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Globalizzazione

Le conseguenze del coronavirus sull’economia globale

Alessia Amighini
06 marzo 2020

L’epidemia da Covid-19 continua ad estendersi a un numero crescente di paesi e con essa non solo i malati, ma anche i danni economici, sebbene al momento difficilmente ponderabili. Ne risente innanzitutto l’economia cinese, oggi di gran lunga al di sotto della sua capacità produttiva: i dati ufficiali cinesi aggiornati al 3 marzo mostrano un indice della produzione manifatturiera sceso a 27,8 punti a febbraio (rispetto ai 51,3 di gennaio), il livello più basso da quando è iniziata l'indagine nell'aprile 2004. Restrizioni sulle spedizioni e annullamenti degli ordini hanno fatto crollare l’export cinese al tasso più alto di sempre, che su base annua potrebbe tradursi in 50 miliardi di dollari (stime UNCTAD pubblicate il 4 marzo).  

Nonostante ad oggi il 95,9 percento dei lavoratori migranti siano ufficialmente rientrati nella località in cui lavorano dopo le festività del capodanno cinese, la produzione è diminuita più del previsto, poiché le aziende hanno esteso le chiusure del capodanno a causa dell'epidemia e quando hanno riaperto si sono ritrovate con ordini cancellati o non rinnovati. Che la semplice riapertura delle aziende non sia bastata a ridare ossigeno all’economia è evidente, dal momento che il trasporto pubblico urbano ha ripreso solo al 47,8 percento e il consumo di carbone del settore produttivo è al 62,8 percento del suo livello nello stesso periodo di un anno fa. Di conseguenza, molte catene di approvvigionamento sono state fortemente rallentate se non interrotte, i tempi di consegna non sono stimabili e le aziende attingono alle proprie scorte, se ne hanno.

L’impatto sul resto del mondo è enorme, perché la Cina oggi è un importante fornitore di beni intermedi in molti settori: le esportazioni cinesi di beni intermedi utilizzati da altri paesi come input per le loro esportazioni sono salite dal 24% delle esportazioni totali cinesi nel 2003 al 32% nel 2018, secondo i dati della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Nei prodotti elettronici, telefonia, computer, mobili e arredo la Cina realizza l’assemblaggio di molti beni di consumo destinati anche all’esportazione. Computer, telefonia e televisori hanno tutti un’organizzazione della produzione su base globale, molti produttori hanno in Cina alcune fasi di produzione e le fasi di assemblaggio, alcuni dei quali con sede nello Hubei. La Cina rappresenta oltre la metà della produzione globale di monitor per televisori e computer, nella sola Wuhan hanno sede cinque fabbriche che producono schermi LCD e OLED. Secondo i dati di IHS Markit, il parziale arresto di Wuhan ha già danneggiato la produzione e aumentato i prezzi. L’impatto negativo sarà più ingente sulle altre economie asiatiche, in primis la Corea del Sud, che ha contratto il contagio in modo esteso e ne sta subendo le conseguenze economiche più dirette, così come le altre economie che dipendono fortemente dalle importazioni dalla Cina, come Taiwan, Vietnam, Malesia, Singapore.

La Cina è anche il maggiore acquirente di materie prime al mondo, con oltre 500 miliardi di dollari di importazioni nel 2018 e oltre 300 nel 2019 e per ora ha interrotto tutti i tipi di attività di costruzione, grande sarà anche il contraccolpo sugli esportatori di materie prime, soprattutto per Australia, Brasile e Russia (i primi tre esportatori di materie prime), per i quali la Cina rappresenta oltre un terzo delle loro esportazioni complessive. Anche la domanda di greggio della Cina è diminuita a causa di un drastico calo del traffico, ragion per cui le raffinerie hanno iniziato a tagliare la produzione, contribuendo a far scendere il prezzo del greggio al minimo dall'inizio del 2019.

Inoltre, la Cina è anche un grande mercato al consumo. Nel 2018 i consumatori cinesi hanno speso 115 miliardi di dollari in beni di lusso, circa un terzo della spesa mondiale del comparto. Questo dato include sia gli acquisti fatti in Cina, sia quelli all’estero durante i loro viaggi sempre più frequenti, che oggi sono azzerati e lo saranno per un tempo al momento imprevedibile. Il turismo è proprio il settore al momento più colpito nei servizi, oltre ai trasporti internazionali e alla logistica. Se i turisti cinesi, fonte di un grande boom turistico in tutto il mondo (pari a 270 miliardi di dollari), specialmente in Asia, stanno a casa, l'impatto negativo sul turismo globale andrà oltre il calo degli arrivi turistici, estendendosi a settori quali trasporti, alloggi, ristorazione, vendita al dettaglio e servizi finanziari. Finora, 128 paesi hanno limitato i viaggi da e verso la Cina, l'Asia avvertirà la maggior parte degli effetti (poiché oltre il 90% dei turisti cinesi viaggia all'interno della regione, soprattutto verso Hong Kong, Tailandia, Vietnam e Singapore), ma anche l’Europa ne risentirà, Italia inclusa, considerando che il Covid-19 ha impedito l’avvio dell’anno del turismo Italia-Cina.

