La società civile tunisina ha svolto un ruolo centrale nel processo di transizione e può essere inserita a pieno titolo tra i suoi fattori di maggior successo. Chawqi Gaddes, giurista costituzionalista dell’Università di Cartagine, annovera la società civile in testa ai tre elementi che definiscono la specificità tunisina nel panorama arabo insieme al ruolo patriottico dell’esercito e allo statuto sociale della donna. La società civile in Tunisia, del resto, gode di un’autonomia antica ed è andata di pari passo con la nascita di associazioni di categoria e di organizzazioni non governative.
Anche il maggiore sindacato, l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini (Ugtt secondo l’acronimo francese) ha influito positivamente nella fase di stesura della nuova costituzione, non solo portando avanti lotte in difesa dei lavoratori e battendosi per la costituzionalizzazione dei loro diritti ma anzi proprio fuoriuscendo talvolta da quest’alveo. Non è casuale che il “Quartetto” che a fine 2013 ha sciolto l’enigma della successione al governo Laraayedh, proponendo la formazione dell’esecutivo tecnico di Mehdi Jomaa dopo l’uccisione di Belaid e Brahmi, abbia riunito proprio l’Ugtt insieme al sindacato degli industriali (Utica), l’associazione degli avvocati e la lega tunisina dei diritti umani. La società civile, dunque, ha preso parte attivamente nei negoziati del dialogo nazionale che ha permesso di ultimare la costituzione a gennaio 2014 e ha aperto la strada alle elezioni legislative e presidenziali di ottobre e novembre.
Tuttavia il quartetto, e l’Ugtt nello specifico, è stato anche aspramente criticato per l’eccesso di coinvolgimento nelle sorti politiche del paese. Pur riconoscendo il pregevole sforzo che ha evitato il fallimento della transizione, i partiti hanno lamentato la forte politicizzazione del sindacato che è andato ben oltre il ruolo di arbitraggio.
Ben diverso è stato il ruolo di Ong come Femmes Démocrates, Afturd e al-Bawsala. Le prime due hanno sostenuto i diritti delle donne e, soprattutto, hanno reagito alla proposta di alcune frange islamiste (non soltanto provenienti da Ennahda) di definire i rapporti tra uomo e donna in termini di complementarietà. L’opposizione, concretizzatasi in sit-in, manifestazioni e adunanze pubbliche davanti all’Assemblea Nazionale Costituente al Bardo, ha fatto in modo che la proposta fosse ritirata lasciando il posto alla parità effettiva. In vista delle elezioni legislative del 26 ottobre, le associazioni femministe hanno anche organizzato assemblee informative sulle donne a capo delle liste elettorali. Il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, ad esempio, ha lamentato la scarsa presenza di donne capoliste in tutti i partiti politici. Se è vero, infatti, che Ennahda conta un gran numero di candidate, costoro non occupano una posizione apicale nelle circoscrizioni. Pertanto la loro elezione sarà condizionata dal numero di voti effettivi che la lista sarà in grado di catalizzare.
Al-Bawsala, invece, fin dal 2011 ha svolto un vero ruolo di watchdog sui lavoro dell’Assemblea Costituente. Come spiega Amira Yahyaoui, una delle fondatrici, l’esigenza di un’attività di monitoraggio costante dei lavori della Costituente si è reso necessario per motivi di trasparenza. Dopo decenni di autoritarismo, la Tunisia ha sperimentato un eccesso di partecipazione democratica che facilmente avrebbe potuto vanificare il margine di libertà prodotto dal crollo del regime benalista. Fino al dissolvimento dell’Assemblea, al-Bawsala ha raccolto le più diverse informazioni sull’operato di ciascun deputato, dal numero totale di assenze alla preferenza espressa per un disegno di legge o un articolo della Costituzione, garantendo un’efficiente opera di trasparenza.
Le organizzazioni islamiste
La società civile tunisina consta anche di organizzazioni islamiste. Una delle principali è, senza dubbio, il Center for the Study of Islam and Democracy (Csid) diretto da Radwan Masmoudi. Nato già negli anni ’90 negli Stati Uniti, questo centro si configura come un think tank avente per scopo lo studio del rapporto tra islam e democrazia. Masmoudi, che rappresenta l’élite tunisina islamista espatriata negli States, non nasconde il suo orientamento nahdawi ma, al tempo stesso, dirige il centro in maniera bipartisan. Dal 2011 ha organizzato un gran numero di workshop, seminari e conferenze di educazione ai diritti di cittadinanza e, per tutta la durata della campagna elettorale, ha organizzato conferenze stampa per permettere ai partiti tunisini di presentare i programmi elettorali. Tutti i partiti politici hanno partecipato, ad eccezione di Nida Tunis, il cui rifiuto è motivato alla luce del legame tra il Csid ed Ennahda.
Sul versante studentesco, Ennahda può poi contare sul sindacato degli studenti universitari (Unione Generale Tunisina degli Studenti - Ugte) che si fa portavoce dei bisogni degli universitari e, al tempo stesso, catalizza il voto degli studenti in favore degli islamisti. Il bollettino d’informazione dell’Ugte è ricco di riferimenti all’esperienza dei movimenti studenteschi legati alla Fratellanza Musulmana egiziana e svolge opera di sensibilizzazione sulla condizione della Fratellanza dopo la deposizione di Mohammed Morsi.
Conclusioni
La società civile tunisina vanta una tradizione antica e radicata. Sin dall’indipendenza si è declinata secondo dinamiche di pluralismo che ne fanno un contropotere effettivo. Dopo la caduta di Ben Ali, l’assenza di restrizioni statali sull’operato delle Ong e sulle altre forme dell’associazionismo ha permesso alla società civile di emergere ancora di più come forza politica organizzata a tutto vantaggio della definizione identitaria del paese.
La politicizzazione, tuttavia, rischia di complicare un quadro già piuttosto denso. In molti casi, le associazioni si sono sovrapposte ai partiti nel ruolo di gatekeepers del sistema politico. Se ciò è auspicabile durante la fase costituente, nella fase attuale potrebbe invece contribuire a delegittimare il ruolo dei partiti quali interlocutori primari della società politica.