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Da Cuba al Cile

L’autunno caldo dell’America Latina

Emiliano Guanella
14 luglio 2021

Proteste a Cuba, barricate e tafferugli che continuano a Bogotà, le speranze e i timori del Cile che deve votare e scrivere la nuova Costituzione, la spaccatura sociale mai così forte in Argentina. L’autunno caldo dell’America Latina è appena iniziato, con conflitti e tensioni che attraversano diversi paesi, facendo prevedere una stagione di instabilità quando non è ancora finita l’emergenza sanitaria.

Le manifestazioni all’Avana e in altri centri cubani hanno sorpreso un po’ tutti per la loro forza. Il malcontento generale è diffuso in un paese segnato da una forte crisi economica, ma in pochi si aspettavano che la gente avesse il coraggio di scendere per strada affrontando direttamente il regime, come non si vedeva da quasi 30 anni. Cuba non è una democrazia e chi si esprime pubblicamente contro il governo sa che può andare incontro a problemi di vario tipo, da un avvertimento fino alla prigione. L’ultima grande mobilitazione fu nel 1994, sulla scia della primavera dei paesi dell’ex blocco comunista, ma durò poco e diede origine ad una controffensiva del governo rivoluzionario guidato allora da Fidel Castro. La manifestazione dell’Avana è stata repressa dalla polizia e dai picchiatori in borghese dei “battaglioni dell’ordine”, ma i cubani e il mondo intero hanno potuto vedere la gente protestare, con le bandiere in mano e il canto del “pueblo unido, que jamás será vencido”. Ai microfoni dei corrispondenti stranieri (anche una troupe della Associated Press è stata aggredita) i manifestanti hanno spiegato che la loro protesta è essenzialmente contro la fame, la scarsezza di alimenti, i black out, l’economia ferma al palo. “Hambre” e miseria, ancor prima della sete di libertà, di elezioni, di diritti individuali.

Il presidente Miguel Diaz-Canel, erede della dinastia dei Castro, ha detto di capire le sofferenze del popolo, ma ha ribadito una formula rimasta intatta da 50 anni, a cui ormai in pochi credono; che tutti i problemi di Cuba sono figli del “bloqueo”, l’embargo statunitense, peggiorato nel 2019 con Donald Trump alla Casa Bianca. Subito dopo ha aggiunto che tra i manifestanti c’erano diversi infiltrati della Cia, accusando Washington di fomentare la campagna antigovernativa di influencer e blogger sui social media, la vera bestia nera del regime. L’embargo pesa, non c’è dubbio, ma Diaz-Canel sa, anche se non lo dice, che l’attuale crisi è pure frutto degli sbagli commessi dal Partito Comunista, come l’aver concentrato quasi tutte le aperture economiche sul turismo. La pandemia ha spezzato le reni dell’industria turistica cubana, lasciando senza fonte di reddito decine di migliaia di “cuentapropristi”, gli autonomi autorizzati dal governo a lavorare come tassisti, gestore di bar o case alloggi, guide, traduttori. Il Covid è arrivato sull’isola ma non sapremo mai, a causa della censura ufficiale, qual è stato il suo vero impatto su un sistema sanitario che si basa su medici di famiglia e prevenzione e non certo su letti di terapia intensiva e test di massa. Mentre l’Avana ha sbandierato al mondo i progressi nell’elaborazione del suo vaccino anti Covid “Soberana”, molti cubani si sono ammalati e sono morti, senza possibilità di cure. Nessuno sa quanto fiato avrà ancora la rabbia popolare. Il dissenso a Cuba funziona come una fisarmonica, dopo le grida in piazza cala il silenzio, anche perché la paura di rappresaglia è tanta. Ma ogni nota suonata fuori dal coro pesa, lasciando nella testa dei cubani una possibile marcia del cambiamento. Questa volta sembra che né i manganelli né la propaganda di regime basterà a placare l’ira di chi ha il piatto vuoto o un parente moribondo in casa.

