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Commentary
L'Algeria al bivio: esercito o popolo?
Caterina Roggero
05 aprile 2019

Per il periodo transitorio ufficialmente apertosi il 2 aprile 2019 con le dimissioni dalla carica di presidente della Repubblica di Abdelaziz Bouteflika sono ormai rimasti sul campo due macro-attori della scena politica algerina la cui legittimità affonda nella guerra di liberazione dalla Francia (1954-1962) e che ora più che mai rivendicheranno un proprio spazio di influenza: l’esercito e il popolo. L’Armée nationale populaire (ANP), di fronte al perdurare delle manifestazioni contro il pouvoir, ha gradatamente riconosciuto il “suo” popolo nelle strade, mentre il popolo ha corteggiato le forze di sicurezza presenti in piazza al grido di “l’esercito e il popolo sono fratelli” riuscendo, contro ogni pregiudizio, a mantenere i cortei pacifici e non violenti.

La relazione tra esercito e popolo è un aspetto fondamentale nella storia dell’Algeria contemporanea. Non si può comprendere questa fratellanza invocata nelle manifestazioni oceaniche (dove risuona anche un più generale khawa, khawa, “fratelli, fratelli”, a chiedere l’unione di tutti gli algerini al di là delle tante diversità spesso acutizzate dal regime) o il continuo riferimento mitico al “popolo” (youm el-shab “il giorno del popolo” una delle colonne sonore del movimento composte in queste settimane o il rispolvero del classico slogan indipendentista: “un solo eroe: il popolo”) se non si guarda agli anni trascorsi dal dopoguerra a oggi. La sollevazione popolare contro il potere coloniale francese a Sétif e Guelma nel giorno della vittoria contro la Germania nazista, l’8 maggio 1945, e il conseguente massacro (20-30 mila vittime della repressione) marcarono l’inizio dell’adesione massiccia della popolazione al movimento nazionalista, che dal 1954 sarà poi guidato nella lunga lotta di indipendenza dal Fronte di liberazione nazionale (FLN) e dal suo braccio armato, l’Armée de libération nationale. Uno dei testi fondanti dell’Algeria indipendente, il programma di Tripoli (1962), statuiva: “La rivoluzione democratica popolare è l’edificazione cosciente del paese nel quadro dei princìpi socialisti e del potere nelle mani del popolo”. Il riferimento al socialismo dalla fine degli anni Settanta sparirà lentamente, ma il popolo resterà sino alla Costituzione rivista nel 2016 la fonte e il depositario del potere (articoli 7 e 9). Nei fatti, nonostante un inflazionato verbalismo rivoluzionario e populista usato da tutti i presidenti succedutisi nel palazzo di El Mouradia, le masse popolari non hanno mai avuto alcuna possibilità di incidere sulle decisioni finali, rimanendo sostanzialmente escluse dal braccio di ferro fra le élite per lo più militari che hanno dominato il paese. Il timore reverenziale nei confronti dello Stato-FLN fu cancellato poi dalla repressione della primavera algerina dell’ottobre 1988 quando l’ANP sparò contro il popolo, causando centinaia di vittime. Il colpo di stato militare del gennaio 1992 per “salvare” il paese dalla deriva islamista provocherà una guerra civile o, secondo alcuni, una guerra contro i civili, vittime dello scontro tra l’esercito e le forze jihadiste che durerà sino ai primi anni Duemila causando quasi 200mila morti.

Di fronte alle attuali proteste, nell’arco di un mese e mezzo, l’esercito – attraverso il suo capo di stato maggiore, il generale Ahmed Gaïd Salah – è passato dalla condanna e dalla messa in guardia rispetto al ritorno di una situazione violenta e caotica, agitando lo spettro degli anni Novanta (il 5 marzo), all’apprezzamento del senso civico e del patriottismo dei manifestanti. (il 18 marzo). Salah ha quindi richiesto l’avvio della procedura di empêchement per il presidente malato prevista dall’articolo 102 della Costituzione del 2016 (il 26 marzo), invocando poi anche agli articoli 7 e 9, per arrivare  infine all’appoggio pieno e totale alle rivendicazioni del popolo (il 2 aprile), secondo quanto dichiarato nel comunicato – questa volta del ministero della Difesa – che ha preceduto di poche ore la consegna della lettera di dimissioni al Consiglio costituzionale avvenuta davanti alle telecamere della tv nazionale per mano del presidente in persona (sulla sedie a rotelle, vestito in abiti tradizionali e senza proferire verbo).

A eccezione (forse) delle defezioni degli ultimi giorni è stato quindi eliminato dai giochi di potere il “clan presidenziale” nonché quella cerchia ristretta di persone che attorniavano il capo dello stato di fatto reggendo il potere in sua vece. Si stratta di un gruppo oggetto di numerose congetture nell’arco degli ultimi anni, la cui esistenza è stata infine confermata dallo stesso esercito che, nel suddetto comunicato, ha dichiarato irricevibile il messaggio della presidenza della Repubblica del 1° aprile – che ancora prendeva tempo annunciando dimissioni entro la fine del mandato, il 28 aprile – perché redatto in realtà da “forze non costituzionali”. Il “sistema” algerino, anch’esso ombroso e insondabile, è comunque ancora sorretto dai restanti due pilastri – l’esercito, appunto, e uno dei suoi potenti sottoinsiemi, i servizi segreti. Questi erano stati sino ad ora silenti, dato che nei 20 anni di Bouteflika sono stati ricondotti sotto il suo controllo (il terzo pilastro – la presidenza) ma che alla resa dei conti lo hanno abbandonato.

Il popolo ha scandito con perseveranza, determinazione e senso della responsabilità le tappe verso la fine dell’era Bouteflika. Tuttavia, senza la pressione dell’esercito con tutta probabilità il risultato non sarebbe stato raggiunto. Entrambi gli attori vorranno pertanto ora avere voce in capitolo sul dopo-Bouteflika. Nonostante l’esercito e il popolo siano interconnessi l’uno all’altro da decenni, l’esercizio della forza è sempre esclusiva di una sola parte, mentre il dégage (“vattene”) nelle piazze non era riferito al solo “Boutef”, ma spesso e volentieri a tutto il sistema (vertici dell’esercito compresi). Il popolo, oggi come nella guerra d’Algeria, aspira a una sola cosa: la libertà, il vero mantra delle manifestazioni del venerdì (con annesso pezzo del rapper franco-algerino Soolking che dalla rete spopola nelle vie attraversate da milioni di algerini). Ma appoggiandosi su chi e/o che cosa potrà conquistarla definitivamente?  

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Tags

Algeria Costituzione Algeria proteste Abdelaziz Bouteflika
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AUTORI

Caterina Roggero
Università degli Studi di Milano

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