La Tunisia dopo Essebsi: quali scenari? | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MED2019MED2019

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MED2019MED2019
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • Sicurezza energetica
    • America Latina
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • Sicurezza energetica
    • America Latina
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
  • ANALISTI
Focus
La Tunisia dopo Essebsi: quali scenari?
Federico Borsari
|
Francesco Salesio Schiavi
| 25 luglio 2019

Il presidente tunisino Beji Caied Essebsi è deceduto oggi all’età di 92 anni. Essebsi era stato ricoverato d’urgenza già un mese fa in seguito ad un grave malore. Sorgono ora inevitabili interrogativi sulle ripercussioni che questo evento potrebbe avere sul futuro assetto politico della Tunisia, soprattutto in virtù del doppio appuntamento elettorale previsto per l’autunno. Le elezioni parlamentari e presidenziali si terranno rispettivamente in ottobre e novembre, rendendo il 2019 uno snodo cruciale per la fragile ma promettente democrazia tunisina sorta all’indomani delle proteste di piazza del 2011 e della successiva uscita di scena del dittatore Zine El Abidine Ben Ali. La scomparsa del presidente rischia di mettere a nudo tutte le debolezze del paese: una difficile governabilità tra forze politiche di natura e orientamento molto diverso, alti tassi di disoccupazione uniti a una emarginazione economica e sociale di alcune parti del paese, e non ultimo il pericolo dell'islamismo armato.
 

Chi era Essebsi

Beji Caied Essebsi, giurista di formazione, ha rappresentato certamente una figura storica del panorama politico tunisino, sebbene la sua carriera politica, caratterizzata da vari incarichi di rilievo prima sotto il fondatore del paese Habib Bourguiba e poi Ben Ali, abbia visto una ripetuta alternanza con l’esercizio della professione di avvocato. Prima consigliere di Bourguiba, Essebsi ha successivamente guidato numerosi dicasteri, tra cui quello degli interni, quello della difesa e, tra il 1981 e il 1986, quello degli esteri. Altri incarichi lo hanno portato in Francia e in Germania Ovest in qualità di ambasciatore. Dopo essere stato portavoce del Parlamento tra il 1991 e il 1992 ed essersi ritirato dalla vita politica due anni dopo, nel 2012 ha fondato il partito Nidaa Tounes (“Appello della Tunisia”) che si è affermato come prima forza politica alle elezioni legislative del 2014, davanti allo storico partito islamista Ennhada. Essebsi, però, è ricordato soprattutto per essere stato il primo presidente eletto democraticamente nella storia del paese, dopo la vittoria nel confronto con il presidente uscente Moncef Marzouki nelle elezioni del 2014.
 

I problemi strutturali dell’economia

La sua presidenza ha accompagnato la Tunisia durante una fase di transizione particolarmente delicata, caratterizzata da una preoccupante crisi economica, resa ancor più profonda dal crollo del settore turistico causato dagli attentati terroristici avvenuti nel 2015 – con una diminuzione del 30% nel numero di turisti complessivi, e del 50% tra quelli provenienti dall’Europa (si veda il grafico 3 in fondo) – e da persistenti tensioni sociali legate all’alto tasso di disoccupazione (15,5%), in particolare quella giovanile (40%).

Grafico 1

Pur riconoscendo una parziale ripresa a partire dal 2016, gli ultimi dati relativi al turismo evidenziano un trend di progressiva diminuzione in termini di incidenza del settore nell’economia del paese, scesa dal 6% del PIL nel 2010 al 4% nel 2018. Oltre al problema della sicurezza causato dalla minaccia terroristica, permangono numerosi problemi strutturali, tra cui la mancanza o l’inadeguatezza delle infrastrutture turistiche, la troppo marcata dipendenza dal mercato europeo, o la limitata diversificazione dell’offerta degli operatori turistici. Nel contempo, le difficoltà economiche sono dovute anche al rallentamento della produzione industriale, specie per i settori minerario e manifatturiero, dove mancano investimenti e riforme delle regolamentazioni, e alla diminuzione della produzione agricola, oltre al calo degli investimenti stranieri avvenuto nel 2018 soprattutto a causa del clima di incertezza politica. Dal punto di vista finanziario, poi, una delle priorità della banca centrale tunisina sarà quella di cercare di abbassare il tasso di inflazione, che negli ultimi mesi è cresciuto in maniera preoccupante, andando a interessare il potere di acquisto di molti beni di prima necessità da parte della popolazione. Nel corso del 2019 l’inflazione continuerà a crescere e potrebbe raddoppiare rispetto ai livelli dell’anno precedente. Ciò va a sommarsi a un’altra serie di eventi, tra cui la svalutazione del dinaro tunisino sul mercato internazionale e l’alto tasso di disoccupazione interna. Tra le misure in cantiere è prevista, nell’ambito degli accordi stretti da Tunisi con le organizzazioni internazionali, una riduzione degli stipendi pubblici, il cui peso sul PIL dovrebbe passare dall’attuale 14% al 12,5%. Questa iniziativa, tuttavia, qualora venisse intrapresa in assenza di programmi di sviluppo di lungo termine, potrebbe esasperare ulteriormente un clima di tensione interna che rischierebbe di degenerare, con gravi conseguenze sulla stabilità del paese. Nel complesso, le stime degli analisti per il 2019 prevedono una crescita del PIL che non supererà il 2%, contro il 2,5% dell’anno scorso.

Grafico 2

 

Quale scenario politico?