Ma i settori più esposti sono quelli del manifatturiero nei quali la Cina ha un peso importante sia come fornitore, sia come mercato, sia come luogo dove sono localizzate parti importanti delle filiere: più di tutti l’automotive. La Cina è il più grande mercato automobilistico del mondo sia come produzione sia come consumo. Proprio Wuhan, la città al centro dell'epidemia, è sede di uno dei principali poli di impianti automobilistici (con circa il 10% della capacità di produzione automobilistica del paese e 2,24 milioni di veicoli prodotti) tra cui General Motors, Honda, Nissan, Peugeot Group e Renault e le cinesi Changan e Dongfeng. Solo per la Honda, Wuhan rappresenta circa il 50% della produzione totale in Cina. Con la diffusione del coronavirus, molte case automobilistiche in tutto il paese hanno chiuso i battenti nell'ambito del recente arresto a livello nazionale. Oltre alle case automobilistiche con sede nello Hubei, ad esempio, la nuova fabbrica di Tesla a Shanghai ha chiuso, posticipando la data di produzione del suo Modello 3, e Volkswagen ha posticipato la produzione in tutti i suoi stabilimenti cinesi che gestisce in joint-venture con SAIC. Di conseguenza, le vendite di auto in Cina sono diminuite del 92% nella prima metà di febbraio, secondo i dati della China Passenger Car Association (CPCA). Secondo le stime di IHS Markit, se molte fabbriche chiudessero fino a metà marzo, ciò potrebbe portare alla riduzione di 1,7 milioni di produzione di veicoli in Cina. Non si sa ancora quando la produzione potrà riprendere in misura soddisfacente, ma intanto l’emergenza ha fatto rinviare il salone annuale dell’auto a Pechino, originariamente previsto per il 21 aprile, uno dei molti altri eventi che sono stati cancellati o ritardati.

Gli impatti sull'industria automobilistica si fanno sentire oltre i confini della Cina, poiché la carenza di forniture dalla Cina blocca la produzione in tutto il mondo. Ad esempio, Hyundai e Kia hanno recentemente interrotto diverse linee di assemblaggio in Corea e Nissan ha annunciato che avrebbe sospeso la produzione di auto in Giappone. General Motors ha suggerito che le interruzioni della produzione potrebbero colpire gli impianti in Michigan e Texas, Jaguar Land Rover ha avvertito che il virus potrebbe creare problemi nei suoi impianti di assemblaggio in Gran Bretagna e Mike Manley, CEO di Fiat Chrysler Automobiles, ha dichiarato che la produzione in uno degli stabilimenti europei potrebbe essere sospesa dalla fine di febbraio.

L’epidemia sta mostrando al mondo quanto fragile sia un modello di globalizzazione fondato su una dipendenza elevatissima da un solo paese come fornitore per molti settori. Alcuni ne traggono la conclusione che l’economia cinese è ormai diventata indispensabile e pertanto ogni tentativo di isolarla o isolarsi (come nel caso dell’America di Trump) è destinato a restare vano. In realtà, una riduzione dell’interdipendenza economica tra la Cina e il resto del mondo (se non un vero e proprio decoupling) è destinata ad aumentare nel tempo, per due grandi motivi. Innanzitutto, l’inshoring di attività manifatturiere era in corso già prima della guerra commerciale, e con quest’ultima ha ulteriormente accelerato; oggi l’epidemia sta spingendo molte imprese, grandi e piccole, a riorganizzare le proprie catene di fornitura e di certo non torneranno indietro una volta terminato il rischio di contagio. La seconda ragione, altrettanto importante, è che la Cina stessa vuole ridurre la sua dipendenza tecnologica dai paesi tecnologicamente più avanzati e aumentare la produzione interna, e ciò significa che all’orizzonte si profila una fase di deglobalizzazione.

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Co-Head, ISPI Centre on Business Scenarios

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coronavirus Geoeconomia Cina Asia
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AUTORI

Alessia Amighini
Co-Head, ISPI Asia Centre

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