Tra i paesi mediorientali maggiormente colpiti dal Covid-19, l’Egitto si trova oggi a fare i conti con le ricadute politiche e socio-economiche della pandemia che rischiano di aggravare un già difficile quadro generale. Sul fronte esterno, invece, le priorità del Cairo non hanno risentito particolarmente degli effetti della pandemia, ma hanno visto un rafforzamento dell’azione egiziana nelle tre aree principali di intervento strategico: Mediterraneo orientale, Africa orientale e Medio Oriente.
Quadro interno
Per arginare gli effetti del contagio, a marzo 2020 il governo aveva annunciato una serie di misure di contenimento, stanziando un fondo da 6,4 miliardi di dollari e introducendo drastiche misure restrittive, come la chiusura dei confini, la sospensione dei voli internazionali, l’autoisolamento della popolazione, la chiusura delle moschee e di tutti i luoghi di assembramento, la sospensione dei permessi di lavoro e di tutte le attività non ritenute di primaria importanza e il coprifuoco notturno. Insieme a tali iniziative, il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi, con un decreto presidenziale emesso il 28 aprile, aveva deciso di prolungare lo stato di emergenza nazionale di altri tre mesi, mantenendo quello che ormai è un rinnovo che si replica sistematicamente dagli attentati del 2017 contro le chiese copte di Tanta e Alessandria. Congiuntamente il parlamento approvava alcuni emendamenti alla legge di emergenza fornendo sostanzialmente al presidente nuovi poteri per controllare la diffusione dell’epidemia da Coronavirus[1].
A distanza di mesi, queste ultime iniziative sembrano mostrare un’intenzione molto marcata del governo egiziano nel voler rafforzare il controllo statale sulla società, capitalizzando e strumentalizzando le restrizioni imposte nella fase emergenziale. Una risposta decisamente securitaria alla pandemia che ha visto ridursi ulteriormente gli spazi di dissenso e di libera espressione già notevolmente colpiti dalle pratiche autoritarie messe in atto dal regime. Inoltre, diversi militanti islamisti e attivisti della società civile, insieme a corrispondenti di alcune delle principali testate internazionali (The Guardian e The New York Times)[2], sono stati arrestati con l’accusa di diffondere notizie false circa i numeri del contagio al fine di alimentare la dissidenza contro il regime. Ad essere colpiti dalla scure della repressione, anche i medici rei di aver criticato la gestione, da parte del governo, della pandemia sui social media. I recenti arresti hanno ulteriormente aumentato il numero già elevato (che Human Rights Watch stimava a circa 60.000 nel 2016) di oppositori politici e attivisti che si trovano attualmente nelle sovraffollate prigioni in attesa di giudizio: secondo gli attivisti di Human Rights Watch, esiste il grave rischio che il virus possa diffondersi nelle prigioni egiziane, note per le loro pessime condizioni di salute e igiene, rappresentando un’allarmante minaccia[3].
Il regime militare di al-Sisi, anche grazie agli emendamenti costituzionali passati nell’aprile del 2019, ha progressivamente affidato diverse prerogative all’esercito rendendo ancora più invasivo quel deep state che controlla da tempo la sfera economica del paese. Tuttavia, il processo di securitizzazione della pandemia ha visto solo in un primo momento i militari attivi in prima linea nel contenimento del contagio e nella gestione dell’emergenza. Ciò che sembra essere un trend di non poca rilevanza, secondo quanto affermato da recenti analisi[4], è invece il processo di decentralizzazione gestionale dell’emergenza che ha visto il primo ministro Mostafa Madbouly e i vari dicasteri giocare un ruolo fondamentale all’interno di una task force tecnica chiamata a rispondere all’emergenza nei relativi settori: istruzione, sanità, ambito religioso. Una sorta di tecnicizzazione della risposta emergenziale, sia in campo sanitario sia in quello sociale ed economico, decisa dal presidente al-Sisi che sembra preferire, in primo luogo, dei tecnici civili esperti al coordinamento dell’emergenza delegandone, allo stesso tempo, la responsabilità in caso di difficoltà: la sfida posta in essere dalla pandemia potrebbe, infatti, superare le risorse e le competenze militari, tanto più che all’insorgere della diffusione del contagio molti militari sono stati annoverati tra le prime vittime, rendendo molto chiara non solo agli egiziani, ma anche al governo, la gravità della minaccia. Tali trasformazioni rappresentano un cambio di passo significativo; tuttavia, immaginare che possano perdurare nel tempo è molto difficile: le modifiche costituzionali apportate nel 2019 hanno esteso la durata del mandato presidenziale da quattro a sei anni con possibilità di un doppio mandato - permettendo, dunque, ad al-Sisi di rimanere in carica fino al 2030 - e hanno rafforzato il suo controllo sugli altri rami del governo, oltre ad espandere il ruolo dei militari. La centralizzazione dell’autorità del presidente continuerà a permanere soprattutto alla luce del momento di crescente incertezza socioeconomica che sta vivendo il paese.
