Introduzione
La Costituzione della Tunisia del dopo Ben ‘Ali è stata adottata nella notte tra il 26 e il 27 gen-naio 2014, com’era stato annunciato nei giorni precedenti. L’atto finale della transizione è giunto insieme alla formazione di un nuovo governo, ufficialmente tecnocratico, guidato da Mehdi Jomaa, già Ministro dell’Industria durante il secondo governo di al-Nahda.
Seppur con un rilevante ritardo, la road map del Quartetto formato da al-Nahda, CPR, Ettakatol, (che insieme formavano la Troika) e il sindacato UGTT è stata alla fine rispettata. In seguito al secondo omicidio politico, quello di Muhammad Brahmi avvenuto nel luglio del 2013, il processo di transizione aveva conosciuto una battuta d’arresto, dovuta anche alla pressione generata dalla sca-denza del mandato dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC). La road map doveva servire a rilanciare il dialogo nazionale tra le forze politiche tunisine e a stabilire un calendario per gli atti finali della transizione: l’adozione di una nuova legge elettorale; la nomina di un’Istanza indipendente per le elezioni; lo scioglimento del governo di ‘Ali Laraayedh e la contestuale nomina di un nuovo Primo Ministro; l’adozione della nuova Costituzione.
Il processo costituente è passato attraverso ben quattro bozze preliminari, delle quali quella presentata nel giugno 2013 rappresenta, con diverse modifiche, la base del testo finale. Seppur tra alti e bassi, il lavoro dell’ANC è stato esemplare soprattutto per il difficile compito di mediare tra posizioni politiche tanto dissimili come quelle espresse dai costituenti. Da un lato, i dibattiti dell’ANC mostrano come talvolta le visioni sui diritti di cittadinanza espresse da islamisti e laici siano irriconciliabili ma, dall’altro, il fatto che la Costituzione sia stata approvata da 200 su 216 deputati (dei 16 voti mancanti all’unanimità 4 sono stati espressi da deputati astenuti e 12 contrari) è indice dell’alto consenso raggiunto. Un consenso, a detta di molti, che rende il testo costituzionale “contraddittorio e schizofrenico” ma che, a nostro avviso, deve essere rivalutato, specie se lo si compara con quello del 1959 e con le bozze iniziali. Ad esempio, l’aspra polemica riguardante la proposta di al-Nahda d’introdurre la clausola di “complementarietà”, come regola di base dei rapporti tra uomo e donna ha ceduto il passo alla proclamazione dell’uguaglianza tra cittadini e cittadine. Di certo, la comple-mentarietà era stata avvertita come un “passo indietro” dalla vivace società civile tunisina che auspicava, semmai, un rafforzamento degli istituti giuridici a protezione dello statuto delle donne e non certo un loro peggioramento.
Si deve rammentare, infatti, che lo scopo di una Costituzione è proprio la ricomposizione del consenso dopo un momento di frattura sociale e politica. In altre parole, il consenso non deve esistere all’origine a differenza di quanto, patologicamente, era tipico della tradizione costituzionale dei paesi arabi.
La nuova Costituzione tunisina. Verso uno Stato garantista?
Com’è stato già sottolineato, la Costituzione testé approvata dall’ANC si basava sul testo redatto a giugno, al quale sono stati applicati molteplici emendamenti. Il preambolo è rimasto sostanzialmente invariato ed è la parte dell’intera legge che più fa riferimento all’islam. La religione, tuttavia, è un semplice riferimento identitario della Tunisia che si accompagna a quello arabo e che si mescola ai principi chiave del costituzionalismo liberale (uguaglianza tra i cittadini, separazione dei poteri, sovranità popolare, giustizia, tutela dei diritti umani). Va poi rilevato che il preambolo non rappresenta una parte giustiziabile della Costituzione e, dunque, si limita a essere un manifesto programmatico di valori e principi.
