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Commentary

Le elezioni di mid-term 2010: per Obama critiche affrettate

27 ottobre 2010

Le elezioni statunitensi di mid-term sono ormai vicine e i sondaggi indicano che in entrambi i rami del Congresso – attualmente a maggioranza Democratica – vi sarà un successo dei Repubblicani che probabilmente prevarranno alla House mentre resteranno in minoranza al Senate, pur riducendo il distacco in seggi che oggi li separa dal partito del presidente. In base a questa ipotesi, alcuni commentatori, legati a una visione critica di Obama, sono portati a concludere: a) che il presidente ha fallito rispetto alle aspettative; b) che avrà vita difficile nel prossimo biennio; c) che è avviato alla sconfitta alle presidenziali del 2012.

Tali conclusioni mi paiono alquanto affrettate. In questi primi due anni di presidenza Obama ha realizzato una parte delle promesse enunciate (ripristino dell’immagine degli Usa nel mondo, riforma sanitaria, ritiro dall’Iraq, riduzione delle tasse per il 95% della popolazione) nella misura compatibile con la grave crisi del momento e con gli equilibri politici del Congresso. È vero che i suoi principali provvedimenti hanno lasciato insoddisfatte sia l’ala liberal dei Democratici, sia una buona parte della popolazione americana, ma non si deve dimenticare che il contesto storico-politico-economico, interno e internazionale, difficilmente avrebbe consentito interventi in qualsiasi senso più qualificati.

La realtà è che Obama, diversamente dalle leggende messe in circolazione dalla critica dozzinale (“socialista”, “islamico”…), è un presidente pragmatico che ha vinto le elezioni conquistando l’area centrale dell’elettorato: un’area che tuttavia, per carattere americano, è insofferente a ogni politica riformatrice e interventista. Ma la cosiddetta “Anatra zoppa”, ovvero la diversa colorazione politica di presidenza e Congresso (o di un suo ramo), non è affatto in America un’anomalia nel sistema istituzionale, anzi direi che si tratta di un equilibrio previsto dai padri costituenti che temevano qualsiasi accentramento del potere.

È azzardato pronunziarsi oggi sulle presidenziali del 2012 perché le attuali tendenze elettorali non sono proiettabili in maniera lineare. Infatti il voto di mid-term è governato da logiche locali e statali, mentre il voto presidenziale è segnato dalla figura dell’unico candidato nazionale. Per concludere vorrei proporre, con la prudenza che si addice allo storico quando parla del futuro, un paio di riflessioni generali. La prima riguarda il futuro dei Tea Parties: se davvero un esponente del movimento conquisterà la candidatura presidenziale, ciò significherà che il Grand Old Party spostato a destra, difficilmente potrà sfondare nell’elettorato centrista, indispensabile per la vittoria. La seconda è che per Obama si sono schierati nel 2008, e potranno ancora schierarsi nel 2012, gran parte dei non-white (blacks, latinos…), già oggi superiori al 33% della popolazione e in costante espansione demografica. Anche nella coalizione roosveltiana, che vinse la presidenza per 4 termini (1932-1944), la componente decisiva fu quella ethnic anche allora partecipante in maniera massiccia al voto.

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