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Commentary

La “strana” alleanza di Gaza contro il califfo

29 giugno 2015

Le tensioni emerse negli ultimi mesi tra Hamas e i gruppi locali salafiti hanno alimentato nuove speculazioni circa la possibile penetrazione politica, ideologica e militare dello Stato Islamico (IS) nella Striscia di Gaza. Una situazione, questa, potenzialmente destabilizzante che potrebbe favorire – come in altri casi analoghi di forte instabilità e insicurezza nel Grande Medio Oriente – non solo l’ascesa e l’affermazione di IS in loco, ma anche un radicamento del brand califfale in un territorio geo-strategicamente centrale negli equilibri del Vicino Oriente.

I timori di un’espansione di IS nella Striscia di Gaza si fondano soprattutto sulla convinzione che, sin dalle ultime fasi del conflitto di Gaza del luglio-agosto 2014, diversi gruppi antagonisti o scissionisti da Hamas e da Palestinian Islamic Jihad (Pij) avevano adottato una propria strategia parallela che entrasse sì in diretta competizione con quella del gruppo dirigente nella Striscia, ma che allo stesso tempo stesse favorendo uno shift dei movimenti salafiti verso posizioni sempre più radicali e ideologicamente affini a quelle dello Stato islamico. Così nel consueto confronto/scontro tra Israele, Egitto e Hamas, IS rischia di emergere (e affermarsi) come quarto e più pericoloso protagonista dello scenario politico regionale. 

Le attenzioni dei miliziani dell’autoproclamato califfo Ibrahim (nome che Abu Bakr al-Baghdadi ha assunto contestualmente alla proclamazione del Califfato) verso Gaza non rappresenterebbero certamente una novità, poiché già dall’aprile 2014 alcuni membri giordani dell’organizzazione avevano postato su YouTube un video in cui annunciavano di «voler conquistare attraverso il jihad i territori di Giordania, Libano, Striscia di Gaza e della penisola del Sinai»(1). Da semplice percezione, la minaccia IS è andata gradualmente trasformandosi in un pericolo concreto allorquando, durante i 50 giorni dell’operazione Protective Edge a Gaza, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, aveva messo in guardia le autorità di Tel Aviv circa una possibile penetrazione di formazioni filo-IS nel caso di una decapitazione israeliana dei vertici di Hamas. L’indiscrezione aveva trovato una conferma anche sul campo, quando nel pieno del conflitto i gruppi filo-IS(2) erano già operativi in attività di propaganda/proselitismo e in operazioni militari (continuato lancio di razzi Grad) nei confronti delle infrastrutture strategiche e civili dell’entroterra meridionale israeliano. 

Ad accrescere il clima d’instabilità all’interno della Striscia hanno influito inoltre altri fattori. Il primo riguarda sicuramente la sempre più stretta interdipendenza tra i gruppi radicali interni ed esterni a Gaza con quelli nel Sinai (come Wilayat Sinai, Tawhid wal-Jihad o Mujahideen Shura Council). Un secondo fattore, non meno rilevante, è quello relativo alla proliferazione dei traffici illeciti e al sostanziale stallo nei lavori di ricostruzione post-conflitto nella Striscia. A fronte dunque di un’aumentata percezione della minaccia, Hamas ha alzato il livello massimo di allerta nel territorio e ha adottato una serrata politica di arresti (oltre un centinaio nel solo mese di maggio) nei confronti dei movimenti salafiti e islamisti gazawi radicali. La penetrazione di uno o più gruppi formalmente legati o ideologicamente affini a IS nella Striscia di Gaza ha comportato inoltre due fattori di novità nel quadrante politico-strategico locale: da un lato si è assistito a una costante spaccatura, politica e dottrinale, tra salafiti e Hamas-Pij, dall’altro a un ampliamento della condivisione della minaccia che tocca non solo Israele ma anche e soprattutto Hamas ed Egitto.

L’emergere di formazioni filo-IS rappresenta una minaccia diretta in particolare per la dirigenza islamista di Gaza, accusata dai gruppi salafiti di voler abbandonare la lotta contro lo stato ebraico. Gli attacchi condotti da questi gruppi contro le postazioni militari di Hamas e il suo braccio armato, le Brigate Ezzedin al-Qassam, a Khan Younis e a Gaza City durante lo scorso mese di maggio, nonché l’uccisione del responsabile della sicurezza di Hamas, Sabah Siam (omicidio rivendicato successivamente da Ansar al-Dawla al-Islamiya), rappresentano, appunto, una diretta conseguenza della crescente polarizzazione all’interno del campo palestinese. È chiaro che la penetrazione ideologica di frange estremiste esterne alla Striscia suscettibili di orientare l’opinione pubblica locale verso posizioni sempre più radicali rappresenta di fatto una duplice sfida, politica e di sicurezza, al sistema vigente di legittimità promosso da Hamas nell’ultimo decennio. 

Le necessità di salvaguardare il rispettivo interesse politico e lo sforzo d’impedire un’espansione di IS in altri territori potrebbe favorire di fatto una cooperazione indiretta e non dichiarata tra Hamas, Egitto e Israele. Infatti, mai in passato si sarebbe potuto registrare una tale convergenza d’interessi che legasse a doppio filo i timori di Hamas con le preoccupazioni israeliane (Negev e Cisgiordania) ed egiziane (Sinai e Libia), come dimostrano anche le recenti iniziative del Cairo e Tel Aviv di un moderato appeasement nei confronti di Hamas. Temendo un’alleanza operativa tra i gruppi jihadisti palestino-egiziani e, quindi, un effetto spill-over delle violenze di Gaza verso la penisola sinaitica, l’Egitto porta avanti, parallelamente alle operazioni di counter-terrorism e di distruzione dei tunnel tra Rafah e la Striscia, un lento e non ufficiale riavvicinamento con la leadership di Hamas nel tentativo di contenere la proliferazione jihadista, rompendo così almeno un tassello dell’ampio arco d’instabilità regionale. Allo stesso modo sul versante israeliano, congiuntamente alle esercitazioni militari di Tsahal (l’esercito israeliano) nel Negev, il governo Netanyahu sta conducendo trattative segrete – che hanno portato tra le altre cose alla rottura del governo di unità nazionale con l’Anp di Abu Mazen – volte all’istituzione di una tregua di 5-10 anni tra Israele e Hamas. 

Così in un contesto sempre più complesso e mutevole, l’oggettiva convergenza di interessi interni e trans-regionali potrebbe spingere antichi nemici a doversi riscoprire utili alleati di comodo nella “global war on terror” al califfo.  

1. K. Abu Toameh, ISIS Threatens to Invade Jordan, 'Slaughter' King Abdullah, Gatestone Institute, 12 giugno 2014, http://www.gatestoneinstitute.org/4354/isis-jordan

2. Tra i gruppi maggiormente attivi nello scenario gazawi si possono annoverare Ansar al-Dawla al-Islamiya, il Battaglione Sheikh Abu al-Nur al-Maqdisi, le Brigate Omar, Tawhid wal-Jihad (Twj), Mujahideen Shura Council for the Environs of Jerusalem (Msc) e Ansar Bayt al-Maqdis (rinominatosi Wilayat Sinai (Ws) dopo la bayah al califfo al-Baghdadi del novembre 2014). Msc e Ws sono già affiliate all’IS e sono da tempo attive nella Striscia di Gaza e nel Sinai.

 

Giuseppe Dentice, ISPI Research Assistant
 
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Ugo Tramballi
ISPI senior advisor

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Hamas Egitto gaza Israele califfo Califfato IS jihad terrorismo Medio Oriente
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