La 40esima riunione annuale del Gulf Cooperation Council (GCC) è stata preceduta da diversi segnali di distensione tra Arabia Saudita e Qatar, dopo due anni e mezzo di embargo imposto a Doha da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrein ed Egitto. La tensione rimane alta, come dimostra la decisione dell’emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al Thani di non partecipare neanche quest’anno, nonostante l’invito del re Salman. Una decisione che ha indispettito soprattutto i ministri degli Esteri di Bahrain e EAU, che hanno parlato di “mancanza di serietà” e criticato l’assenza dell’emiro.
Tuttavia, questa volta al suo posto c’era il primo ministro Abdullah bin Nasser bin Khalifa Al Thani, che è il funzionario di più alto livello a prendere parte al summit annuale del GCC dall’inizio della crisi nel giugno 2017.
A maggio di quest’anno la partecipazione del primo ministro qatariota a una riunione di emergenza del GCC a Mecca aveva fatto intravedere un possibile riavvicinamento. Tuttavia in quell’occasione il ministro degli Esteri saudita Ibrahim al-Assaf aveva ribadito che la soluzione alla crisi sarebbe arrivata solo se il Qatar fosse “tornato sulla retta via”, accettando quindi le 13 richieste del “quartetto”, che prevedono tra le altre cose: il taglio dei legami con organizzazioni definite “terroristiche” come Fratellanza musulmana, Hamas e Hezbollah; la chiusura dell’emittente Al Jazeera; la chiusura delle rappresentanze diplomatiche in Iran e il riallineamento della propria politica estera con quella degli altri paesi del GCC.
“Siamo passati da una situazione di stallo al fare qualche progresso”, ha dichiarato il 6 dicembre il ministro degli Esteri qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani in occasione della conferenza Rome MED – Mediterranean Dialogues, confermando che ultimamente ci sono stati alcuni incontri con rappresentanti sauditi. “[Il governo del Qatar] ha intrapreso dei primi passi positivi sulla giusta via, ma riteniamo che sia solo l’inizio”, gli ha fatto eco il ministro di Stato per gli Affari Esteri saudita Adel al-Jubeir intervistato da Agenzia Nova.
A fine novembre la nazionale saudita di calcio ha infranto per la prima volta il blocco aereo con un volo diretto per Doha per partecipare alla Arabian Gulf Cup. Negli stessi giorni il Wall Street Journal e la Reuters hanno riferito di una visita segreta del ministro degli Esteri qatariota a Riyadh a ottobre per discutere della crisi con alti funzionari sauditi. In particolare, secondo una fonte del WSJ, il Qatar avrebbe accettato di rivedere i propri legami con la Fratellanza musulmana.
I precedenti tentativi di mediazione di Kuwait, Oman e, in parte, Stati Uniti finora sono tutti falliti, ma negli ultimi mesi le difficoltà in politica estera ed economica di Riyadh potrebbero averne ammorbidito l’intransigenza, facilitando così la via del dialogo.
Per quanto riguarda il Qatar, l’emirato si è fatto trovare particolarmente pronto all’embargo imposto dall’imponente vicino saudita, dal quale importava gran parte dei beni di consumo: l’80% del fabbisogno di cibo del Qatar veniva dai paesi vicini come Arabia Saudita ed EAU, e il 40% di questo passava per l’unico confine terrestre con i sauditi. Doha ha dimostrato una certa resilienza, soprattutto grazie alle ingenti risorse del Fondo sovrano, il Qatar Investment Authority (QIA). Resta però da vedere se la sfida sia sostenibile sul lungo periodo.
L’Arabia Saudita, dal canto suo, ultimamente ha visto vacillare alcuni dei pilastri su cui poggiava parte della sua politica estera: una enorme riserva di capitale e la sicurezza di poter contare sul sostegno attivo di Usa e EAU, specialmente in funzione anti-iraniana.
La tanto attesa quotazione in borsa del colosso petrolifero statale Saudi Aramco è arrivata dopo una serie di rinvii e peripezie, come l’attacco del settembre scorso ai siti di Abqaiq e Khurais. Nonostante abbia segnato il record più grande della storia, la valorizzazione della compagnia sopra ai 1.700 miliardi di dollari è stata comunque al di sotto delle aspettative del principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), che inizialmente puntava a 2 mila miliardi di dollari.
Il tutto mentre il Regno, alle prese con un prezzo del petrolio basso da anni, ha bisogno di denaro per finanziare gli ambiziosi progetti di MBS. “È un dato di fatto che l’Arabia Saudita stia esaurendo i soldi”, riassumeva a novembre l’ex capo della CIA David Petraeus intervistato dalla CNBC, spiegando che i sauditi “hanno bisogno di quegli investimenti esterni che sono cruciali per completare ‘Vision 2030’ [il grandioso progetto di MBS per ridurre la dipendenza dal petrolio dell’economia saudita, ndr]”.
A questo si aggiunge la recente freddezza di due dei principali alleati di Riyadh: gli EAU e gli USA.
I primi faticano a seguire i sauditi nella loro politica di isolamento dell’Iran, con il quale hanno diversi scambi commerciali, e negli ultimi tempi hanno preso le distanze da Riyadh anche in Siria e nella disastrosa guerra in Yemen. Proprio la forte partnership tra MBS e il suo collega emiratino Mohammed bin Zayed (MBZ) era stata uno dei fattori trainanti del blocco al Qatar, con gli EAU particolarmente preoccupati per il sostegno di Doha alla Fratellanza musulmana.
Anche gli Stati Uniti, che per altro in questi giorni stanno portando avanti dei negoziati con i Talebani proprio a Doha, ultimamente sembrano voler evitare uno scontro aperto con l’Iran. A giugno scorso il presidente USA Donald Trump, che un anno prima era uscito unilateralmente dall’accordo sul nucleare iraniano, è intervenuto di persona per fermare un raid aereo contro l’Iran in risposta all’abbattimento di un drone Usa, facendo infuriare l’allora consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Noto per le sue posizioni anti-iraniane, Bolton è stato cacciato da Trump a settembre.
Due anni e mezzo fa fu proprio il viaggio di Trump a Riyadh, il primo all’estero da presidente, a imprimere un’accelerata ai piani di MBS. Neanche una settimana dopo la visita, iniziò la campagna mediatica contro il Qatar culminata con le 13 richieste e con l’embargo, salutato con entusiasmo dal presidente USA. “Forse questo sarà l’inizio della fine dell’orrore del terrorismo”, twittò a un giorno dal blocco, salvo poi rivedere le sue posizioni in seguito. Poco più di due anni dopo, a luglio di quest’anno, l’emiro del Qatar è stato accolto alla Casa Bianca, insieme alla promessa di nuovi investimenti miliardari negli Stati Uniti.