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Commentary

Legge marziale in Thailandia: colpo di Stato o transizione guidata?

20 maggio 2014

Alle tre di questa notte, in Thailandia è stata istituita la legge marziale. «Non è un colpo di stato» afferma il generale Prayuth Chan-ocha, comandante in capo dell’esercito, ma le truppe in strada e la censura delle televisioni “di parte” rievocano i frequenti colpi di stato che hanno caratterizzato la terra dei Thai. Il capo di stato maggiore e la casa regnante, infatti, rappresentano componenti sociali fortemente avverse alla politica “popolare” degli Shinawatra, la famiglia che ha guidato tre governi negli ultimi tredici anni, l’ultimo dei quali capitanato da Yingluck Shinawatra, prima premier donna nella storia del paese, contestata dall’opposizione per una politica di scambio dei voti. Il 7 maggio la Corte costituzionale aveva giudicato Yingluck colpevole di avere trasferito il capo della sicurezza nazionale per interessi personali, ma il successivo governo provvisorio, sempre costituito da politici del partito della Shinawatra (il Thai Rak Thai) che aveva vinto le elezioni, non aveva placato le forze politiche anti-governative. Meno di una settimana fa, di fronte all’aumentare degli scontri e del numero dei morti, Prayuth aveva trovato la giusta legittimità per avvertire gli schieramenti in campo che l’esercito sarebbe intervenuto se i disordini fossero continuati.

La scelta d’imporre la legge marziale non può essere avvenuta senza il consenso del re, ma il governo ha dichiarato di essere stato estromesso dalla decisione. Il premier ad interim, Niwatthumrong Boonsongpaisan, si è, infatti, espresso a favore del ritorno della pace, obiettivo ultimo affermato nel discorso di stanotte di Prayuth, ma ha già definito le modalità degli ultimi avvenimenti un “mezzo colpo di Stato” e si è quindi rifiutato di fare un passo indietro secondo le richieste degli avversari politici del Pdrc (People’s Democratic Reform Committee). Il leader di questo movimento, Suthep Thaugsuban, ha già parlato di occupare le istituzioni lunedì ed è stato fotografato con le truppe che hanno ripreso controllo degli edifici governativi, prima occupati dai manifestanti anti-governativi. Gli Stati Uniti, pur sostenendo la necessità di un corretto svolgimento della vita democratica, hanno affermato di non voler intervenire a patto che l’azione dell’esercito sia temporanea e finalizzata a condurre il paese verso nuove elezioni. Gli Usa, infatti, sperano che questa fase possa modificare le intenzioni di voto che ora danno in testa gli Shinawatra, da sempre osteggiati da Washington.

Nel novembre 2013, l’attuale crisi politica thailandese era cominciata trovando un pretesto nella proposta di amnistia del governo che avrebbe permesso il rientro del fratello di Yingluck, Thaksin Shinawatra. Quest’ultimo era stato condannato per corruzione e abuso di potere durante il colpo di Stato del 2006. Le proteste che negli ultimi mesi hanno colpito il governo della sorella non hanno ricevuto sostegno esplicito da parte dell’esercito, ma hanno dimostrato una capacità di organizzazione tale da “paralizzare Bangkok”, come esortava l’hashtag lanciato durante le manifestazioni del 13 gennaio 2014. L’esecutivo aveva cercato nuova legittimazione politica mettendosi alla prova di nuove elezioni, ma Suthep Thaugsuban si dimostrò contrario per il rischio di compravendita dei voti, preferendo invece un “consiglio popolare” nominato dal re, secondo quanto prescritto dalla sezione 7 della Costituzione per le emergenze straordinarie.

Mentre altri paesi asiatici hanno già bloccato i viaggi verso la Thailandia, la situazione sembra abbastanza calma a Bangkok. Il dato assodato è che i militari si propongono come mediatori della vita civile e politica per difendere “l’ordine e la pace”. Gli avvenimenti odierni confermano anche l’inarrestabilità della crisi, che sembra ancora una volta ripercorrere le linee guida degli ultimi anni. Le nuove elezioni, che prima o poi dovranno tenersi per pressioni internazionali e per evitare lo spettro della giunta militare, dipingono un orizzonte incerto per il paese dato che sembra probabile la ripetizione del ciclo visto nell’ultimo decennio con una rinnovata vittoria delle forze populiste legate agli Shinawatra. Il sostegno diffuso del Thai Rak Thai, d’altro canto, non corrisponde a un potere tale da consentire un’azione di governo in grado di dirigere con tranquillità, attuare riforme e risollevare un’economia ormai in caduta libera. Nel caso in cui Suthep riuscisse a imporre il proprio partito, la situazione si capovolgerebbe, ma vedrebbe comunque un continuo stallo dovuto all’azione endemica delle “camicie rosse” (Fronte unito per la democrazia contro la dittatura). Anche se non tutti i sostenitori del governo sono completamente soddisfatti dagli Shinawatra, la polarizzazione degli scontri allontana sempre più la possibilità di un’intesa trasversale. Le carte sono tutte in mano al re e all’esercito che devono fare i conti con un modello statuale incapace di risollevarsi dalla crisi.

Lorenzo M. Capisani, ISPI Research Trainee

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