Nel primo discorso al Dipartimento di Stato, il presidente Biden dice no alle offensive saudite in Yemen e delinea una ‘politica estera per la classe media’.
“L’America è tornata. La diplomazia è tornata: voi siete il centro di tutto ciò che intendo fare”. Così il presidente Joe Biden ha archiviato – nel suo primo discorso al Dipartimento di Stato – quattro anni di trumpismo e ‘America first’. E soprattutto ha annunciato decisioni importanti come la fine del sostegno americano alle operazioni militari a guida saudita in Yemen, l’aumento da 15mila a 125mila del numero di rifugiati che gli Stati Uniti intendono accettare annualmente e l'annullamento del ritiro di militari di stanza in Germania. Passi attesi e accolti con favore dai partner all’estero, che seguono altre decisioni di rilievo sul fronte internazionale come il rientro degli Stati Uniti negli accordi di Parigi sul clima e la revoca del ritiro dall’Organizzazione mondiale della Sanità.
Ma soprattutto un segnale per il mondo: il presidente sarà consumato da pressanti questioni interne, ma ha un occhio puntato sugli affari esteri e farà di tutto per sostenere la diplomazia. E ancora che l'America è pronta a riprendere il suo impegno con gli alleati per affrontare problemi globali in contesti multilaterali, un vero e proprio mantra del team di Biden. Non stupisce, considerato il suo curriculum di ex senatore e vicepresidente, con alle spalle decenni di esperienza in politica estera. E non sorprende certo il neo Segretario di Stato Antony Blinken, suo collaboratore di lungo corso: “Per i due decenni circa in cui ho lavorato per lui – ha detto – ho solo cercato di tenere il passo”.
Cosa cambia per lo Yemen?
La decisione di sospendere il sostegno all’intervento saudita in Yemen, bloccando la vendita di armi e missili di precisione a Riad e Abu Dhabi, segna una netta discontinuità con l’amministrazione precedente che aveva inserito i ribelli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. E soprattutto invia un segnale chiaro all’Arabia Saudita e agli Emirati: gli Stati Uniti vogliono la fine della guerra, di cui non sono più disposti ad assumersi le responsabilità davanti all’opinione pubblica. Secondo le Nazioni Unite lo Yemen è teatro della peggior crisi umanitaria al mondo, con un bambino denutrito su tre tra quelli al di sotto dei 5 anni, e conta oltre 112mila vittime dall’inizio del conflitto. Inoltre, l’80% della popolazione sopravvive grazie agli aiuti. Ma pur imprimendo una svolta negli equilibri del conflitto, la decisione di Biden non ne decreterà automaticamente la fine. Il presidente, che ha nominato Timothy Lenderking nuovo inviato Usa in Yemen, è inoltre rimasto vago sul modo in cui gli Stati Uniti intendono “continuare ad aiutare l’Arabia Saudita a tutelare la sua sovranità e l’integrità territoriale”.
“Nel 2015 – osserva Lyse Doucet – il presidente [Barack] Obama diede il via libera alla campagna guidata dai sauditi, in parte per attenuare lo scontento del Regno per l'accordo nucleare iraniano. Ora i nuovi inviati statunitensi in Yemen e Iran dovranno porre fine a questa guerra e alle rivalità regionali che ancora la alimentano”.
Cosa non ha detto Biden?
Quasi all’inizio del suo discorso, il presidente ha fatto riferimento alla Russia:
“Ho chiarito al presidente [Vladimir] Putin, in modo molto diverso dal mio predecessore, che i giorni degli Stati Uniti che passavano sopra alle azioni aggressive della Russia sono finiti”. Biden ha annunciato di volersi impegnare con Mosca su aree di reciproco interesse, come la non proliferazione nucleare (nei giorni scorsi è stato rinnovato l’accordo New Start), ma si è impegnato anche a chiedere a Vladimir Putin degli attacchi informatici, delle interferenze elettorali e del rilascio del leader dell'opposizione russa Alexei Navalny.
Ma a caratterizzare l’intervento, il primo del neopresidente alla diplomazia americana, è stato anche ciò che non ha detto. A colpire è l’assenza di una qualsiasi menzione dell’Iran. Un silenzio che fa rumore, soprattutto se paragonato ai continui riferimenti di Donald Trump e del suo segretario di Stato Mike Pompeo, per cui Teheran era “all’origine di tutti i mali” del Medio Oriente. E che fa riflettere, considerato che Biden ha già chiarito di voler riaprire il negoziato sul nucleare iraniano, dopo che Trump si è ritirato dall’accordo JCPOA nel 2017.
Una politica estera per la classe media?
Se Biden intende imprimere un cambio di rotta deciso nella politica estera americana, questo non avverrà a discapito degli interessi dei lavoratori e della middle class americana. Il presidente lo ha detto chiaramente: “Non ci sarà una linea di demarcazione netta tra politica estera e politica interna. Ogni azione che intraprendiamo nella nostra condotta all'estero dobbiamo prenderla pensando alle famiglie di lavoratori americani, proteggendo i loro posti di lavoro e salari”. Un approccio in cui si sente forte l’influenza dell’ala più progressista del partito democratico e del neo consigliere per la Sicurezza Jake Sullivan, basata su un’idea semplice: collegare la politica estera di Washington al benessere della classe media americana come nuovo principio organizzativo per la sicurezza nazionale. Tra le altre cose, questo nuovo approccio prevede di ampliare la portata dei negoziati commerciali internazionali per affrontare questioni come le oscillazioni valutarie e gli incentivi fiscali che spingono le aziende a spostare la produzione offshore. E fornire ai lavoratori le competenze di cui hanno bisogno per adattarsi ai grandi cambiamenti nel mercato del lavoro. “Competeremo da una posizione di forza, ricostruendo meglio a casa, lavorando con i nostri alleati e partner, rinnovando il nostro ruolo nelle istituzioni internazionali e rivendicando la nostra credibilità e leadership morale”, ha detto Biden. “Se le regole del commercio internazionale non sono contro di noi, non c'è paese al mondo che possa eguagliarci”.
Il commento
Di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI
“Fare la sua prima uscita al Dipartimento di stato, anziché al pentagono o alla CIA come fece Trump che si recò in visita alla sede della diplomazia americana dopo più di un anno dal suo insediamento, rafforza il peso delle parole di Biden: “L’America torna in scena, è l’ora della diplomazia”. Un messaggio simbolico accompagnato da cambi di rotta radicali verso la Nato e gli alleati, nei confronti della Russia e con l’Arabia Saudita. Ma declinare bastone e carota, deterrenza e cooperazione à la carte, in una politica estera coerente ed efficace – soprattutto con la Cina e in Medio Oriente – non sarà una passeggiata”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)