La scomparsa di Essebsi rappresenta un ulteriore elemento di instabilità ad un equilibrio politico e sociale assai fragile, alimentato da un diffuso clima di sfiducia nella democrazia. I timori sono chiaramente rivolti ai prossimi appuntamenti elettorale, quando il 6 ottobre e il 17 novembre circa 8 milioni di aventi diritto saranno chiamati a eleggere rispettivamente un nuovo parlamento e un nuovo presidente della Repubblica. Come evidenziato dall’analista Stefano Torelli, la coalizione di governo che oggi guida il paese è il risultato dell’alleanza politica tra Ennahda e Nidaa Tounes, i due principali partiti tunisini (di matrice islamica moderata il primo; di ispirazione secolare il secondo). Tuttavia, lo stallo a livello decisionale causato dalle evidenti differenze ideologiche che caratterizzano i due partiti hanno portato alla divisione interna del campo laico, con la fondazione a gennaio del partito Tahya Tounes ("Viva la Tunisia"), guidato dall’attuale primo ministro Youssef Chahed. In questo clima, Ennahda di Rached Ghannouchi sembra essere l’unico partito a trasmettere un messaggio di coesione e solidità, nonostante non manchino le polemiche interne. In risposta a questa coalizione, su cui sinora si è retto il sistema post-rivoluzionario tunisino, diviene sempre più reale l’ipotesi di un voto anti-sistema. Il sostegno a candidati indipendenti, infatti, sembra la soluzione ideale per un paese ancora attraversato da una crisi economica diffusa e le cui riforme apportate dallo stato per migliorarne le condizioni economiche e sociali sono considerate ancora insufficienti. Secondo i recenti sondaggi, nella corsa al palazzo di Cartagine il magnate delle comunicazioni tunisine Nabil Karoui emerge come prima scelta, seguito a distanza dal costituzionalista Kaïs Saïed e dal presidente del Partito Dusturiano Libero, Abir Moussi.

In attesa di ulteriori sviluppi, giovedì 25 luglio il Parlamento si è riunito in seduta straordinaria per discutere del futuro assetto politico nazionale. In attesa del processo elettorale, la presidenza dello Stato sarà ricoperta ad interim dall’attuale presidente del Parlamento, Mohamed Ennaceur. Poiché la Costituzione tunisina prevede che tale ruolo potrà essere ricoperto per un periodo non superiore ai 90 giorni e con le elezioni previste al 17 novembre, sarà responsabilità del Parlamento evitare un periodo di vuoto istituzionale considerando un anticipo della consultazione elettorale o un’eventuale estensione del mandato di Ennaceur.
 

Jihadismo tunisino: una minaccia reale e sfaccettata

La scomparsa del presidente tunisino coincide con un periodo di potenziale destabilizzazione per il paese nordafricano. Alla crisi istituzionale e economica, infatti, si deve aggiungere anche il pericolo della minaccia jihadista. Sin dalla rivoluzione del 2011, la Tunisia è stata il teatro di diversi attentati terroristici di matrice islamica. Il mese scorso, la notizia del malessere del presidente Essebsi era stata preceduta da due attacchi terroristici avvenuti nel centro della capitale Tunisi. L’attentato, rivendicato in serata dal sedicente Stato Islamico, aveva portato alla morte di un poliziotto e al ferimento di altri 8 persone. Nel 2015 la Tunisia era stata investita da un’ondata di violenza, quando due attacchi separati avevano colpito note località turistiche del paese quali il Museo nazionale del Bardo a Tunisi e la spiaggia del RIU Imperial Marhaba hotel a Sousse. Tra le 60 vittime complessive, trovarono la morte anche 4 italiani. Come ha sottolineato Federica Zoja in una recente analisi, lo spettro del fondamentalismo armato minaccia la fragile democrazia tunisina da più direttrici. Da un lato, milizie locali trovano rifugio nelle aree montuose al confine con l'Algeria. Dall’altro, la Tunisia è uno dei principali luoghi di origine di foreign fighters che sono andati a combattere non solo in Iraq e Siria ma anche in Libia. Stimati nell'ordine delle migliaia (tra 5000 e 8000), i miliziani tunisini sono arrivati a ricoprire ruoli di rilievo anche all’interno della gerarchia politico-militare di “Daesh”. In seguito alle sconfitte e alla conseguente contrazione territoriale di quest’ultimo, buona parte dei mujaheddin tunisini ha lasciato il Levante per il Sinai, la Libia o la Tunisia stessa. Un simile rientro in patria ha chiaramente destato grande preoccupazione tra le autorità tunisine, poiché l’indiscussa esperienza acquisita sul campo e l'autorevolezza guadagnata nel circuito radicale aumenterebbero considerevolmente la capacità organizzativa e di propaganda di queste cellule in Tunisia.

Grafico 3

 

Ti potrebbero interessare anche:

Algeria al voto: un test per il regime e per la piazza
Fabio Frettoli
Analista freelance
A new regional order? Changes in the global balance of power and the MENA region
Weathering the Storm: Charting New Courses in the Mediterranean
,
The Rise and the Future of Militias in the MENA Region
Ranj Alaaldin
Brookings Doha Center
,
Federica Saini Fasanotti
ISPI Senior Associate Fellow
,
Arturo Varvelli
Co-Head of ISPI MENA Centre
,
Tarik M. Yousef
Director of the Brookings Doha Center
Turchia: le nuove sfide al Sultano Erdoğan
Valeria Talbot
Co-Head, ISPI MENA Centre
Iran Looking East: An Alternative to the EU?
Annalisa Perteghella
ISPI Research Fellow

Tags

MENA Tunisia Beji Caid Essebsi

AUTORI

Federico Borsari
ISPI Research Assistant
Francesco Salesio Schiavi
ISPI Research Trainee

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157