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Focus Mediterraneo allargato n.19

La Siria tra riconoscimento regionale e fratture interne

Silvia Carenzi
|
Matteo Colombo
06 giugno 2022

La Siria sembra essere ormai avviata verso un percorso di progressivo riconoscimento da parte di svariati paesi della regione, che potrebbe culminare con la piena reintegrazione di Damasco nella Lega araba. Contestualmente, la guerra continua senza cambiamenti significativi delle linee del fronte. In particolare, nel nord del paese, che non è sotto il controllo delle forze governative, si possono distinguere tre tipi di attori non statuali che esercitano un controllo territoriale:

  1. le Forze democratiche siriane (Sdf) a trazione curda nel nord-est del paese (e presenti anche in una piccola enclave nel nord-ovest), espressione dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est. Proprio in questa regione sono stazionati tuttora circa 900 soldati statunitensi[1].
  2. Vi è poi l’Esercito nazionale siriano (Sna), attivo in due ampie sacche al confine con la Turchia. Si tratta di una formazione-ombrello filo-turca che comprende vari gruppi dell’opposizione armata.
  3. Infine, vi è il gruppo islamista militante Hayat Tahrir al-Sham (Hts, un tempo noto come Jabhat al-Nusra e affiliato ad al-Qaeda, da cui si è staccato nel 2016), che controlla l’area di Idlib nel nord-ovest. Negli ultimi cinque anni, Hts ha avviato un dialogo con la Turchia – ad esempio, coordinandosi con Ankara in occasione dell’intervento di quest’ultima nel nord-ovest della Siria nel 2017 –, e attualmente cerca di presentarsi come interlocutore a livello internazionale.

Pertanto, alla luce di questo quadro, le dinamiche interne siriane continuano a essere influenzate dalle decisioni degli attori esterni che – in un modo o nell’altro – hanno mantenuto un’area di influenza nel paese: la Turchia per quanto riguarda le zone in mano ai gruppi armati ribelli nel nord-ovest e alcune zone di confine nel nord-est; gli Stati Uniti per l’area dell’est; l’Iran e la Russia per quelle zone controllate dal regime siriano. Un indebolimento o un rafforzamento di Mosca dopo la guerra in Ucraina potrebbe perciò avere delle conseguenze importanti nel paese. La frammentazione interna appare sempre più netta e potrebbe portare a nuovi scontri interni ai gruppi armati che non si riconoscono nel governo di Damasco.

 

Damasco: diplomazia, guerra in Ucraina e fratture interne

Il cambiamento più significativo degli ultimi mesi è stato il progressivo miglioramento delle relazioni della Siria con gli altri paesi della regione. In particolare, è stato rilevante il viaggio del presidente Bashar al-Assad negli Emirati Arabi Uniti, che in passato aveva adottato un atteggiamento molto ostile nei confronti del governo di Damasco. I due paesi potrebbero trovare delle convergenze su diversi temi, come quello della comune lotta nei confronti dell’islamismo legato ai Fratelli Musulmani. La Turchia potrebbe forse essere la prossima a scegliere di riprendere i suoi rapporti diplomatici con la Siria in futuro[2] in una logica di gestione della questione dei rifugiati, 3,7 milioni[3], e di collaborazione contro le Sdf e la loro componente principale, le Unità di protezione popolare (Ypg), che Ankara considera ideologicamente legate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Altri stati, come l’Egitto e il Bahrein, avevano già avviato delle relazioni con la Siria a livello formale o informale. L’Arabia Saudita resta ancora tra i paesi che non intendono riprendere relazioni diplomatiche con la Siria in tempi brevi, ma non è escluso un cambiamento di posizione in un’ottica di più lungo termine.

La guerra in Ucraina sta avendo delle conseguenze immediate sulla Siria, ma potrebbe produrre sviluppi più profondi nel medio e lungo termine. Diverse migliaia di siriani sarebbero state reclutate per combattere in Ucraina, in particolare tra i combattenti delle milizie della Forze di difesa nazionale (Ndf), che rappresentano il gruppo principale di combattenti lealisti a fianco del presidente Assad. Secondo il ministero della Difesa russo, si tratterebbe di circa 16.000 combattenti siriani[4], che però sembra non siano stati ancora impegnati sul campo[5]. Un’altra conseguenza indiretta del conflitto è legata alla radicale riduzione delle esportazioni di grano e altri beni alimentari dall’Ucraina, che sta avendo conseguenze gravi sui prezzi alimentari. In Siria, dove circa il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà[6], tale incremento rischia di avere conseguenze umanitarie più gravi che in altri paesi. Secondo gli ultimi dati disponibili, c’è stato un aumento del prezzo del paniere alimentare del 24% in un solo mese (da febbraio a marzo 2022)[7]. Infine, il conflitto potrebbe portare nei prossimi mesi a una riduzione della capacità della Russia di sostenere il regime di Bashar al-Assad a causa della crisi economica e delle perdite militari. In altre parole, un eventuale indebolimento della Russia, uno dei principali sostenitori di Assad, avrebbe delle pesanti ricadute sul governo di Damasco. Il presidente Assad potrebbe reagire cercando di legarsi ancora di più all’Iran o, come suggeriscono le mosse diplomatiche recenti, avvicinarsi ai paesi del Golfo per ottenere sostegno politico e finanziamenti.