Se a Cuba si è accesa una miccia in Colombia i focolai delle proteste, seppur affievoliti, continuano a bruciare da due mesi. Non ci sono più le grandi giornate di mobilitazione ma nella capitale Bogotà e a Medellin si registrano ogni notte nuovi tafferugli tra gruppi di giovani e la polizia. Archiviato il progetto di riforma delle pensioni il governo del presidente Duque ha deciso di militarizzare le strade per evitare che la situazione sfuggisse di mano. La violenza di polizia ed esercito è parsa a molti analisti funzionale per spaventare la gente e marginalizzare il più possibile i manifestanti rispetto all’opinione pubblica. Subito dopo è arrivata l’offensiva politica, con diversi esponenti di destra che hanno dato la responsabilità della violenza al candidato di sinistra per le presidenziali del prossimo anno Gustavo Petro. Petro, che fu sconfitto quattro anni fa al ballottaggio da Duque, è stato accusato di fornire esplosivo e soldi ai dimostranti più facinorosi, una tesi che è stata sposata recentemente anche dalla sindaca progressista di Bogotá Claudia Lopez. I nodi della protesta rimangono però sul tavolo, così come il malcontento diffuso in molti colombiani rispetto al modello economico e di organizzazione del lavoro, con salari molto bassi per milioni di lavoratori e un costo della vita troppo alto nelle grandi città. La campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali del maggio 2022 è già di fatto iniziata e questo fa pensare che le manifestazioni continueranno e saranno ancora più politicizzate nei prossimi mesi.

In Cile tutte le aspettative sono riposte invece nei lavori dell’Assemblea Costituente che si è insediata ad inizio luglio. La nomina della filologa mapuche Elisa Loncon come presidente della Convenzione ha mostrato gli attuali rapporti di forza, con un blocco formato da delegati indigeni, indipendenti di sinistra e di estrema sinistra in netta maggioranza, anche se non sempre potranno raggiungere il quorum di due terzi necessario per l’approvazione di ogni singolo articolo. I lavori della Costituente si intrecciano con la campagna per le presidenziali che si terranno il prossimo 21 novembre e con un eventuale ballottaggio a gennaio. I partiti di destra partono sfavoriti ma tutto dipenderà dalla capacità di unione della sinistra e del centrosinistra, attualmente divisi e con una mezza dozzina di pre-candidati. Bisognerà capire anche come si comporterà quel 60% di cileni che non sono andati a votare per scegliere i rappresentanti della Costituente. Tra di loro ci sono molti elettori delusi dei partiti tradizionali, moderati o di destra, ma anche molta gente che si dimostra ancora apatica rispetto alla politica, nonostante i due anni di proteste del movimento che ha voluto il processo costituente. Da un lato ci sono le piazze che hanno chiesto grandi cambiamenti per il paese e soprattutto la fine dell’eredità pinochetista, dall’altra c’è un Cile silenzioso che sarà comunque chiamato a votare per approvare o meno, fra dodici mesi, la nuova Carta.

Infine, l’Argentina, stravolta dai numeri alti della pandemia e dalla “grieta”, la spaccatura della società tra peronisti e antiperonisti. La vittoria nella Copa America di calcio contro il Brasile, che ha sancito il primo trofeo conquistato da Messi con la nazionale maggiore e la fine di un digiuno generale di 28 anni, ha regalato agli argentini il primo momento di euforia in mezzo alla lunga crisi economica e sanitaria. Ma il malcontento rimane, con un quinto dei lavoratori stipendiati che ha perso l’impiego, centinaia di migliaia di esercizi commerciali falliti, la povertà che ha raggiunto ormai il 40% delle famiglie e più della metà di bambini e adolescenti. A metà novembre si tengono le elezioni parlamentari di metà mandato, un test politico essenziale per la tenuta del governo di Alberto Fernandez, stretto tra i pessimi numeri dell’economia, le critiche dell’opposizione e il fuoco amico della base peronista vicina alla sua vice Cristina Kirchner. La speranza, per il governo, è riuscire entro allora a controllare la pandemia e poter uscire dalle urne mantenendo la maggioranza parlamentare. Solo così il governo potrà superare indenne il mese di dicembre, quello in cui si concentrano tradizionalmente le proteste di piazza e le rivendicazioni di sindacati e movimenti sociali.

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AUTORI

Emiliano Guanella
Corrispondente da San Paolo (RSI - Tv Svizzera e La Stampa) e analista politico

Image credits (CC BY 2.0): Diego Correa

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