Nel panorama caotico che ha contraddistinto nell’ultimo triennio il Mediterraneo e il Medio Oriente, l’Algeria ha rappresentato una sorta di eccezione. Una condizione di stabilità riconducibile in parte al ricordo della tragedia della guerra civile algerina degli anni Novanta – che provocò oltre 200mila vittime – e in parte alle politiche sussidiarie adottate dal governo per scoraggiare il malcontento popolare interno. A ciò bisogna aggiungere, soprattutto, l’abbondanza di idrocarburi che ha permesso al paese di divenire un partner privilegiato per l’Occidente e per l’Italia (che rappresenta il primo mercato di esportazione del gas algerino). Gli idrocarburi, infatti, hanno sempre occupato un ruolo centrale nella pianificazione economica e redistributiva dell’Algeria, tanto da influenzare e orientare per anni le politiche nazionali del governo. Ciononostante le difficoltà odierne emerse a causa della compresenza di fattori endogeni (flessione produttiva, volatilità dei prezzi degli idrocarburi, mancate riforme e malessere sociale) ed esogeni (terrorismo e calo degli investimenti esteri) rischiano in assenza di risposte concrete delle autorità centrali di determinare nuovi indirizzi di politica economica.
Secondo i dati dell’US Energy Information Administration (Eia), il 60% delle entrate statali, più di un terzo del Pil e circa il 97% delle esportazioni proviene dal settore energetico. Una ricchezza tale che tuttavia ha bisogno di essere alimentata con capitali (nazionali e stranieri) e con riforme utili a creare occupazione e a rendere il paese maggiormente competitivo rispetto ai leader regionali come Libia o Nigeria.
A fronte di investimenti che procedono al rilento e di riserve che rischiano di esaurirsi nel breve periodo – secondo le previsioni del governo entro il 2025 – Algeri sta promuovendo una nuova strategia energetica meno vincolata alle fonti convenzionali fossili e più attenta alle energie pulite e alle fonti non convenzionali. Una strategia dettata sia dalla necessità di ammodernamento del paese, sia da fattori socio-demografici come l’aumento della popolazione e la contenuta riduzione delle disuguaglianze. In conseguenza di ciò e della mancata redistribuzione dei proventi derivanti dalla vendita di petrolio e di gas, nel paese si è diffuso un certo malcontento/dissenso popolare nei confronti delle autorità centrali.
È in questo quadro di difficoltà che l’esecutivo Sellal ha recentemente promosso un nuovo piano economico quinquennale (2015-19). Il piano, articolato e ambizioso, prevede un tasso di crescita annuale del 7% del Pil e si basa su misure socio-economiche in favore del settore industriale, agricolo, turistico ed energetico. Con riferimento a quest’ultimo, il premier Sellal si è detto interessato a investire risorse e ad attrarre investimenti esteri nelle fonti energetiche pulite (in particolar modo solare ed eolico) e nello sviluppo dei derivati di petrolio e gas non convenzionali (shale oil/gas). Nelle intenzioni del governo il piano dovrebbe in parte inaugurare un nuovo corso nella strategia nazionale post-petrolio.
Come risposta alle nuove linee guida in materia energetica, l’esecutivo ha deciso di seguire con decisione la piena realizzazione del Programma nazionale di sviluppo delle energie rinnovabili (Pner). Il programma di carattere pluriennale é articolato in tre fasi: la prima (2011-13) dedicata alla sperimentazione di tecnologie solari ed eoliche; la seconda (2014-15) che coinvolgerà università ed enti di ricerca con lo scopo di adattare queste tecnologie alle condizioni climatiche locali; la terza e ultima fase (2016-20) atta a porre le basi per sviluppare un'industria locale delle energie rinnovabili con importanti ricadute sul piano occupazionale. Secondo il ministro dell’Energia e delle Miniere Youcef Yousfi, tale programma di sviluppo potrà favorire un’occupazione calcolabile tra i 100-200mila nuovi posti di lavoro e sarà capace di coprire, entro il 2030, il 40% del proprio fabbisogno elettrico con fonti pulite (il 37% dal solare e il restante 3% dall’eolico) e oltre la metà sarà destinata alle esportazioni. Nelle intenzioni del governo algerino il paese diventerebbe così anche il principale fornitore di energia pulita per i mercati europei, verso i quali esportano il 25% di gas naturale e il 39% di petrolio. Gli stessi programmi governativi saranno sviluppati anche grazie agli investimenti della società elettrica nazionale Sonelgaz che ha annunciato nuovi piani da 100 miliardi di dollari nella costruzione di centrali solari ed eoliche nell’entroterra desertico e lungo la costa algerina. Progetti, questi, tanto più importanti che si rendono necessari a seguito anche del ridimensionamento dei programmi Desertec e Med Solar Plan, due joint-venture euro-mediterranee che si ponevano l’obiettivo di creare reti d’interconnessione energetica da fonti rinnovabili.
