Uno degli aspetti più interessanti della primavera araba è stato l’emergere sul piano regionale delle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg). Con l’obiettivo di mantenere la sicurezza e la stabilità dell’area del Mediterraneo allargato o grande Medio Oriente, esse hanno assunto un ruolo politico più assertivo che in passato. Sulla scia degli eventi in Nord Africa l’effetto contagio è giunto anche nella penisola arabica. Qui però, a eccezione del Bahrein e dello Yemen, le proteste sono state limitate e non si sono trasformate in rivolte di massa. Le monarchie del Golfo sono riuscite a contenere il dissenso interno grazie al consistente aumento della spesa pubblica finanziata dalla rendita petrolifera. L’Arabia Saudita, che all’interno del Ccg detiene la leadership politica, economica e religiosa, ha ad esempio stanziato due pacchetti economici del valore complessivo di circa 130 miliardi di dollari.
A livello regionale, la risposta delle monarchie del Golfo alla primavera araba non è stata univoca e anche al loro interno non vi è sempre stata uniformità di vedute. Se in Tunisia ed Egitto, dopo lo shock iniziale per la caduta di alleati di lunga data come Ben Ali e Mubarak, hanno appoggiato i governi di transizione, in Libia non hanno esitato a condannare il regime di Gheddafi come "illegittimo", ad appoggiare e contribuire (Qatar ed Emirati Arabi Uniti, Eau, hanno inviato degli aerei) allano fly zone e a sostenere, anche finanziariamente, il Consiglio nazionale di transizione. Al contra-rio, si sono mostrate riottose nei confronti di possibili cambiamenti nelle altre monarchie dell’area nel timore che eventuali aperture politiche possano incoraggiare anche al loro interno istanze di riforma.
In questo contesto si inserisce la proposta del Ccg, su impulso saudita, di estendere la membership dell’organizzazione alla Giordania – che aveva presentato domanda di adesione nel 1996 – e al Marocco, che invece non ha mai fatto richiesta formale. La decisione è stata vista come un tentativo dei sauditi e dei loro alleati – in particolare Eau e Bahrein, mentre Kuwait, Oman e Qatar hanno espresso delle riserve – di contenere, da un lato, l’ascesa regionale dell’Iran e, dall’altro, di arginare il graduale emergere di istanze riformiste e di nuove forze, sia liberali sia religiose, che potrebbero mettere in pericolo la stabilità delle monarchie del Golfo.
La decisione del Ccg ha suscitato reazioni diverse nei due paesi interessati. In generale, in Giordania l’iniziativa è stata vista come un’opportunità per dare soluzione ai profondi problemi economici (ampio deficit di bilancio, disoccupazione, povertà diffusa, crescita bassa, mancanza di risorse energetiche, ecc.). Tuttavia, le forze riformiste e liberali temono che una maggiore inclusione del regno hascemita nella sfera di influenza saudita possa precludere al paese ogni possibilità di cambiamento. La stessa preoccupazione è condivisa da molti in Marocco, dove invece un timido processo di riforma è stato avviato da re Mohammed VI.
Al di là delle resistenze interne, non sono ancora chiari né i tempi del processo di adesione né lo status – membri a pieno titolo o solo parziali – che gli verrebbe attribuito all’interno del Ccg. All’inizio di luglio sono partiti dei negoziati per valutare i requisiti di adesione della Giordania che, grazie alla prossimità geografica all’Arabia Saudita, alle dimensioni della sua popolazione e della sua economia è avvantaggiata rispetto al Marocco. Quest’ultimo, infatti, nonostante consolidate relazioni con i paesi del Golfo, è più vicino all’Europa non solo geograficamente ma anche economicamente. Nel 1987 il Marocco aveva addirittura presentato, tuttavia senza successo, domanda di adesione all’allora Comunità europea.
Sebbene l’iniziativa del Ccg sembri avere principalmente un obiettivo politico, le implicazioni dell’allargamento sarebbero ancora più significative sul piano economico. Dalla membership Marocco e Tunisia trarrebbero importanti vantaggi sia in termini di incremento degli investimenti diretti esteri e degli scambi commerciali sia di accesso alle risorse energetiche (sono entrambi importatori netti). Tuttavia, il processo di adesione potrebbe essere lungo e difficoltoso anche a causa delle profonde differenze nella struttura economica, di Pil e Pil pro capite, di deficit di bilancio e di popolazione nel caso del Marocco.
Nel medio-lungo periodo uno degli sviluppi della primavera araba potrebbe essere il consolidamento del ruolo regionale del Ccg nel Mediterraneo allargato. Resta tuttavia da vedere se l’interesse al mantenimento dello status quo trasformerà il "club delle monarchie sunnite" – eventualmente allargato alla Giordania, meno verosimilmente al Marocco – in un "blocco reazionario" avverso a ogni tipo di apertura politica.