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Commentary

La Spagna non è la Grecia, ma rimane molto da fare

28 giugno 2016

La Spagna ha appena tenuto la seconda tornata elettorale in sei mesi, a seguito del voto di dicembre. Quanto emerso dalle urne è l’effetto di un’instabilità politica dovuta tanto all’incapacità di formare un governo solido in quasi metà anno quanto al più recente Brexit.  È probabile infatti che proprio quest'ultimo fattore possa aver influenzato i risultati di queste elezioni.

Considerate le possibili alternative segnalate dai sondaggi (inclusi gli exit poll effettuati all’uscita dei seggi elettorali), i due partiti maggioritari hanno ottenuto risultati inaspettati: da una parte il Partido Popular (PP) ha vinto le elezioni con più seggi di quelli ottenuti sei mesi fa; dall’altra, il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) ha evitato il sorpasso che tutti si aspettavano da parte di Unidos-Podemos.

Tanto quest’ultimo partito quanto Ciudadanos hanno visto le loro speranze crollare: Podemos ha perso un milione di voti rispetto a dicembre e ha ottenuto lo stesso numero di seggi che già allora si sommavano a quelli dell’ex alleato Izquierda Unida; al contempo, i centristi hanno perso un numero considerevole di deputati a favore del PP.

Gli elettori hanno privilegiato la sicurezza rispetto a temi come la lotta alla corruzione. Solo così si spiega il fatto che il PP abbia potuto migliorare i suoi risultati in regioni tanto afflitte da quest’ultima come la Comunità Valenciana e Madrid. Per quanto riguarda il PSOE, il partito non è riuscito ad accaparrarsi più voti dagli elettori progressisti rispetto alle elezioni precedenti, ma si è comunque affermato come forza principale di Sinistra.

In poche parole, è ormai chiaro che la Spagna non è la Grecia e che il populismo occuperà solo il 20% dei seggi del Congresso.

Ciononostante, la formazione di un governo continuerà a dimostrarsi un processo complesso, in quanto il PP può riuscirci solo a seguito di un accordo con Ciudadanos e con i nazionalisti baschi e delle Canarie. Accordo che comunque non gli garantirebbe la maggioranza assoluta. Un governo di grande coalizione (PP, PSOE e Ciudadanos) sembrerebbe comunque un'opzione poco credibile, a causa del mancato appoggio dei socialisti, i quali tuttavia sembrano anche volersi astenere dall'ipotesi di appoggio esterno all'esecutivo di minoranza costituito da forze di destra. Infine, né un’amministrazione di destra né una di centro-destra sembrano sostenibili numericamente, a meno di non poter contare sui nazionalisti catalani.

Il leader del PP, Mariano Rajoy, ha giocato bene le sue carte incoraggiando la polarizzazione della campagna elettorale e cercando il voto della paura. Sebbene sia riuscito ad ottenere la vittoria, ha fallito nel suo tentativo (del tutto irresponsabile) di affondare il PSOE. Inoltre, la sua figura raccoglie un alto grado di rifiuto negli altri partiti a causa della sua mancanza di impegno nella rigenerazione della politica, paragonabile solo a quello ottenuto dal capo di Podemos, Pablo Iglesias, per la sua superbia e il suo messaggio “poliédrico”.

Il leader socialista, Pedro Sánchez, quello di Ciudadanos, Albert Rivera, e quello di Podemos, condividono il fatto di essere giovani e con un lungo percorso politico davanti a loro, almeno in teoria. Non fanno parte della generazione di Rajoy nè condividono il suo modo di intendere la politica. Però la formazione di un governo non è un qualcosa per cui si possa aspettare un futuro lontano, bensì è una necessità dell'oggi.

La Spagna ha bisogno di un esecutivo che si impegni in una riforma profonda del sistema politico vigente, che sia disposto a mettere fine alla corruzione, a superare l’austerità, ad affrontare definitivamente il problema della disoccupazione – che continua ad affliggere circa cinque milioni di persone – e a recuperare una volta per tutte una politica estera ed europea attive. Manca infatti un impegno significativo in queste ultime, nonostante siano temi importanti sia per il PP, sia per il PSOE e Ciudadanos.

Un terzo round di elezioni in caso di blocco istituzionale rimane comunque una strada percorribile, ma sicuramente le forze politiche non dovrebbero considerarla come la prima opzione.

La Spagna avrebbe potuto avere sin da aprile un governo capeggiato da Sánchez e Rivera, se il PP o Podemos si fossero astenuti. Questo sarà un problema per Rajoy, quando verrà il momento di chiedere qualcosa che lui per primo non aveva accettato di fare. Al momento non sembra che una situazione del genere possa ripetersi, ma tutto dipenderà dalla capacità dei responsabili nel saper trovare un accordo che soddisfi le necessità nazionali ed europee.

Soprattutto queste ultime diventano obiettivi fondamentali, in un momento storico in cui la demagogia e le menzogne hanno permesso la vittoria di un referendum che minaccia l’unità del Regno Unito e il cui esito non dovrebbe essere dato per valido. La Spagna è ora più necessaria che mai per portare a termine l’unione politica europea in senso federale.

 

Carlos Carnero, Direttore Esecutivo di Fundaciόn Alternativas, ex Eurodeputato

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Elezioni anticipate Spagna paralisi politica Mariano Rajoy Partido Popular (Pp) Ciudadanos (C’s) Unidos Podemos PSOE Pedro Sánchez Albert Rivera
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