Il 31 gennaio 2019, l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP), il parlamento tunisino, ha eletto Nabil Baffoun come nuovo presidente dell’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni (ISIE), l’organo governativo incaricato di organizzare, supervisionare e gestire le elezioni e i referendum nel paese. Con l’elezione del suo presidente e il rinnovo di un terzo dei suoi membri, entrambi avvenuti dopo mesi di trattative, l’ISIE è tornato ad essere operativo in vista delle elezioni legislative e presidenziali che si svolgeranno rispettivamente a ottobre e a novembre/dicembre 2019.
Nel frattempo, i principali attori del panorama politico tunisino hanno dato il via ad una serie di manovre per tentare di catturare il consenso di un elettorato sempre più disilluso nei confronti della classe politica del paese.
Il 2019 dovrebbe essere l’anno in cui la grosse koalition tra Nidaa Tounes e Ennahda, i due principali partiti politici tunisini, il primo di ispirazione laica, il secondo islamico moderata, verrà definitivamente archiviata, ridando al paese la possibilità di un’alternanza politica per troppo tempo assente.
La novità politica che potrebbe permettere lo sviluppo di questo scenario è Tahya Tounes (“Viva la Tunisia”), il partito fondato lo scorso 27 gennaio per sostenere il primo ministro Youssef Chahed nella sua più che probabile corsa alle presidenziali. Il nuovo partito nasce come evoluzione del gruppo parlamentare “Coalition nationale”, secondo blocco per numero di parlamentari all’ARP, composto principalmente dai transfughi di Nidaa Tounes che, a seguito della rottura tra Chahed e il loro partito avvenuta nell’estate 2018, hanno preferito seguire il primo ministro. Tahya Tounes si prefigura quindi come un partito fortemente strutturato attorno alla figura del suo leader e con un obiettivo principale: continuare l’esperienza di governo cominciata con la nomina di Chahed a primo ministro nell’agosto del 2016. Proprio per questo motivo, dalle fila di Tahya Tounes arrivano già segnali di apertura nei confronti di Ennahda, volti a proseguire l’attuale alleanza anche dopo la prossima tornata elettorale. Non è un caso che la deputata di Tahya Tounes Zohra Driss abbia dichiarato che la competizione tra il suo partito ed Ennahda avverrà principalmente su tematiche sociali, e che al contempo abbia sottolineato come sui principali temi economici esista di fatto un allineamento tra i due partiti.
Anche per Ennahda, dopo la rottura con Nidaa Tounes, l’unica via per poter tornare a governare il paese sembra essere un’alleanza post voto con il partito di Chahed. Vari esponenti di punta del partito, tra cui il presidente del blocco parlamentare di Ennahda, Noureddine Bhiri, hanno già affermato che esiste la possibilità di una nuova alleanza tra il proprio partito e Tahya Tounes.
Internamente, Ennahda sta attraversando un momento delicato. Rached Ghannouchi, presidente del partito, appare come una figura sempre più divisiva. Se da un lato una sua candidatura alle elezioni presidenziali appare progressivamente più probabile, dall’altro lato le critiche mossegli dai suoi compagni di partito per la sua scelta di sostenere Chahed si sono fatte più intense. Appare sempre più evidente, infatti, che la scelta di Ennahda di sostenere l’attuale governo nel suo tentativo di implementare una serie di riforme economiche promosse dal Fondo Monetario Internazionale abbia favorito la creazione di un fronte anti-governativo ampio, che va dall’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), il potente sindacato dei lavoratori pubblici, ai rappresentanti della sinistra tunisina, fino a Nidaa Tounes. In questo contesto di lotta interna, la candidatura di Ghannouchi a Presidente della Repubblica potrebbe essere per il leader di Ennahda il coronamento della propria carriera politica, ed al tempo stesso favorire un rinnovamento all’interno del suo partito.
La corsa alla presidenza di Ghannouchi potrebbe però essere seriamente ostacolata dalla scelta di Hamadi Jebali, ex segretario generale di Ennahda e primo ministro dal dicembre 2011 al marzo 2013, di candidarsi come indipendente. Secondo uno studio del 2018, Jebali potrebbe infatti attrarre il voto di numerosi elettori di Ennahda delusi dai compromessi fatti dal partito in questi anni di governo. Jemali stesso sembra voler insistere su questo punto, avendo recentemente dichiarato che l’alleanza tra Ennahda e Nidaa Tounes non ha servito gli interessi del paese.
