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Commentary

Le chances di Obama appese al filo della ripresa economica

31 ottobre 2012

Già lo scorso giugno[1] ci eravamo chiesti quali sarebbero state le possibilità di rielezione del presidente Obama, ragionando sull’andamento dell’economia statunitense. La storia delle presidenziali sembrava andare contro l’ex deputato della Wind City: nessun presidente ha mai ottenuto un secondo mandato durante un periodo di depressione. Per questo motivo ci aspettavamo almeno una timida svolta nella politica fiscale dell’amministrazione Obama, con l’approvazione di politiche che avessero l’obiettivo di migliorare il dato occupazionale e di sostenere la timida ripresa economica, almeno nel breve periodo (ricordiamo che negli ultimi quattro anni il governo americano ha addirittura diminuito il numero di persone impiegate nel settore pubblico, mettendo così in pratica una politica fiscale di certo non espansiva).

Tuttavia, nulla di tutto ciò si è verificato. Il Congresso, a maggioranza repubblicana, ha bloccato qualsiasi iniziativa di spesa promossa dai democratici e, con la proposta Simpson-Bowles, ha messo a repentaglio l’essenza stessa della riforma sanitaria che fu alla base della prima campagna elettorale di Obama. Inoltre, dall’estero non è arrivato alcun sostegno all’economia statunitense: la recessione europea e il rallentamento dell’economia cinese hanno a loro volta avuto un effetto negativo sulla domanda di prodotti statunitensi e sull’occupazione interna, che sì è cresciuta, ma meno delle previsioni.

Malgrado ciò, un aiuto insperato a Obama è giunto dalle due Banche Centrali più importanti del mondo, la Federal Reserve e la Bce. In Europa, il governatore della Bce, Mario Draghi[2], si è posto a difesa dell’euro, assicurando implicitamente il supporto incondizionato della Bce ai mercati finanziari dei paesi europei più in difficoltà; questo ha fermato e invertito il lento e continuo deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro. Negli Stati Uniti, il suo collega Bernanke[3] ha promosso un nuovo piano di quantitative easing: un nuovo round di espansione monetaria non convenzionale. Gli effetti di queste politiche sono stati pressoché immediati: da un lato, sui mercati valutari, si è verificato un deprezzamento del dollaro, che ha reso le merci statunitensi più competitive (sostenendo perciò il mercato delle esportazioni statunitensi); dall’altro, sui mercati finanziari statunitensi, si è verificata una riduzione ulteriore del tasso d’interesse reale, come si può notare dall’aumento dell’inclinazione della curva dei rendimenti (Figura 1), che è causato da un aumento delle aspettative d’inflazione negli anni a venire – proprio quello che la Fed voleva ottenere.

 

 

Alla luce di questi fatti, possiamo dire che gli Usa non siano poi così lontani dall’uscire dalla trappola di liquidità in cui si trovano dal 2008: tassi d’interesse reali incredibilmente bassi, una politica monetaria che cerca in tutti i modi di sostenere una ripresa fin qui tenue, ma stabilmente positiva, e un livello di occupazione in aumento. Infatti, il Bureau of Labor Statistics ha recentemente comunicato il dato sulla disoccupazione più basso degli ultimi quattro anni: 7,8%. La ripresa, seppur lieve, c’è e è continua.

Il problema è che questi segnali di timida ripresa economica non sono sufficienti a determinare l’esito delle elezioni. Basti pensare a quanta influenza possano avere i dibattiti televisivi, ad esempio: conclusosi il primo incontro, da cui si dice che Obama sia uscito “perdente”, i sondaggi sembrano segnalare una svolta dell’opinione pubblica favorevole al repubblicano Romney[1].

Probabilmente, in questi ultimi giorni prima delle elezioni, il confronto di idee e opinioni tra i due candidati giocherà un ruolo fondamentale. Avrà poca importanza il sottolineare i successi delle politiche di Obama (un tasso di disoccupazione più basso di quello del 2009, il salvataggio dell’industria automobilistica, la riforma sanitaria e gli incentivi alle “green technologies”) oppure, da parte del partito repubblicano, puntare il dito sullo stato non troppo brillante dell’economia statunitense, cercando di porlo come evidenza dell’inefficacia delle politiche di Obama. Quello che conterà di più saranno le sensazioni ed emozioni che i due candidati sapranno suscitare negli elettori ancora indecisi. Il risultato delle elezioni sembra quindi appeso all’esito dei dibattiti televisivi e alle capacità comunicative, più che ai risultati dell’economia.

L’unico dato certo è la ripresa economica: timida, debole, ancora incerta, ma c’è. La nostra speranza è che chiunque vinca il 6 novembre non la metta in discussione con inutili politiche d’austerità, come sta invece accadendo in Europa.

 




[1] http://elections.huffingtonpost.com/pollster/2012-general-election-romne....

 


[1] L. MACEDONI - A. RONGONE - G. SAIBENE, USA, cercasi stimolo fiscale per una rielezione, ISPI Commentary, 11 giugno 2012.

[2]http://www.ecb.int/press/pr/date/2012/html/pr120906_1.en.html.

[3]http://www.federalreserve.gov/newsevents/speech/bernanke20120831a.htm.

 

 

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USA Elezioni Barack Obama Crisi economica Pil disoccupazione
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