Grazie al nuovo prestito annuale di 5,2 miliardi di dollari, ottenuto alla fine di giugno dal Fondo monetario internazionale (Fmi)[5], l’economia egiziana potrebbe iniziare un lungo e difficile percorso di ripresa implementando le misure economiche volte ad aiutare soprattutto gli strati sociali più colpiti dalla recessione provocata dalla pandemia. Secondo le stime più accreditate, il disavanzo di bilancio potrebbe aumentare del 9,8% del Prodotto interno lordo (Pil) nell’anno fiscale 2020/21 (luglio-giugno) per poi tornare a trend di riduzione stimato al 6,9% nel 2023/24[6]. Quanto alla crescita reale del Pil, dopo la contrazione fiscale causata dalla pandemia che ha colpito duramente soprattutto i settori del turismo, una voce fondamentale dell’economia egiziana, si prevede un rimbalzo sia pure con stime molto divergenti. Secondo il Fmi, per l’anno finanziario 2021/2022 la crescita reale del Pil dovrebbe arrivare al 6,4%[7], mentre le stime fornite dall’Economist Intelligence Unit limitano questa ripresa a un ben più modesto 3,2% nel 2022, per raggiungere il 5,5% nel 2024[8]. Il disavanzo delle partite correnti aumenterà nel 2020, poiché le esportazioni di beni e servizi sono state duramente colpite dall’emergenza, ma si ridurrà con l’aumento dei proventi delle esportazioni di gas e la ripresa del turismo nel 2022-24. Le stime più realistiche riguardo i tassi di occupazione prevedono, dopo l’aumento della disoccupazione nell’anno in corso dovuto al licenziamento di un gran numero di addetti al settore del turismo, una lenta ripresa. Fondamentale per l’aumento della popolazione occupata saranno sia l’andamento economico globale sia la normalizzazione dei viaggi che dovrebbe riportare il turismo internazionale in Egitto. Lo sviluppo delle risorse di idrocarburi, con particolare riferimento ai giacimenti di Zohr, e l’attuazione dei vari accordi internazionali per la liquefazione e il commercio, dopo lo stop di marzo agli impianti di Idku e Damietta, dovrebbero rafforzare la ripresa dell’economia egiziana sia pure in misura progressiva e graduale nel tempo[9].
Tali non rosee condizioni finanziarie potrebbero porre rischi crescenti per la stabilità politica in un momento in cui il governo è già impegnato a sopprimere le voci critiche riguardo alla gestione e alla trasparenza dei dati forniti sulla pandemia, alle quali si potrebbero aggiungere disordini sociali innescati proprio dalle difficoltà economiche. Sul fronte della sicurezza interna, la situazione sembra abbastanza sotto controllo, per quanto non si possano escludere possibili attacchi di matrice jihadista soprattutto nella zona del Sinai dove l’opposizione armata rimane più attiva, nonostante l’ingente dispiegamento di forze militari ordinato dal presidente per controllare il territorio.
