Lunedì 18 aprile il sottosegretario al Tesoro USA, Wally Adeyemo, in una conferenza al Peterson Institute for International Economics ha sostenuto che le sanzioni sarebbero un segno della forza dell’architettura finanziaria internazionale e non una minaccia alla sua stabilità, al contrario di quanto abbiamo argomentato in precedenti analisi . Concertate da 30 Paesi che rappresentano oltre il 50% del Pil mondiale, le sanzioni sono presentate dal sottosegretario USA come una moderna forma di “scomunica”: comportano letteralmente l’esclusione dalla comunità finanziaria internazionale e, di conseguenza, dalla possibilità di accesso a tutto ciò che i dollari consentono di acquistare – dal tenore di vita occidentale alle tecnologie all’avanguardia alle forniture militari. In questa prospettiva, il sistema dei pagamenti appare come lo strumento di enforcement della rule of law su scala globale, capace di decretare il fallimento economico, e perciò la messa al bando, di un Paese riconosciuto colpevole di avere violato le regole della comunità internazionale.
Default evitato… per ora
Giovedì 14 aprile la Russia ha evitato il fallimento pagando ai propri creditori 447 milioni di dollari fra capitale e interesse. Il pagamento è stato effettuato, previa autorizzazione del Tesoro USA, da JPMorgan, la banca utilizzata dal governo russo, dopo che la stessa JPMorgan si era rifiutata il 4 aprile di processare due pagamenti dovuti dal governo russo agli investitori internazionali.
La Russia ha potuto sinora effettuare i pagamenti sui propri debiti grazie a un provvedimento del Tesoro che autorizza i titolari di debito russo in USA a riscuotere cedole e capitale in deroga alle sanzioni fino al 25 maggio (General License No. 9°, c). Che cosa succederà dopo tale data non è chiaro, considerato che la Russia avrà ancora 2 miliardi di dollari in scadenza prima della fine dell’anno (Insider).
Un’idea possiamo però farcela. Lo stesso 14 aprile, l’agenzia di rating Moody’s ha annunciato in un comunicato stampa che già il 4 aprile, in seguito al rifiuto di JPMorgan di effettuare i pagamenti in dollari, la Russia ha pagato in rubli le cedole su due emissioni di titoli, contravvenendo alle condizioni contrattuali. Moody’s ha anche specificato che, qualora la irregolarità non fosse sanata entro trenta giorni, si configurerebbe un default poiché il creditore avrebbe diritto a essere pagato nella valuta concordata e non in una valuta diversa e più volatile – anchese naturalmente il pagamento è stato fatto al tasso di cambio corrente e il rublo è tornato addirittura sopra ai livelli precedenti l’invasione dell’Ucraina (Figura 1).
Figura 1. Tasso di cambio dollaro-rublo
(numero indice 24/02/2022 = 1)
Fonte: Fondo Monetario Internazionale
Intanto, Standard&Poor’s ha già declassato il debito russo in valuta estera al livello di selective default, il termine tecnico usato per indicare una situazione di insolvenza che riguarda soltanto una parte del debito. Il mercato finanziario sembra concordare con la valutazione dell’agenzia di rating: il prezzo dei bond russi sul mercato secondario è crollato dall’inizio dell’invasione e si attesta ora attorno a 22 centesimi per dollaro, un prezzo che incorpora l’aspettativa di default (FT).
L’ultima volta che la Russia ha fatto default sul proprio debito estero fu dopo la Rivoluzione d’ottobre. La bancarotta del 1998 fu soltanto sul debito denominato in rubli (The Conversation). A differenza che nel 1918, questa volta la bancarotta sarebbe provocata non dai debitori, attraverso il ripudio dei debiti, bensì dai creditori, attraverso l’imposizione delle sanzioni.