Invariati sono rimasti anche gli artt. 1 e 2 che sanciscono le basi ideologiche della Repubblica: la Tunisia è uno stato libero, indipendente, dotato di sovranità, la cui religione è l’islam, l’arabo la sua lingua e la repubblica la sua forma di governo. Ai sensi del secondo articolo, invece, la Tunisia è uno stato civile (dawla madaniyya), basato sulla cittadinanza (muwatana), la volontà popolare e lo stato di diritto. Tuttavia, in entrambi gli articoli è stata aggiunta una clausola di autolimitazione che ne impedisce la modifica. Ciò deriva, senza dubbio, dagli ampi dibattiti che questi articoli hanno generato, e dai numerosi tentativi di alcuni deputati islamisti di inserire un richiamo esplicito alla Sharia. Il primo articolo è un calco della Costituzione precedente e a sua volta rispecchia il dibattito occorso tra l’ala islamista e l’ala laica del partito neo-dustur. L’islam, infatti, non è fissato come religione ufficiale dello stato ma, attraverso un espediente semantico della lingua araba, può essere ascritto ora all’apparato statale, ora alla società. L’articolo 3, inoltre, ascrive la sovranità al popolo e indica il modo in cui tale sovranità è esercitata (mediante rappresentanti eletti o tramite referendum) perfezionando un dettato che altrove nel mondo arabo è lasciato incompleto.
Una novità importante è rappresentata dall’art. 6 che ascrive allo stato il compito di custodire la religione e preservare le libertà di credo, coscienza e di pratica dei culti. Lo stato deve proteggere ciò che è sacro, garantire la neutralità delle moschee e gli altri luoghi di culto dallo sfruttamento partigiano. Infine, lo stato deve diffondere i valori della moderazione e della tolleranza e proibire le accuse di miscredenza (takfir) e l’incitazione all’odio e alla violenza. Quest’articolo, più volte rimaneggiato, completa l’articolo 1 e presenta molte criticità. Innanzitutto porrebbe fine all’ambiguità deliberata del primo articolo, la cui duplice interpretazione aveva soddisfatto le anime della Costituente di Bourghiba. Inoltre, il termine “sacro” sul quale vige la protezione dello stato lascia ampi margini di manovra, poiché non è chiaramente definito ciò che comprenda e cosa escluda.
Il divieto di pronunciare le accuse di miscredenza è stato aggiunto come garanzia contro l’ala radicale degli islamisti che più volte si sono resi protagonisti di pericolose azioni di questo genere. L’emendamento in questione, tuttavia, non può essere inteso come una rinuncia di al-Nahda e una vittoria del fronte laico, considerando che il partito di Rashid al-Ghannushi, almeno ufficialmente, ha preso le distanze dagli islamisti radicali (specie dai salafiti) a seguito dell’omicidio di Brahmi.
Gli artt. 11 e 12 riflettono le cause profonde del malcontento che ha dato inizio alla “rivoluzione dei gelsomini”: il primo impone che alle più alte cariche dello Stato sia corrisposto un salario definito dalla legge e che non può essere aumentato. In tal modo, la Costituzione tenta di porre un freno ai fenomeni di corruzione. L’articolo 12 impone allo Stato di realizzare la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile, in modo da ridurre la sperequazione sociale. Quest’articolo, rispetto alla formulazione della bozza precedente, ha incluso la “discriminazione positiva” (tamyiz ijabi), istituto giuridico a tutela delle minoranze svantaggiate.
Gli articoli 21-49 comprendono un catalogo di diritti che nel complesso è ben più avanzato rispetto alle bozze precedenti. Il catalogo si apre con la dichiarazione dell’uguaglianza tra cittadini e cittadine quanto a diritti e doveri (art. 21). Essi sono uguali dinanzi alla legge senza alcuna discriminazione. In questa parte, l’articolo è incompleto poiché il costituente, seguendo una prassi consolidata, avrebbe dovuto specificare il proprio intento a contrastare la discriminazione razziale, reli-giosa, di genere e di classe sociale. Nel complesso, però, il catalogo è avanzato e, rispetto alla Costituzione del 1959, presenta diversi miglioramenti. Alcuni diritti sono sanciti in maniera universale e sono protetti dalla riserva di legge e/o di giurisdizione. In altre parole, la compressione di tali diritti può avvenire soltanto in casi determinati dalla legge e con l’autorizzazione di un tribunale. Così, ad esempio, l’art. 29 impone queste garanzie per il fermo giudiziario o l’arresto, mentre l’art. 22 proclama la tutela della dignità umana e proibisce ogni forma di tortura. Anche la vita privata, l’abitazione e la segretezza della comunicazione è tutelata, benché il costituente avrebbe potuto dedicare un articolo per ciascun diritto piuttosto che raccoglierli all’art. 24. Le libertà d’opinione, pensiero, espressione, informazione e pubblicazione sono garantite e non possono essere sottoposte a censura preventiva (art. 31). Diritti molto avanzati come quello all’accesso all’informazione o il diritto alla ricerca scientifica indipendente sono previsti agli artt. 32-33.