Dal canto suo, anche Nidaa Tounes sta attraversando una fase tutt’altro che rosea. Il partito è piegato da aspre lotte intestine e le diverse scissioni che lo hanno colpito hanno dimezzato il suo numero di deputati in parlamento, declassando il suo gruppo parlamentare da primo a terzo. All’interno di questa crisi si colloca anche la battuta d’arresto subita alle elezioni municipali del maggio 2018, nelle quali il partito ha ricevuto meno voti di Ennahda.
In seguito alla rottura con il primo ministro Chahed, il fondatore di Nidaa Tounes e presidente della Repubblica Béji Caid Essebsi ha cercato di uscire dall’angolo in cui l’asse Ennahda – Chahed l’aveva momentaneamente relegato, inasprendo le sue critiche nei confronti del partito islamico moderato, e arrivando perfino ad invocare un’inchiesta sulla presunta esistenza di un’organizzazione segreta controllata da Ennahda e dedita ad attività illecite. Le critiche e le accuse nei confronti di Ennahda sono andate di pari passo con una progressiva adozione di una retorica populista da parte di Essebsi, il quale si è inoltre progressivamente riavvicinato all’asse anti islamista composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi e Egitto.
In questa fase di crisi e disorientamento, Nidaa Tounes, incapace di rinnovarsi internamente, sembra voler puntare per la corsa alla presidenza ancora una volta su Essebsi, ormai 92enne, e sulla cooptazione di candidati indipendenti per le elezioni legislative. In un contesto di forte disillusione generalizzata nei confronti della classe politica tunisina, candidati con un background da indipendenti potrebbero infatti essere un’importante fonte di voti per i partiti. Già alle elezioni municipali dello scorso maggio, caratterizzate da una bassa affluenza, i candidati indipendenti raccolsero infatti più voti sia di Ennahda che Nidaa Tounes.
Al di fuori della sfera puramente politica, il grande convitato di pietra della prossima tornata elettorale sarà lo UGTT, l’influente sindacato dei lavoratori pubblici. Complice anche il successo dell’ultimo sciopero generale dello scorso 17 gennaio, che ha visto la partecipazione di oltre 670.000 lavoratori pubblici, lo UGTT ha adottato una retorica sempre più aggressiva nei confronti del primo ministro Chahed e del suo governo. In particolare, emerge il tentativo del sindacato, ed in primis del suo segretario generale, Noureddine Taboubi, di presentare il governo tunisino come una marionetta nelle mani del Fondo Monetario Internazionale, con il quale Chahed si è impegnato ad adottare un pacchetto di riforme strutturali. Lo UGTT sembra essere intenzionato a presentarsi come difensore degli interessi non solo dei lavoratori pubblici, ma dell’intero popolo tunisino contro le ingerenze straniere nelle scelte economiche del paese.
Sebbene il sindacato abbia smentito ufficialmente di voler presentare candidati propri alle prossime elezioni, il suo ruolo in questa tornata elettorale potrebbe essere comunque più accentuato che in passato. Il suo segretario generale aggiunto, Samir Cheffai, ha infatti affermato che lo UGTT passerà da una “neutralità negativa a una neutralità positiva”, scelta che gli permetterà di appoggiare direttamente liste o candidati i cui programmi siano in linea con le battaglie dello UGTT.
Al di là dei posizionamenti e delle strategie delle diverse forze politiche, ad influire sul risultato delle prossime elezioni legislative potrebbe anche essere l’approvazione di un disegno di legge in discussione, promosso dal governo in carica, che propone di innalzare la soglia di sbarramento per i partiti dal 3% al 5%. Questa legge, fortemente criticata da una larga fetta della società civile e osteggiata anche dall’ISIE, potrebbe favorire il rafforzamento nell’ARP di pochi o pochissimi partiti maggiori, a scapito di una moltitudine di partiti di piccole dimensioni. Ad esempio, alle elezioni legislative del 2014, per le quali non era stata prevista alcuna soglia minima di sbarramento, solo due partiti – Ennahda e Nidaa Tounes – presero più del 5% dei voti complessivi.
In un quadro politico complesso e in continuo mutamento, un elemento pare rimanere invece stabile: la disaffezione dei cittadini verso la vita politica del paese, avvertita sempre più come un mezzo inadeguato per risolvere le problematiche socio-economiche della Tunisia. La percepita incapacità della classe politica tunisina di veicolare il malcontento della popolazione e di tradurlo in istanze politiche sembrerebbe essere anche una delle principali cause alla base dell’aumento esponenziale del numero di proteste e disordini che hanno colpito il paese negli ultimi mesi.
In un contesto socioeconomico simile, non stupiscono i risultati di due sondaggi pubblicati lo scorso gennaio, secondo i quali il 66% di tutti gli elettori tunisini e il 75% dei giovani e delle donne non prevede di votare alle elezioni legislative di ottobre.