Nelle ultime settimane, inoltre, sono stati effettuati diversi bombardamenti da parte israeliana contro obiettivi legati all’Iran in Siria. Tali operazioni non sono una novità nel contesto siriano, ma la scelta di colpire la zona della capitale siriana segnala il crescente timore di Israele per la presenza sempre consistente di gruppi vicini a Teheran nel paese, in particolare nella zona vicino al confine. Fonti sul campo segnalano che, in diverse zone della Siria, le forze legate all’Iran avrebbero ormai un’influenza maggiore delle forze nazionaliste pro-Assad, come le Ndf[8]. Tale influenza starebbe creando tensione tra i gruppi filo-iraniani e le forze nazionaliste pro-Assad nell’est, in particolare a Deir Ez Zor e al-Hasaka, in competizione tra loro per l’accaparramento delle risorse territoriali in un contesto di guerra. Si tratta in particolare della riscossione di denaro da parte di chi transita nei checkpoint e di tributi, nonché della gestione di vari traffici illegali.

 

Tensioni e instabilità nel nord della Siria

Complessivamente, nel nord della Siria negli ultimi quattro mesi sembrano essersi delineate tre dinamiche principali: in primis, le crescenti tensioni tra i diversi attori attivi in questa macro-regione (sia statuali sia non statuali); in secondo luogo, le attività dei miliziani affiliati al sedicente Stato islamico (IS), che pur non controllando più stabilmente alcun territorio, continuano a operare con modalità di guerriglia; infine, le incognite per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, che potrebbe avere un impatto non solo sul supporto fornito da Mosca a Damasco, ma anche sugli equilibri militari nel nord della Siria.

Per quanto riguarda le tensioni tra i vari attori nel nord della Siria, si segnalano crescenti ostilità tra le Sdf e le forze governative, sfociate nel mese di aprile in una situazione di “assedio reciproco”. Infatti, le forze governative hanno assediato i quartieri a maggioranza curda (e controllati dall’Amministrazione autonoma delle Sdf) ad Aleppo; in risposta, le Sdf hanno imposto misure analoghe nei quartieri sotto il controllo delle forze governative a Qamishli e al-Hasaka, nel governatorato di al-Hasaka. Dinamiche simili si erano già verificate all’inizio del 2021[9]. In questi mesi, poi, sono continuate le tensioni tra le Sdf e le forze filoturche – con attacchi nelle zone controllate da queste ultime al ridosso con la Turchia, attribuiti da Ankara alle Sdf, e contro-attacchi da parte delle forze filo-turche nelle aree sotto il controllo delle Sdf. Ciò, peraltro, avviene in un contesto in cui Ankara ha lanciato l’intervento militare Operation Eagle (lo scorso febbraio)[10], avente come bersaglio obiettivi ritenuti legati al Pkk in Siria e Iraq. Infine, si registrano altresì nuovi attacchi da parte delle milizie filo-iraniane nell’est del paese: dopo l’attacco dello scorso gennaio, la base militare “Green Village” – situata nel governatorato di Deir Ez Zor e in cui è presente anche del personale statunitense – è stata nuovamente colpita in aprile[11].