Infine, sempre per limitare l’eccessiva dipendenza dagli idrocarburi convenzionali, la compagnia energetica statale Sonatrach ha promosso investimenti per circa 102 miliardi di dollari entro il 2018 – di cui il 60% sarà utilizzato principalmente per la ricerca e per la produzione d’idrocarburi – nelle esplorazioni on-shore e off-shore del gas di scisto. In base alle stime del governo e dell’Eia, vi sarebbero 707mila miliardi di piedi cubi (all’incirca 19.800 miliardi di m3) di shale gas, di cui più della metà tecnicamente recuperabili attraverso perforazioni. Una ricchezza potenziale enorme che fa dell’Algeria il terzo paese al mondo per numero di riserve dopo Cina e Argentina. Sonatrach conta inoltre di sviluppare attraverso il fracking (la fatturazione idraulica) un piano di perforazioni di undici pozzi situati nell’Algeria centro-meridionale (principalmente nei bacini di Mouydir, Ahnet, Berkine-Ghadames, Timimoun, Reggane e Tindouf) entro il periodo 2021-2027. Si spiega in questi termini l’avvio della perforazione dei primi quattro pozzi di gas non convenzionale già nel 2014 nel bacino di Ahnet et Illizi. Una risorsa che se debitamente sfruttata potrà avere un impatto positivo sull’economia. Almeno questo è quello che si evince dal report della Banca africana di sviluppo. Dagli studi dell’istituto economico-finanziario africano si desume che lo sviluppo e lo sfruttamento dello shale gas potrebbero soddisfare la domanda interna di energia, portare a un generale calo dei prezzi del gas, garantire un più ampio uso di gas naturale e ridurre le emissioni di gas serra.
Nonostante gli orizzonti energetici promettenti, permangono ancora numerose incognite che rallentano il pieno sviluppo economico ed energetico del rentier state. Se da un lato, i problemi più prettamente politici legati alla cagionevole salute del presidente Abdelaziz Bouteflika e alle minacce terroristiche (si ricordi l’attentato all’impianto a gas di Tigantourine, vicino a In Amenas, nel gennaio 2013, nel quale persero la vita circa una quarantina di persone) hanno frenato il passo del cambiamento, dall’altro la corruzione pervasiva (si vedano i casi Sonatrach, Saipem e Orascom e gli arresti ai danni dell’ex ministro dell’Energia Chakib Khelil), la bassa competitività, l’assenza di trasparenza nella governance e nella gestione finanziaria e, infine, la mancanza di legislazioni più aperte e meno vincolanti scoraggiano gli investimenti delle compagnie internazionali.
Per rispondere a queste esigenze non basta soltanto una modifica o una nuova legge sugli idrocarburi, bensì politiche ad hoc in grado di promuovere una più oculata gestione delle ricchezze del paese, un migliore funzionamento della macchina amministrativa ed economica, e una migliore capacità di intercettare gli interessi degli investitori stranieri. È in conformità a ciò che le principali corporations del settore come Eni, Shell, Total, Repsol, Anadarko e BP potranno decidere come e quanto investire in un paese-roccaforte della stabilità in Africa settentrionale e nel Sahel.
Ammodernamento, competitività e trasparenza dovranno essere dunque le parole chiave per le sfide prossime e future dell’Algeria. Senza il raggiungimento di questi obiettivi il paese avrà sprecato l’ennesima occasione per porsi come un attore strategico di rilevanza internazionale.