La minaccia dei vertici politici della Repubblica islamica di chiudere lo Stretto di Hormuz, le conseguenti manovre della marina militare dell’esercito nazionale iraniano nel Golfo Persico insieme al continuo sviluppo del programma nucleare iraniano, hanno provocato, nell’ultimo mese, l’intensificarsi della stretta degli Stati Uniti e dei paesi dell’Unione europea su Teheran. L’inasprimento delle sanzioni emesse, soprattutto sul piano economico-finanziario, contro la Banca Centrale iraniana e la minaccia di imporre uno storico embargo da parte dell’Unione europea sull’acquisto del petrolio iraniano, evidenziano il grado di preoccupazione dei paesi occidentali nei confronti dell’Iran.
Tuttavia non si può analizzare, soprattutto in questo frangente, la politica estera dell’Iran senza esaminarne l’intenso conflitto politico interno al vertice. Le elezioni parlamentari del prossimo marzo sono, infatti, alle porte e mai come oggi il sistema politico-economico iraniano si trova così disunito, diviso in due fronti principali: quello vicino alla Guida Suprema l’ayatollah Ali Khamenei e quello sostenitore del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Si tratta di due imponenti blocchi di potere politico-finanziario e militare presenti nel paese. Questo scontro interno influenza indirettamente la politica estera iraniana, determinandone anche le strategie militari.
Il fronte khameneista, ultraconservatore e vicino al blocco cinese, ha l’interesse ad alimentare le tensioni con i paesi occidentali, le quali, riverberandosi con inevitabili riflessi negativi anche sul fronte interno, bloccherebbero l’ascesa al potere della squadra del presidente in carica Ahmadinejad. Un possibile conflitto esterno darebbe infatti l’opportunità storica ai khameneisti (i quali hanno tra i propri alleati i vertici dei pasdaran, dell’esercito e dei basij) di sconfiggere gli antagonisti interni, in particolare il fronte ahmadinejadiano. Quest’ultimo invece avrebbe tutto l’interesse a mantenere stabile la situazione politica al fine di raggiungere il proprio obiettivo: la vittoria nelle prossime elezioni del majles e di conseguenza la conquista della maggioranza parlamentare.
Si è notato infatti come siano stati, sia in occasione dell’assalto all’ambasciata britannica a Teheran sia nel corso delle ultime manovre militari nel Golfo Persico, proprio i vertici politici e militari vicini alla Guida Suprema a voler provocare gli stati occidentali. Nel primo caso, a seguito dell’attacco all’ambasciata britannica, sono stati uomini quali l’hojjatoleslam Mohseni Ejei e l’ayatollah Ahmad Khatami vicini alla Guida Suprema, a rilasciare dichiarazioni di sostegno agli studenti basij per la loro azione mentre il governo adottava una politica di silenzio, non rilasciando alcuna dichiarazione ufficiale tranne quella di rammarico per l’accaduto da parte del portavoce degli Esteri Ramin Mehmanparast. Per quanto riguarda la vicenda del Golfo Persico, sono stati invece i comandanti, vicini all’ayatollah Khamenei, Hassan Firuz-abadi e Habibollah Saiiari, a minacciare la chiusura preventiva dello Stretto di Hormuz, mentre il vice presidente, Mohammad Reza Rahimi, aveva minacciato un’eventuale chiusura dello Stretto solo come reazione a sanzioni petrolifere o attacchi militari contro l’Iran.
Alla luce dei due diversi atteggiamenti e delle opposte mire dei due fronti, quali potrebbero essere gli scenari futuri nel Golfo Persico?
Le imminenti elezioni parlamentari e il loro esito potrebbero rivelarsi di grande importanza per la definizione delle strategie iraniane nel Golfo Persico. Il primo scenario potrebbe essere:
- - il fronte ahmadinejadiano gioca bene le sue carte, sia all’interno sia all’esterno, bloccando, almeno per un breve periodo, le provocazioni iraniane contro l’Occidente. Ciò potrebbe avvenire soltanto se gli uomini del presidente riuscissero a vincere le prossime elezioni parlamentari, così da obbligare i khameneisti a fare momentaneamente marcia indietro.
Nel caso in cui la spuntasse il fronte khameneista sarebbero almeno due le opzioni possibili:
- - i vertici militari, vicini all’ayatollah Khamenei, con l’avvicinarsi delle elezioni di marzo sentono la pressione della squadra di Ahmadinejad e temono di perdere il confronto politico. Decidono allora di incrementare le tensioni esterne, cercando il primo pretesto per chiudere, anche per un tempo breve, lo Stretto di Hormuz, rischiando di provocare così uno scontro militare nell’area del Golfo Persico.
- - Il fronte khameneista agisce con più cautela e non chiude lo Stretto, ma provoca le flotte americane nel Golfo Persico allo scopo di farsi attaccare per primo. Così l’idea della guerra imposta e la difesa nazionale contro il nemico imperialista potrebbe costituire una legittimazione morale più efficace al fine di entrare in un conflitto armato. In tal caso si presenterebbe anche l’occasione, in nome dell’unità nazionale, per emarginare il gruppo presidenziale.
Quale sarà lo scenario, il 2012 si preannuncia, comunque, un anno molto intenso per tutta l’area del Golfo Persico con il rischio, viste le condizioni politico-economiche della regione e quelle mondiali, di assistere a un nuovo conflitto armato nella regione. Un’eventuale guerra tra la marina iraniana e la flotta americana, considerato lo squilibrio geopolitico che caratterizza la regione, potrebbe suscitare l’intervento di altri attori allargando il conflitto a potenze come i paesi arabi del Golfo Persico, antagonisti storici dell’Iran, a sostegno della flotta americana, e alla Cina, in ausilio alla Repubblica islamica.