Secondo le ultime previsioni del World Economic Outlook, pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale a ottobre, le economie dell’Africa subsahariana continuano la loro ripresa, già avviata lo scorso anno, dopo il rallentamento del biennio 2015-2016. Si stima infatti che il 2018 si chiuderà con una crescita per l’area pari al 3,1%, per poi arrivare al 3,8% nel 2019.
Un contesto internazionale meno favorevole potrebbe tuttavia avere un impatto sulle prospettive di crescita del 2019, già tagliate di 0,3 punti percentuali rispetto alle precedenti previsioni di aprile. Il commercio mondiale e l'attività industriale hanno infatti perso slancio e i prezzi di diverse materie prime sono diminuiti a causa delle preoccupazioni per le tariffe commerciali e le prospettive di indebolimento della domanda globale. Inoltre si sono intensificate le pressioni dei mercati finanziari in alcuni paesi a causa della loro esposizione debitoria in presenza di un dollaro più forte.
Nonostante le incertezze legate alla congiuntura economica internazionale, occorre tuttavia sottolineare che, a partire dagli anni 2000, l’Africa subsahariana ha vissuto uno dei periodi di crescita economica più sostenuti della sua storia. Ne è derivato un miglioramento del tenore di vita degli africani, in termini di consumi reali, tra il 3,4% e il 3,7% annuo e prospettive di ulteriori progressi a lungo termine più forti che in passato.
A contribuire a questo lungo periodo favorevole è stato sicuramente l’aumento dei prezzi delle materie prime, sospinto dalla solida domanda proveniente dalle economie emergenti. Una tendenza che, nonostante le prospettive congiunturali, si confermerà nei prossimi anni, aumentando la competizione per le materie prime africane ma favorendo anche un maggiore potere contrattuale dei governi subsahariani, in grado di negoziare accordi più vantaggiosi.
Nonostante il ruolo cardine delle risorse naturali nelle economie africane, a crescere sono stati in media tutti i paesi della regione, compresi quelli non ricchi di materie prime. A favorire questo sviluppo innanzitutto una situazione politica e macroeconomica più stabile e politiche governative volte a favorire l'emergere del settore privato attraverso azioni come l’abbassamento delle imposte sulle società e il rafforzato i sistemi normativi e giuridici. Secondo il Doing Business 2019 appena pubblicato dalla Banca Mondiale, dal 2012 l'Africa subsahariana è la regione con il maggior numero di riforme di cui quest’anno ha ottenuto il record di 107. Inoltre, nel biennio 2017-18 tra i 10 paesi che hanno fatto i maggiori passi avanti figurano ben 5 paesi subsahariani: Gibuti, Togo, Kenya, Costa d’Avorio e Ruanda. A conferma di ciò, dal 2006 al 2018 il costo medio di registrazione di un’impresa è sceso dal 192% al 40% del reddito pro capite mentre i tempi medi di registrazione sono scesi da 59 giorni a 23.
Questo cambiamento si percepisce anche da fatto che il vero motore della crescita del continente sono stati gli investimenti. Favoriti da bassi tassi di interesse, gli investimenti tanto pubblici quanto privati hanno dato un forte impulso alla domanda interna e al rapido sviluppo del settore dei servizi, in particolare il commercio, i trasporti e le telecomunicazioni. Comparti i cui progressi riflettono i cambiamenti sociali e demografici in atto nel continente da oltre un ventennio e che saranno alla base di una crescita economica trainata dai servizi, come sostenuto dal premio Nobel Joseph Stiglitz.
In primo luogo l'urbanizzazione. Secondo dati UNDESA, nel 1980 solo il 22% degli africani viveva in centri urbani. Oggi il dato è salito al 40% ed entro il 2030 si prevede che arriverà al 47%, con le 18 città più grandi che avranno un potere di spesa combinato pari a 1,3 trilioni di dollari, come il Pil attuale della Spagna. In molti paesi africani l'urbanizzazione sta stimolando la crescita delle infrastrutture - pubbliche e private - con conseguenti aumenti di produttività, economie di scala e sfruttamento di economie esterne.
