Egitto e Grecia hanno firmato un accordo per delimitare le zone economiche esclusive (ZEE), che sono le aree di mare in cui uno stato esercita la propria autorità, anche nel concedere a privati lo sfruttamento delle risorse marine e sottomarine. Tali accordi sono regolati in via bilaterale dagli stati, anche se esiste una cornice internazionale (convenzione delle Nazioni Unite sulla legge dei mari (UNCLOS), o convenzione di Montego Bay del 1982) che fissa alcuni parametri generali. Da fonti diplomatiche citate da varie riviste egiziane e greche, il trattato si concentrerebbe esclusivamente sulla delimitazione tra le ZEE dei due paesi, che puntano a limitare le ambizioni turche nella regione. La Turchia, infatti, aveva firmato un accordo con la Libia che fissava una delimitazione tra le ZEE di questi due paesi in un’area di mare contigua nei mesi scorsi e che è incompatibile con l’attuale accordo tra Grecia e Turchia. Per paradosso, se entrambi gli accordi fossero considerati validi dai paesi rivieraschi, l’ZEE di Atene sarebbe tagliata in due da quella turca, come è possibile vedere in questa mappa*.
Dal punto di vista greco ed egiziano, l’accordo è soprattutto una mossa diplomatica mirata a reagire alla politica turca nella regione. Nonostante il ministro degli esteri greco Nikos Dendias abbia affermato che l’intesa “riflette le relazioni privilegiate fra i due paesi e consente di trarre profitto dalle risorse [di idrocarburi] che si trovano nell’area”, è quasi impossibile che si estragga effettivamente del gas nella zona adiacente alla linea di demarcazione tra la ZEE greca e quella egiziana. Non sono state condotte, infatti, delle esplorazioni per trovare del gas nella regione e tale zona è lontana dalle coste e ha fondali profondi. Anche qualora si decida di cercare delle risorse energetica nell’area ed effettivamente si trovassero degli idrocarburi, in tutta probabilità non sarebbe conveniente estrarli in un contesto energetico mondiale e regionale di crisi economica. L’attuale mercato del gas è caratterizzato da un’alta offerta a basso costo e una scarsa domanda in caso ed è probabile che tale scenario prosegua anche nei prossimi anni. L’interpretazione dell’accordo come un tentativo di limitare la Turchia è evidente dall’analisi delle dichiarazioni dei ministri. Entrambi i rappresentati di Egitto e Grecia hanno sottolineato ripetutamente che l’attuale accordo è basato sul diritto internazionale, ossia sulla convenzione di Montego Bay, che non è mai stata ratificata da Ankara. Dal loro punto di vista, tale elemento segna una forte differenza rispetto all’accordo tra Turchia e Libia di novembre 2019. Infine, il richiamo a Montego Bay è centrale per Atene, che basa la sua rivendicazione sulle aree di mare comprese tra le isole e la terraferma come parte della sua ZEE sull’interpretazione delle norme presenti nel trattato**. In sintesi, la convenzione indica che l’area contigua tra due zone territoriali dello stesso paese facciano parte dell’EEZ nazionale di quest’ultimo (Articolo UNCLOS 121), ma rimanda la definizione dell’EEZ ad accordi bilaterali.
Al di là delle dichiarazioni di sorta sulla volontà di creare un clima disteso nella regione, l’intesa greco-egiziana punta perciò a fornire una piattaforma strategica alternativa rispetto alle rivendicazioni turche nell’area, manifestandosi – nell’ottica degli attori coinvolti – come un tassello importante per il mantenimento della sicurezza e della stabilità del Mediterraneo orientale. Se sulla carta l’obiettivo di fondo dell’intesa è quello di impedire che si aggravino le attuali tensioni regionali, essa in verità potrebbe innescarne di nuove. In particolare, il rischio è che si proceda per accordi bilaterali tra paesi, senza che si arrivi ad una soluzione più ampia che coinvolga direttamente anche gli altri stati rivieraschi, incluso Cipro. In questo contesto. L’accordo mostra perciò una ferma volontà di Egitto e Grecia di assumere un ruolo chiave nel contenimento multidimensionale della Turchia, un attore percepito come antagonista nell’area mediterranea, nordafricana e vicino-orientale. Una partita su più livelli, nella quale la Libia, l’energia e i confini marittimi sono solo tre pezzi di un più ampio puzzle di interessi, ambizioni e preoccupazioni fortemente intrecciati tra loro. In sostanza, promuovendo una duplice azione come attore cardine nell’integrazione energetica sub-regionale e come fattore di stabilità e sicurezza trans-regionali, questi due stati puntano ad accrescere la propria postura di “attore mediterraneo”. L’Egitto, in particolar modo, si concentra sul fattore energetico come strumento di affermazione geopolitica.