Considerando queste pregevoli innovazioni, è irragionevole che i deputati non abbiano trovato un modo migliore per tutelare il diritto alla vita (art. 22). La Costituzione da un lato lo definisce un diritto “sacro” ma, dall’altro, ascrive alla legge il compito di definire i casi estremi in cui esso viene meno, lasciando così penetrare la pena di morte.
Nel campo dei diritti politici, il diritto di voto, con particolare cura per la rappresentatività delle donne, è garantito all’art. 34, mentre il successivo (art. 35) non pone particolari limiti al diritto di formare un partito, un’associazione o un sindacato, se non quelli della conformità ai principi della Costituzione e il rifiuto della violenza. Non esistono, quindi, limiti riguardanti l’estrazione laica o religiosa del partito. Il diritto di manifestare, coperto dall’art. 37, è assoluto e non impone neppure una comunicazione preventiva.
I diritti sociali, ambito in cui le aspettative erano molte, si concentrano sulla sanità, istruzione e sul lavoro, quest’ultimo considerato un diritto ascritto sia ai cittadini che alle cittadine. La sanità è gratuita per certe categorie protette ma l’art. 38 lascia il compito di determinare le regole di attuazione alla legge ordinaria che dovrà quindi essere aggiornata. L’istruzione, campo nel quale il regime di Ben Ali aveva insistito in modo particolare, è obbligatoria fino ai 16 anni (art. 39). Non ci sono particolari richiami all’istruzione religiosa, tranne che lo stato, perseguendo lo scopo di educare le generazioni ai valori nazionali, deve promuovere l’identità araba e musulmana, l’uso della lingua araba e l’apertura a quelle straniere. Di particolare rilievo sembra l’art. 42 che garantisce il diritto alla cultura: la creazione artistica è garantita e anzi lo stato deve incoraggiare l’espressione artistica che favorisca l’incontro delle culture, il dialogo e il rifiuto della violenza. Infine, l’art. 46 impone allo stato la protezione dei diritti già acquisiti dalle donne ma, al tempo stesso, incoraggia l’empowerment e l’acquisizione di nuovi diritti. Il terzo comma dello stesso articolo introduce delle “quote rosa” poiché stabilisce che lo stato deve facilitare la partecipazione delle donne nelle assemblee elette, in modo da realizzare la parità nei confronti dell’uomo.
Dalla breve descrizione condotta si evince il tentativo dei costituenti di realizzare uno stato garante di diritti e libertà. È palese lo scontro di posizioni diverse che risaltano ancora di più paragonando tra loro le bozze prodotte dall’ANC e analizzando i dibattiti occorsi tra i deputati. È però nella natura di una Costituzione cercare di armonizzare posizioni contrastanti e, talvolta, antitetiche. Alla luce di ciò, la “schizofrenia” che la nuova Costituzione lascerebbe trapelare tra i suoi articoli può essere meglio compresa e, dunque, trasformata in un valore aggiunto.
Il nuovo governo tunisino: plus ça change…
L’adozione della Costituzione, come già anticipato, non è l’unico traguardo raggiunto e anzi ciò era legato intimamente alla formazione di un nuovo esecutivo. Ufficialmente, il governo di Mehdi Jomaa è stato incaricato per riparare alle mancanze dei due precedenti governi. Si tratta, però, di un governo che per sua natura dovrebbe avere vita breve, poiché la nuova Costituzione, tracciando il nuovo assetto semi-presidenziale (artt. 50-101), spiana la strada a future elezioni. Su di esse, vigilerà l’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni (ISIE) tra i cui membri si distingue la presenza di Shafiq Sarsar, docente di diritto costituzionale all’Università al-Manar.