In secondo luogo, l’espansione della forza lavoro ed in particolare della classe media. Si stima infatti che l’Africa abbia già superato l’India in termini di numero di famiglie classificabili come classe media, ovvero con un reddito pari o superiore a 20.000 dollari annui, e la supererà anche in termini di forza lavoro entro il 2040, quando la popolazione africana includerà ben 1,1 miliardi di persone in età lavorativa. I consumi delle famiglie dovrebbero crescere in media del 3,8% all'anno per raggiungere i 2,1 trilioni di dollari nel 2025, mentre la spesa totale delle imprese sarà ancora maggiore, passando dai 2,6 trilioni di dollari del 2015 a 3,5 trilioni di dollari entro il 2025.
Le imprese africane stanno crescendo a ritmi serrati. Secondo McKinsey, si contano almeno 400 imprese con un fatturato superiore al miliardo di dollari, per un giro d’affari complessivo pari a 1,2 miliardi di dollari nel 2015. Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, solo il 30% dei ricavi sono realizzati da aziende che operano nel settore delle risorse, mentre solo due quinti delle 400 aziende citate sono quotate in borsa e poco meno del 30% di esse sono multinazionali.
Non mancano tuttavia posizioni di maggior cautela sulle prospettive di crescita per l’Africa subsahariana. Secondo l’autorevole economista Dani Rodrik, l’attuale modello di sviluppo africano è molto diverso da quello classico che ha prodotto la crescita in Asia e prima ancora in Europa. La forza lavoro africana si sta spostando dall'agricoltura e dalle zone rurali verso le zone urbane. Ma il ritmo dell'industrializzazione in atto è troppo lento perché le dinamiche di convergenza previste dalla teoria economica – secondo la quale, le economie relativamente più povere con bassi rapporti capitale/lavoro, a parità di investimenti e risparmi, crescono più velocemente di quelle relativamente più ricche – abbiano effettivamente luogo. Le difficoltà da parte delle economie africane nell’assorbire la gran massa di migranti interni provenienti dalle campagne fa sì che questi trovino impiego soprattutto nel settore dei servizi a bassa produttività ed in attività collegate all’economia informale.
Per ora, il ritmo moderato dell'espansione economica riflette la graduale ripresa della crescita delle tre maggiori economie della regione – Nigeria, Angola e Sudafrica – che erano state segnate da un significativo rallentamento negli anni più recenti. Circa metà della ripresa sarà dovuta alla sola Nigeria, la cui crescita dovrebbe passare dal 1,9% del 2018 al 2,3% nel 2019 sostenuta dalla ripresa della produzione e dei prezzi del petrolio. In Angola, il secondo maggiore esportatore di petrolio della regione, il Pil reale dovrebbe ridursi dello 0,1% nel 2018 per poi tornare a crescere del 3,1% nel 2019. In Sudafrica, le prospettive rimangono invece ancora modeste in un contesto di incertezza in vista delle elezioni generali del 2019. La crescita dovrebbe scendere allo 0,8% nel 2018 prima di recuperare all'1,8% nel medio termine, ma la performance sarà fortemente influenzata dal ritmo di attuazione delle attese riforme strutturali e dal livello di credibilità delle politiche.
Per gli esportatori di petrolio della Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale la ripresa sarà più lenta di quanto previsto, poiché continuano ad adeguarsi ai livelli elevati del debito e alle basse riserve di valuta estera.
Sempre secondo il FMI, tra le economie non ad alta intensità di risorse l'attività nel 2018 e 2019-20 dovrebbe rimanere invece robusta. Una crescita solida, sostenuta da investimenti infrastrutturali, continuerà nell'Unione economica e monetaria dell'Africa occidentale, guidata dalla Costa d'Avorio e dal Senegal che cresceranno a ritmi del 6,8% annuo.
Infine, le prospettive di crescita sono migliorate nella maggior parte dell'Africa orientale. Da sottolineare la crescita stimata tra il 2019 ed il 2023 del 6,3% del Kenya, trainata da investimenti e consumi interni, e soprattutto dell’Etiopia. Quest’ultima rimarrà infatti l’economia più dinamica della regione, con una crescita stimata dell’8% sostenuta dalla prosecuzione degli investimenti pubblici in infrastrutture e dalle riforme volte a favorire l’insediamenti produttivi con capitali provenienti in particolar modo dalla Cina, ma anche, come dimostra il caso del gruppo Calzedonia, da imprese private con piani di sviluppo che puntano alle opportunità offerte da un continente in movimento e rapida evoluzione.
* Credits Photo copertina: Arne Hoel/The World Bank