In questo contesto, non deve stupire l’atteggiamento della Turchia che ha definito l’accordo “nullo e vuoto”. Dal punto di vista di Ankara, questa era una mossa attesa e l’obiettivo era proprio di aprire un contenzioso per poter contare nella regione del Mediterraneo orientale, giustificando le sue rivendicazioni con il principio della placca continentale. In sintesi, Ankara ritiene che le isole greche in questa zona di mare si trovino all’interno di una zona marina ‘semi chiusa’ (articolo UNCLOS 122 e 123) e che da un punto di vista geologico facciano parte della placca continentale turca. Ne consegue che le ZEE nella regione dovrebbero essere delimitate da accordi paritari tra Grecia e Turchia, con ovviamente l’eccezione delle acque territoriali delle isole greche. La Grecia contesta che tale area faccia parte della placca continentale turca e ritiene che prevalga il principio di contiguità territoriale, anche in ragione della presenza dell’isola di Kastellorizo. Al di là delle questioni di interpretazione dei criteri per rivendicare delle aree di mare come parte della propria ZEE, Ankara ha l’obiettivo di trovare del gas all’interno di quella che considera come la sua ZEE nazionale per potere partecipare in qualità di membro al Forum del gas del Mediterraneo Orientale (EMGF), che ha il compito di gestire le dinamiche di produzione e prezzo del gas regionale. I partecipanti di tale organismo sono l’Autorità Palestinese, Cipro, Francia, Egitto, Grecia, Giordania, Israele e l’Italia. L’obiettivo di Ankara è di avere un rappresentante nell’istituzione per potere così tutelare i suoi interessi energetici. Qualora i paesi del forum, che in alcuni casi hanno delle relazioni molto tese con Ankara, scegliessero di escludere la Turchia anche in presenza di un giacimento di gas all’interno dell’ZEE, la Turchia potrebbe condannare l’azione come pretestuosa e adottare una nuova strategia. In tale scenario, l’opzione preferita da Ankara sarebbe è quella di avanzare degli ostacoli legali per impedire lo del gas nella regione, rendendone l’estrazione meno conveniente dal punto di vista economico.
Infine, l’accordo tra Grecia ed Egitto consente di identificare gli interessi di altri attori mediterranei e globali, in particolare Francia e Stati Uniti. Questi due paesi si sono impegnati molto negli ultimi mesi per proteggere la propria influenza residuale nell’area. Parigi da tempo si pone su posizioni contrapposte alla Turchia (NATO, gas, migranti, Libia) tanto che negli ultimi mesi ha fortemente appoggiato le iniziative di Egitto, Grecia e Cipro proprio in funzione anti-Ankara, intravedendo in ciò un’opportunità per rafforzare la propria strategia di esteri nel Mediterraneo (non ultimo il suo ingresso nel Forum del gas del Mediterraneo orientale). Parigi è particolarmente interessata alla regione del Levante, oggi più che mai cruciale nelle scelte politiche dell’Eliseo. Non è un caso che il Presidente Macron sia subito volato in Libano per fare sentire la sua vicinanza a questo popolo dopo l’esplosione di Beirut[1]. Di fatto, la visione francese coincide con quella di Grecia ed Egitto in quanto l’obiettivo di Parigi è l’indebolimento turco per limitare un importante attore regionale contro cui creare alleanze contenitive in vari scenari.
Altresì importante ma non così palese è il ruolo giocato dagli Stati Uniti nell’area, impegnati in una partita a tutto campo (dai Balcani alle coste del Mediterraneo orientale) volta a contenere possibili ingerenze cinesi e russe nella regione. Nonostante il suo costante ritiro strategico dall’area MENA, che nell’ottica americana coinvolge anche il Mediterraneo, Washington sta tentando di limitare le avanzate nell’area di Pechino (con le Vie della Seta) e di Mosca (con la diplomazia militare ed energetica dal Nord Africa all’Oceano Indiano Occidentale) attraverso i suoi alleati regionali. Una strategia che guarda al Mediterraneo come un’area centrale per difendere uno dei tradizionali interessi della politica estera statunitense, che è quello di mantenere aperte e sicure le principali vie commerciali marittime. In questo senso l’obiettivo è di ridurre al minimo le occasioni di scontro tra i paesi della regione, specialmente con Turchia e Grecia che sono entrambi membri della NATO. In questo contesto è opportuno sottolineare che il Mediterraneo orientale è contiguo al canale di Suez, snodo geopolitico e geoeconomico globale. In sintesi, gli USA non stanno apprezzando le iniziative turche della regione, ma non vogliono antagonizzare lo scontro con Ankara, considerando quest'ultima un alleato imprescindibile nell'area. Per tale motivo il loro interesse principale è evitare che la situazione si aggravi, ma per il momento considerano le questioni come legate a dinamiche locali e si limitano ad un ruolo di osservatori esterni. Tuttavia, un aggravamento della tensione della regione non sarebbe ignorato dalla diplomazia americana, che continua a considerare questo quadrante come un’area di grande interesse strategico.
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* Il contenuti dell’accordo tra Egitto e Grecia non sono stati resi pubblici, la linea di divisione fissata dall’accordo è però già stata pubblicata su diverse riviste internazionali e coincide con la delimitazione comunemente indicata dalla Grecia e dall’Egitto delle ZEE nazionali
** Per approfondire: Siousiouras, P.; Chrysochou, G. The Aegean Dispute in the Context of Contemporary Judicial Decisions on Maritime Delimitation. Laws 2014, 3, 12-49. Consultabile a questo link