Il governo di Jomaa, a ben vedere, è in parte “tecnico” ma la presenza di residui del governo pre-cedente è innegabile. Oltre allo stesso Jomaa, anche il Ministro degli affari interni, Lotfi Ben Jeddou, faceva parte del governo Laraayedh, sebbene fosse stato scelto tra i candidati indipendenti. Come ha dichiarato Noureddine Bhiri in un’intervista, la dirigenza di al-Nahda ha salutato la scelta di Jomaa con favore poiché dopo lunghe settimane di negoziazioni, questa personalità ha raccolto il consenso delle parti. Ugualmente, la scelta di mantenere Ben Jeddou al suo posto, criticata da una parte dell’opposizione, è stata motivata con la necessità di assicurare continuità a un dicastero così importante.
Se è vero che al-Nahda ha compiuto un passo indietro rinunciando al suo secondo esecutivo, si deve ricordare che la crisi di popolarità che gli islamisti stavano conoscendo non lasciava altra scelta. Inoltre, il mantenimento del dicastero degli interni potrebbe essere letto come una ricompensa per le rinunce sul piano costituzionale. Del resto al-Nahda potrebbe già pensare alle nuove elezioni, come dimostrerebbe la visita congiunta al forum economico di Davos di al-Ghannushi e Beji Caid Essebsi, leader dei due partiti maggioritari.
La Costituzione prevede un esecutivo bicefalo, diviso tra il presidente della Repubblica e il primo ministro. Si tratta, però, di un semi-presidenzialismo atipico che non prevede una divisione dei poteri “a fisarmonica” tra le due più alte cariche. Il primo ministro gode di poteri maggiori mentre il Presidente, che ai sensi dell’art. 74 deve essere musulmano, definisce la politica estera e di difesa (art. 77) ed è il comandante delle forze armate.
Conclusioni
La Costituzione tunisina è di certo un unicum nel panorama arabo e tra i “paesi della primavera”. Il difficile percorso della sua adozione è utile per fare chiarezza sui molti interrogativi sollevati dalla partecipazione degli islamisti al gioco democratico. Non si può negare che in alcuni casi, al-Nahda sia stata promotrice di visioni antitetiche rispetto a quelle comunemente definite dal “costituzionalismo liberale”. L’esempio classico della “complementarietà” tra uomo e donna rivela la po-sizione di una cerca frangia degli islamisti, quella più radicale. Tuttavia, il partito di al-Ghannushi è noto per essere stato in grado di adottare visioni lungimiranti e pragmatiche che gli hanno assicurato la sopravvivenza e, sotto certi aspetti, il successo. Anche il dibattito riguardante la possibile inclu-sione della Sharia nella Costituzione si deve inquadrare in questa attitudine del partito ad assumere le decisioni sulla base di una visione strategica. Al-Ghannushi ha dichiarato, in molte occasioni, che l’articolo 1 della Costituzione del 1959 esprime con sufficiente chiarezza l’identità araba e islamica del paese e, pertanto, non andava modificato. Inoltre, a detta dello Shaykh, richiamare la Sharia nel-la Costituzione avrebbe necessitato una preliminare affezione della società verso i suoi valori e in-segnamenti. Ciò equivale a dire che non la Tunisia non era ancora pronta a un passo del genere.
Secondo l’opposizione, gli islamisti conservano il progetto di lungo periodo di islamizzare la società e le proposte “controverse” avanzate durante i dibattiti dell’ANC lo testimonierebbero. Talune idee e proposte caldeggiate dai deputati di al-Nahda dovevano “testare” la reazione sociale e sareb-bero servite per orientare le scelte future. Ciò a partire dalle dichiarazioni di Hamadi Jebali, primo premier islamista, che all’indomani della vittoria di al-Nahda all’ANC dichiarò aperta la fase di un nuovo “Califfato”.
La Costituzione tunisina, però, nonostante i suoi punti oscuri dimostra che è possibile un raccordo delle visioni islamiste con quelle laiche. L’estinzione della fase transitoria e la nuova tornata elettorale definiranno in modo più completo l’evolversi dell’equilibrio delle forze in gioco.