Il potere nelle mani del presidente al-Sisi potrebbe consolidarsi anche a seguito dei risultati delle elezioni per il Senato tenutesi l’11 e il 12 agosto e, al turno di ballottaggio, a settembre. La Camera alta, che è stata creata grazie agli emendamenti costituzionali approvati lo scorso anno, non ha poteri legislativi effettivi come la Camera dei rappresentanti, ma svolgerà un ruolo consultivo coadiuvando il parlamento. Essa prenderà il posto del Consiglio della Shura, sciolto nel 2014, e si comporrà di 300 membri. Secondo le nuove disposizioni, due terzi dei membri del Senato verranno eletti tramite il sistema di candidature individuali e di liste chiuse, mentre il resto dovrà essere nominato dal presidente egiziano. La prima sessione del Senato si terrà a ottobre, con il suo primo mandato quinquennale che si concluderà nel 2025. Secondo diversi analisti, le elezioni del Senato rappresenterebbero più un mezzo per affermare il potere del presidente piuttosto che un esercizio realmente democratico, non producendo, nei fatti, concreti cambiamenti nella sfera politica egiziana poiché la maggior parte dei candidati rientrerebbe nel cosiddetto “inner circle sisiano”[10].
Durante il primo turno, la maggioranza dei seggi sono stati conquistati da una coalizione filo-governativa guidata dal partito Mostaqbal Watan (“Futuro della patria”), composta da 11 partiti e formata dal National Security Service insieme al General Intelligence Service[11], mentre gli altri partiti, i cui candidati non sono riusciti a ottenere la necessaria maggioranza assoluta, sono stati distribuiti su 14 governatorati e verranno decisi a seguito del ballottaggio di settembre. Oltre alle proteste dei partiti di opposizione che vedono l’ascesa del partito filogovernativo come un possibile ostacolo al compiersi di libere elezioni, l’affluenza alle urne è stata decisamente bassa. Nel primo turno si sono recati alle urne solo 8,95 milioni di elettori su un totale di 62,94 milioni di aventi diritto al voto, segnando un’affluenza totale del 14,23%[12]. Questo dato ha provocato la dura reazione governativa: il 26 agosto l’Autorità Elettorale Nazionale (Nea) egiziana ha annunciato, infatti, che avrebbe deferito ai pubblici ministeri i 54 milioni di persone che non hanno votato alle elezioni del Senato[13]. Nei fatti la legge sul regolamento dell’esercizio dei diritti politici impone una multa non superiore a 500 lire egiziane (circa 31 dollari) agli elettori che non esercitano il loro diritto al voto; tuttavia non vi sono precedenti di commutazione di tale multa in un reato perseguibile penalmente, come la Nea ha minacciato di fare. Considerando improbabile che il governo metta in atto tale iniziativa, si può presumibilmente immaginare che essa sia stata evocata per aumentare l’affluenza alle urne per il voto parlamentare che si terrà il 24 e il 25 ottobre prossimo[14], un voto che potrebbe essere cruciale per mantenere l'apparenza di un massiccio sostegno popolare all'illiberale sistema di potere di al-Sisi.
Relazioni esterne
Le priorità egiziane rimarranno ancora improntate essenzialmente su tre aree: Mediterraneo orientale, Africa orientale e Medio Oriente. Pur essendo contesti molto eterogenei al loro interno e diversi tra loro, rappresentano un unico quadrante geo-strategico nel quale l’Egitto da tempo punta a giocare la sua partita internazionale, pur cercando, al contempo, di conservare buone relazioni con i principali players mediorientali (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Israele) e internazionali (Stati Uniti e Unione europea), nonché di rafforzarne di nuove, in particolare, con Russia, Cina e gli attori asiatici (Giappone, Corea del Sud, India, Indonesia). Non a caso, tra le principali prerogative del governo egiziano, anche per far fronte alle innumerevoli sfide cresciute in parallelo con la crisi pandemica legata al Covid-19, vi è il rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza nazionali e la costruzione di una gamma sempre più ampia di legami internazionali per garantire i suoi interessi strategici, un afflusso di investimenti esteri nel paese e un accesso generale al sostegno finanziario internazionale.
