenni). Dall’inizio dell’anno, sono state uccise 47 persone, mentre 82 persone erano state assassinate nella seconda metà del 2020[16]. Alla fine del mese di marzo le Fds hanno lanciato una massiccia campagna di arresti, inviando soldati e poliziotti delle forze di sicurezza (Asayish) e arrestando 125 persone con l’accusa di avere legami con lo Stato islamico[17]. La situazione di al-Hawl è poi legata alla questione dei rimpatri dei residenti aventi una cittadinanza diversa da quella siriana o irachena, che si trovano in una sorta di “limbo”. Si calcola infatti che nei campi del nord-est della Siria vi siano 11.000 stranieri, di cui la maggior parte (9.000) ad al-Hawl. Se gli Usa, la Russia e altri paesi come il Kazakistan, l’Uzbekistan e il Kosovo hanno proceduto più sistematicamente con il rimpatrio dei propri cittadini, gli altri stati, tra cui quelli europei, sono sembrati finora più riluttanti in questo senso, attuando un più ristretto numero di rimpatri[18]. Un recente caso italiano è quello di Alice Brignoli, recatasi in Siria nel 2015 e arrestata e rimpatriata in Italia con i propri quattro figli nell’autunno 2020.
[1] H. Kazancı, Turkey, Ukraine vow to strengthen strategic partnership, Anadolu Agency, 10 aprile 2021.
[2] M. Chulov e O. Holmes, “Israel confirms Syrian missile landed near Dimona nuclear reactor”, The Guardian, 22 aprile 2021.
[3] A. Ahmed, “Pro-Iran militias in Syria soak merchants for cash at checkpoints”, Al-Monitor, 21 dicembre 2020.
[4] A. Darwish, N. Ramadan e H. al-Mahmoud, “A military council in Syria –the what; the why; and the who of the idea”, Enab Baladi, 26 marzo 2021.
[5]United Nations calls for sustained support to Syrians and the region ahead of Brussels conference, UNHCR - The UN Refugee Agency, 13 marzo 2019.
[6]Opening remarks by Akjemal Magtymova, Head of Office and WHO Representative, Syria, Regional Office for the Eastern Mediterranean, World Health Organization (WHO), 14 aprile 2021.
[7] S. al-Khalidi, “Syrian pound improves after central bank raises exchange rate”, Reuters, 18 aprile 2021.
[8]Series of Strikes Show Pressures Building on Northwest Syria Aid Response, Center for Operational Analysis and Research (COAR), 29 marzo 2021.
[9] “Domestic and border crossings: Russia’s mean to stifle northern Syria”, Enab Baladi, 2 aprile 2021.
[10] M. Chmaytelli, T. Gumrukcu e T. Balmforth, “Turkey, Russia, Qatar to push for political resolution in Syria”, Reuters, 11 marzo 2021.
[11]Syria receives its first delivery of COVID-19 vaccines through the COVAX Facility, Regional Office for the Eastern Mediterranean, World Health Organization (WHO), 22 aprile 2021.
[12] “First batch of COVID-19 vaccines arrives in northwest Syria”, Reuters, 21 aprile 2021.
[13] “Syria war: Russian jets 'bomb IS positions in desert region'”, BBC, 24 febbraio 2021.
[14] Si veda I. Levy, The Islamic State Threat in Syria Two Years After the Caliphate, The Washington Institute for Near East Policy, 31 marzo 2021.
[15]United Nations Resident Coordinator and Humanitarian Coordinator in Syria, Imran Riza, and Regional Humanitarian Coordinator for the Syria Crisis, Muhannad Hadi – Joint Statement on the Deteriorating Security at Al Hol Camp, United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 21 gennaio 2021.
[16] A. Darwish, “Expected consequences of SDF's security operation against IS cells in al-Hol camp”, Enab Baladi, 7 aprile 2021.
[17]Ibid.
[18] L. Mauvais, “Is 2021 the year for decisive steps towards repatriating the foreign children held in northeast Syria camps?”, Syria Direct, 1 marzo 2021.