Per quanto riguarda la presenza di IS nella Siria settentrionale, lo scorso gennaio si è registrato un salto di qualità negli attacchi dell’organizzazione. Infatti, i miliziani del gruppo hanno attaccato la prigione di al-Sina ad al-Hasaka – nel nord-est della Siria, sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma delle Sdf. Nel centro di detenzione – in cui si trovano circa 3.000 presunti membri di IS e 700 minori[12] – è in seguito scoppiata una rivolta e vi sono stati scontri anche nei pressi della prigione. L’operazione delle Sdf volta a riprenderne il controllo è durata più di una settimana, protraendosi fino a fine gennaio; in totale, sono morti oltre 300 membri e/o persone legati a IS, più di 100 operativi delle Sdf e 4 civili. Non è chiaro quanti miliziani di IS siano effettivamente riusciti a evadere: alcune fonti parlano di poche decine, mentre altre riferiscono di qualche centinaio. In ogni caso, si è trattato indubbiamente del maggiore attacco di IS in Siria dal 2019, anche se nel corso di questi anni vi sono stati svariati altri attacchi di minore entità che hanno colpito le prigioni (anche al di fuori della Siria, per esempio in Afghanistan). In particolare, in totale, il solo centro di detenzione di al-Sinaa è stato teatro di rivolte di detenuti legati a IS e/o di tentativi di attacco da parte dei miliziani circa 20 volte[13]; l’ultimo di questi piani d’attacco è stato sventato lo scorso novembre. Con l’attacco di gennaio (seppure fallito), IS ha dimostrato di essere ancora attivo e in grado di pianificare operazioni di una certa complessità, nonché di essere capace di sfruttare le vulnerabilità legate al contesto locale. Oltre all’episodio di al-Sinaa, in questi mesi è proseguito un trend, ormai delineato da tempo, che vede IS sferrare attacchi ai danni sia delle forze governative, sia delle Sdf – nella regione centrale desertica nota come badiya, nonché nelle zone più orientali del paese (per esempio nel governatorato di Deir Ez Zor). D’altro canto, se questi attacchi dimostrano la perduranti capacità operative di IS, di recente il gruppo ha anche subito un’importante perdita, non da ultimo sul piano simbolico: a inizio febbraio, durante un raid delle forze speciali statunitensi nel nord-ovest della Siria, nel governatorato di Idlib, è morto il leader del gruppo, il sedicente califfo Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi. Nel mese di aprile IS ha annunciato l’inizio di una campagna per la “vendetta dei due sceicchi”, ossia per vendicare la morte dell’ex leader al-Qurashi e quella dell’ormai ex portavoce Abu Hamza al-Qurashi, esortando i sostenitori di IS a compiere attacchi anche nei paesi occidentali[14].

Infine, vi sono diverse incognite per quanto concerne il possibile impatto della guerra in Ucraina sulle dinamiche politiche e militari nel nord della Siria – specialmente nel nord-ovest e nella zona di Idlib, dove dal marzo 2020 è in vigore un cessate-il-fuoco in seguito a un accordo tra la Turchia e la Russia. Come già menzionato, il sostegno fornito da Mosca ad Assad potrebbe uscirne ridimensionato. Tuttavia, non è garantito che ciò porti automaticamente a una riduzione della presenza militare russa nel nord-ovest della Siria, perlomeno nell’immediato. Attualmente il cessate-il-fuoco resiste, nonostante le ripetute violazioni e gli attacchi da parte delle forze che sostengono il governo di Damasco, ma si tratta di un equilibrio molto delicato. Paradossalmente, se Mosca dovesse trovarsi sempre più “impantanata” nel conflitto in Ucraina, potrebbe intensificare l’offensiva nel nord-ovest della Siria per mettere pressione alla Turchia, che è un membro Nato e un intermediario di spicco nel contesto ucraino[15].

 

SOURCES:

[1] J. Szuba, “Four US soldiers injured by rocket attack in Syria”, Al-Monitor, 7 aprile 2022.

[2] N. Babacan, “Suriye'de yeni süreç başlar mı?”, Hurriyet, 4 aprile 2022.

[3] UNHCR, UNHCR Turkey - Fact Sheet February 2022, 23 marzo 2022.

[4] K. Chehayeb, “In Syria, Russia leads effort to recruit fighters for Ukraine”, Al Jazeera, 1 aprile 2022.

[5] D. Makki, “Why haven’t Syrian fighters joined Russia's war efforts yet?”, The New Arab, 27 aprile 2022.

[6] UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 2021 Humanitarian Needs Overview: Syrian Arab Republic (March 2021), 31 marzo 2021.

[7] World Food Program, Syria Country Office Market Price, Watch Bulletin Issue 88, March 2022, 27 aprile 2022.

[8] S. Dadouch, “Iran is putting down roots in eastern Syria, outcompeting Assad's regime in signing up fighters”, Washington Post, 28 gennaio 2022.

[9] Center for Operational and Analysis Research (COAR), SDF Imposes Siege on Government of Syria Enclaves in Response to Siege of Sheikh Maqsoud, 18 aprile 2022.

[10] International Crisis Group, CrisisWatch: Syria, gennaio e febbraio 2022.

[11] S. Kittleson, “Attacks target US forces on both sides of Iraqi-Syrian border”, Al-Monitor, 9 aprile 2022.

[12] W. Al Nofal, “In the Islamic State's Hasakah attack, warnings of an expected return”, Syria Direct, 3 febbraio 2022.

[13] M. Hassan e S. al-Ahmed, A closer look at the ISIS attack on Syria’s al-Sina Prison, The Middle East Institute, 14 febbraio 2022.

[14] Jihadology, “New audio message from the Islamic State's Abu Umar al-Muhajir: Fight Them; God Will Punish Them by Your Hands”, 17 aprile 2022.

[15] Center for Operational and Analysis Research (COAR), Crisis in Ukraine: Impacts for Syria, 10 marzo 2022.

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MENA Siria
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AUTORI

Silvia Carenzi
ISPI, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant'anna
Matteo Colombo
ISPI e Clingendael

Image credits: Violaine Martin (CC BY-NC-ND 2.0)

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