Verso la fine di novembre, alla vigilia di una visita in Germania, Vladimir Putin ha scritto un articolo per la «Sueddeutsche Zeitung» proponendo all’Europa di lanciare insieme alla Russia «una nuova ondata di industrializzazione»: alleanze strategiche dal settore dell’auto al nucleare, un’infinita area di libero scambio tra Lisbona e Vladivostok. Una visione allettante, a voler pensare in grande, se le economie europee non stessero attraversando uno dei loro momenti più drammatici, e se non ci si dovesse fermare a riflettere su un rapporto pubblicato in novembre da Bloomberg: soltanto dieci investitori stranieri su cento sarebbero pronti a mettere i loro soldi in Russia, spaventati dall’ormai noto cahier de doléances che consiglia di tenersi alla larga, preferendo gli altri grandi emergenti, Brasile, Cina e India. Si punta il dito sulla corruzione che ogni anno in Russia si mangia in tangenti mille miliardi di rubli, 24 miliardi di euro sottratti al Pil, e che si annida nel groviglio di regolamenti e ispezioni che soffocano il ciclo di vita di un’attività imprenditoriale. Tra gli indicatori esaminati dalla Banca Mondiale nel suo Doing Business 2011, basta forse ricordarne uno: il numero dei permessi necessari per avviare una qualunque costruzione vede la Russia al 182° posto nella lista, su 183 paesi!
Questo non sarebbe un quadro onesto se non tenesse conto anche degli sforzi compiuti per cambiare le cose: per ridurre le interferenze dello stato e semplificare la vita degli imprenditori. La promessa di rafforzare lo stato di diritto contro illegalità, inefficienza, burocrazia e corruzione è divenuta la colonna sonora della presidenza Medvedev, iniziata nel maggio 2008. I cambiamenti sono troppo timidi e lenti, è opinione comune, ma il presidente ripete sempre più spesso che per portarli a termine ha bisogno di tempo. Ed è questa, al di sopra di ogni altra cosa, la grande incertezza che per diversi mesi ancora terrà in sospeso ogni giudizio sul futuro della Russia e della sua economia: la scelta tra Putin e Dmitrij Medvedev come prossimo presidente. Il progetto di Skolkovo, capitale dell’innovazione tecnologica che Medvedev ha posto al centro della propria agenda invitando imprenditori russi e stranieri a collaborare? «Non prima di sapere con certezza che dopo il 2012 ci sarà ancora lui al Cremlino», chiarisce un businessman occidentale. La scommessa è prematura.
Sarà un bivio cruciale, anche se forse non all’apparenza. Il tandem Putin-Medvedev sembra lavorare in armonia, nel turbinio di voci e opinioni di chi scruta i due zar alla ricerca di ogni minimo segnale di discordia. Ma l’obiettivo di entrambi è certamente lo stesso: rinsaldare la stabilità e la forza dello stato russo e della sua economia. «Siamo una squadra, anche se primo ministro e presidente usano parole diverse», diceva tempo fa un alto funzionario del governo Putin. In realtà, ciò che potrà fare la differenza è l’interpretazione che ciascuno dei due darà all’idea di “Stato forte” e dei suoi interessi. “Stabilità” e “ordine” sono i termini preferiti da Putin, ma è su Medvedev che si concentrano le speranze di chi vorrebbe una Russia più aperta, affidabile, rispettosa delle leggi. E più moderna. Se Putin mettesse da parte questa componente dell’ingranaggio – l’uomo da lui stesso chiamato a succedergli quattro anni fa – rinnegherebbe la scelta fatta. Sarebbe difficile sopprimere l’impressione di un giudizio negativo sulle priorità dell’attuale presidente.
Nell’attesa, l’economia russa vive una fase che si potrebbe definire un “faccia-faccia” tra grandi ambizioni e realtà. La Russia del grande sogno industriale di Putin sulla «Sueddeutsche Zeitung», e la diffidenza degli investitori. Il progetto di modernizzazione - un’impresa estremamente costosa – e un deficit al 4,6% gonfiato dagli aiuti miliardari andati all’industria per permetterle di affrontare la crisi e dalle spese sociali: il bilancio andrebbe in pari nel 2011, dice il ministro delle Finanze Aleksej Kudrin, solo se il petrolio salisse da 70-80 a 109 dollari il barile. E poi la nuova ondata di privatizzazioni, decisa però più per riequilibrare i conti che per ridimensionare la presenza dello stato nell’industria e nelle banche. L’offensiva delle aziende russe più innovative sui mercati finanziari esteri, a partire dall’information technology, e lo stacco tra le quotazioni delle società russe e quelle degli altri paesi emergenti. Gli arditi piani per lo sviluppo energetico dell’Artico russo, i giacimenti del futuro, e il calo della domanda europea. La Silicon Valley di Medvedev a Skolkovo e la realtà delle monogorod, le tante città russe che vivono appese al destino di un’unica industria. Il futuro e il passato. La ripresa di domanda interna, crediti bancari e investimenti – la crescita del Pil è stimata per quest’anno al 4% dopo il crollo del 7,9% del 2009 – temperata dalla cautela dei capitali esteri e dall’inflazione. È stata la siccità dell’estate scorsa a riaccenderla, i prezzi dei generi alimentari gonfiati dalla perdita di un terzo del raccolto di grano. Si calcola un costo, per il Pil, pari allo 0,8%.
Si potrebbero considerare quegli incendi di agosto come un monito: intorno a Mosca: le foreste e i villaggi bruciavano, ma il solo modo per raggiungere una delle zone più colpite, a due ore d’auto dalla capitale, era attraversare il fiume Oka con un traghetto. Lento e arrugginito, icona di infrastrutture lasciate lì a deteriorarsi per decenni. Ci vorrebbe un ponte, su quel fiume: potrebbe accorciare le distanze tra grandi ambizioni e il richiamo della realtà.