In effetti, per scongiurare il default, la governatrice Elvira Nabiullina ha minacciato azioni legali contro il congelamento delle riserve valutarie della Banca Centrale Russa. Non è chiaro contro chi potrà essere mossa l’accusa, con quali argomenti e presso quale tribunale. Il portavoce della Commissione Europea, Peter Stano, ha indicato una strada piuttosto lineare: chiunque voglia impugnare le sanzioni imposte dalla Commissione può fare appello alla Corte di giustizia europea. Ma ha anche anticipato quello che egli considera l’esito scontato: “Le ragioni per cui abbiamo imposto le sanzioni sono molto chiare: l’aggressione illegale contro l’Ucraina e il suo popolo”.
Un default indotto per motivi politici
Non è dello stesso parere la Cina. Lo stesso giorno, infatti, l’ambasciatore Zhang Jun, rappresentante permanente alle Nazioni Unite, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza dedicato alla crisi ucraina ha dichiarato che “il congelamento arbitrario delle riserve di valuta estera di un Paese costituisce una violazione della sua sovranità, ed equivale a trasformare l'interdipendenza economica in un’arma”, concludendo perentorio: “Tali pratiche minano le basi della stabilità economica mondiale e portano nuove incertezze e rischi nelle relazioni internazionali. Dovrebbero essere abbandonate al più presto”.
In effetti, le sanzioni rischiano di portare al default un Paese che non avrebbe motivo di fallire stando ai fondamentali economici. Il debito pubblico totale, in seguito ad anni di politiche di consolidamento fiscale, si attesta ad appena il 17% del Pil. La quota del debito pubblico detenuta all’estero è andata scemando negli ultimi anni, attestandosi attorno al 21%, mentre la quota del debito denominato in valuta estera è pari ad appena il 7%. L’importo complessivo del debito estero del governo russo ammonta a circa 62 miliardi di dollari. L’ammontare del debito estero totale (pubblico e privato) a fine 2021 era inferiore al 30% del Pil e al 100% delle esportazioni russe. Le percentuali corrispondenti per gli USA sono pari a 220% e 2000% rispettivamente. Il regime di eccezione degli Stati Uniti si è fondato sinora sull’utilizzo dei debiti americani come liquidità internazionale e sul ruolo degli USA come “banchiere del mondo”: tuttavia, anche da parte della comunità scientifica cominciano a emergere dubbi sulla sostenibilità del debito estero USA (Farhi e Maggiori).
Figura 2. Russia, debito pubblico totale, debito pubblico estero e debito pubblico in valuta estera
(I valori sull’asse sinistro sono espressi in % sul debito pubblico totale. I valori sull’asse destro sono in miliardi di dollari)
Fonti: Banca dei Regolamenti Internazionali e Banca Centrale di Russia
La più recente “Debt Sustainability Analysis” del Fondo Monetario Internazionale, pubblicata nel 2021, prevedeva un andamento sostanzialmente stazionario e non esplosivo del debito pubblico e del debito estero russo nei prossimi anni. Il documento affermava che la posizione sull’estero risultava in linea con il livello implicato dai fondamentali di medio termine e dalle politiche auspicabili.
Del resto i pagamenti per interessi sui debiti esteri si aggirano intorno a un miliardo di dollari al mese (Figura 4). Da sole, le esportazioni russe di petrolio e gas generano un afflusso di oltre un miliardo di dollari al giorno in valute pregiate (Nikkei).
Figura 3. Pagamenti di interessi sui debiti esteri russi
(milioni di dollari)
Fonte: Banca Centrale di Russia
Grazie all’export delle materie prime energetiche, la Russia ha infatti un ampio surplus di parte corrente ed è pertanto un creditore netto del resto del mondo: complessivamente le sue attività verso l’estero sono superiori agli investimenti stranieri in Russia. Ciascuno dei settori istituzionali (imprese, banche) ha più crediti che debiti verso l’estero (Figura 4). L’unica apparente eccezione è il governo, i cui debiti detenuti da investitori internazionali eccedono gli investimenti del fondo sovrano russo all’estero per circa 16 miliardi di dollari. Ma anche questo debito netto impallidisce di fronte alle riserve della Banca Centrale Russa, che superano i 600 miliardi di dollari.
Figura 4. Posizione netta sull’estero dei settori istituzionali russi
(milioni di dollari)
Fonte: Banca Centrale di Russia
Tuttavia, il congelamento delle riserve e/o le restrizioni sulle transazioni del governo russo potrebbero comunque causare il default di quest’ultimo sui suoi debiti esteri – e a poco varrebbe l’afflusso di valuta pregiata determinato dall’export delle materie prime energetiche, dato che il governo russo non potrebbe usare quelle risorse per pagare i creditori esteri. Si tratterebbe di una novità assoluta nella storia delle crisi debitorie degli Stati sovrani: il default non avverrebbe infatti a causa di una reale insolvenza o illiquidità (come abbiamo visto, tutti i fondamentali dell’economia russa indicano una probabilità bassa o nulla di crisi di debito estero), né dal ripudio degli impegni da parte dei debitori (come fecero i bolscevichi), ma sarebbe di fatto “forzato” artificialmente dai creditori per ragioni politiche.
Le implicazioni giuridiche ed economiche
Sul piano giuridico, non è scontata la possibilità per i creditori di far valere un simile provvedimento (Reuters). Le emissioni di obbligazioni da parte della Federazione Russa, a partire dall’invasione della Crimea e dalle conseguenti sanzioni, dichiarano esplicitamente che “la Federazione Russa è uno Stato sovrano, non ha rinunciato a nessun diritto di immunità sovrana che possa avere in qualsiasi giurisdizione e non si è sottomessa alla giurisdizione di nessun tribunale e di conseguenza può essere difficile o impossibile ottenere o eseguire sentenze contro di essa”. In particolare, come recita ancora il prospetto informativo delle emissioni post-2014, “i pagamenti ai sensi delle obbligazioni possono essere influenzati da sviluppi geopolitici e, se il pagamento in dollari USA non può essere effettuato, tali pagamenti saranno invece effettuati in una valuta di pagamento alternativa”.
Sul piano economico, la domanda è se le conseguenze sarebbero le stesse di un default classico. Come mostrato dalle crisi dei Paesi dell’America Latina degli anni ’80 o dalla crisi greca del 2013, un Paese che dichiara il default sui suoi debiti perde la possibilità di finanziarsi sul mercato per un certo numero di anni necessari a ricostruire la fiducia degli investitori. Nel caso russo, il governo perderebbe la capacità di finanziarsi sui mercati internazionali, e dovrebbe quindi rimpiazzare quella fonte di finanziamento con risorse interne oppure ridurre il debito (e quindi le spese). Tuttavia, come abbiamo visto, il debito pubblico russo attualmente detenuto da non residenti è pari solo al 21% del totale. Del resto, il ministro delle Finanze russo Siluanov ha già dichiarato che la Russia non intende emettere ulteriore debito nel corso del 2022, né sul mercato interno né su quello internazionale, perché il costo del finanziamento sarebbe troppo alto. Inoltre, avendo un surplus di parte corrente, la Russia come Paese non ha bisogno di farsi finanziare dal resto del mondo.
In definitiva, il default forzato della Russia solleverebbe dubbi sia sul piano pratico, rispetto all’efficacia nell’ostacolare l’azione militare della Russia, sia sul piano giuridico, rispetto alla legittimità del ricorso al sistema dei pagamenti per sanzionare un Paese “canaglia”. Se davvero si volesse dare legittimità al provvedimento – in modo da farne, come si pretende, un atto di polizia internazionale e non un atto di guerra – bisognerebbe che il sistema finanziario internazionale fosse non soltanto rafforzato, come auspica il sottosegretario Adeyemo, ma anche posto esplicitamente sotto l’egida del Fondo Monetario Internazionale in quanto braccio esecutivo dell’ONU (essendo l’FMI formalmente un’Agenzia Specializzata per le questioni monetarie del Sistema delle Nazioni Unite). Solo allora il sistema dei pagamenti sarebbe davvero appannaggio della comunità internazionale e costituirebbe uno strumento al contempo efficace e legittimo per comminare una scomunica.