A livello regionale, le sfide che maggiormente coinvolgono l’Egitto riguardano le tensioni crescenti nel Levante e la crisi in Libia. In entrambe le situazioni si registra un forte coinvolgimento della Turchia, determinata ad entrare in rotta di collisione con le aspirazioni internazionali egiziane. In questo senso, l’obiettivo del Cairo consiste nel costruire una fitta rete di relazioni con gli attori euro-mediterranei e mediorientali che mirino a creare un blocco integrato e quanto più omogeneo possibile sul piano di una sicurezza condivisa nel Golfo e nel Mediterraneo orientale nel tentativo, appunto, di frenare la crescente influenza del blocco turco-qatarino. Si devono leggere in questi termini le importanti iniziative egiziane tra Libia e Mar del Levante. Nel caso libico, infatti, l’Egitto è impegnato a impedire eventuali nuove escalation di tensioni lungo la possibile linea di faglia tra Sirte e Jufra, specie dopo il cessate-il-fuoco firmato dalle rispettive fazioni di Tripoli e Tobruk lo scorso 21 agosto[15]. La sospensione delle ostilità e la proposta di smilitarizzazione della città costiera di Sirte e della base di Al-Jufra è anche e soprattutto un atto mirato a impedire azioni unilaterali degli attori coinvolti, come lo stesso Egitto, che in più occasioni ha minacciato un intervento militare in supporto delle milizie dell’Esercito nazionale libico (Lna) dell’alleato Khalifa Haftar, per frenare l’avanzata delle fazioni armate vicine al Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Serraj, supportate dalla Turchia. Benché Il Cairo, dal canto suo, abbia più volte mostrato riserve al riguardo, anche a causa dell’assenza di meccanismi chiari che ostacolino iniziative solitarie da parte del Gna (e di Ankara, in primis), ha infine appoggiato la tregua armata convinto dalla necessità strategica di spostare le proprie attenzioni verso il Mediterraneo orientale. Questa azione comporta l’assicurazione di aver stabilito in Cirenaica una “zona di sicurezza” dalla quale ripartire per rilanciare l’azione diplomatica contro la Turchia e capovolgere repentinamente lo scenario strategico nelle acque “calde” del Levante.
Il Cairo e Ankara mantengono una posizione preminente nella crisi d’area, dettata anche dalle ultime evoluzioni. Infatti, il 6 agosto, Egitto e Grecia hanno firmato un accordo per delimitare le zone economiche esclusive (Zee)[16]. Analogamente all’accordo del novembre 2019 tra Turchia e Gna, l’intesa raggiunta tra Atene e Il Cairo, che è stata ovviamente rinnegata da Ankara, punta a limitare le ambizioni turche nella regione. L’intesa greco-egiziana mira a fornire una piattaforma strategica alternativa rispetto alle rivendicazioni turche nell’area, manifestandosi – nell’ottica degli attori coinvolti – come un tassello importante per il mantenimento della sicurezza e della stabilità del Mediterraneo orientale. Se sulla carta l’obiettivo di fondo dell’intesa è quello di impedire che si aggravino le attuali tensioni regionali, essa in verità potrebbe innescarne di nuove. In particolare, il rischio è che si proceda per accordi bilaterali tra paesi, senza che si arrivi ad una soluzione più ampia che coinvolga direttamente anche gli altri stati rivieraschi, incluso Cipro.
In questo contesto, l’accordo mostra una ferma volontà di Egitto e Grecia nel volersi assumere l’onere di guidare il contenimento turco in una chiave multidimensionale. Una partita su più livelli, nella quale la Libia, l’energia e i confini marittimi sono solo tre pezzi di un più ampio puzzle di interessi, ambizioni e preoccupazioni fortemente intrecciati tra loro tra Nord Africa, Mediterraneo orientale e Vicino Oriente. In sostanza, incoraggiando una duplice azione come attore cardine nell’integrazione energetica sub-regionale e proponendosi come fattore di stabilità e sicurezza trans-regionali, Egitto e Grecia puntano ad accrescere la propria postura di “attore mediterraneo”, cercando di promuovere il fattore energetico come strumento di affermazione geopolitica[17]. Anche in quest’ottica, si spiegano i tentativi egiziani di intensificare i rapporti con Cipro, per discutere del progetto congiunto sul gasdotto volto a trasformare il paese nordafricano in un hub regionale per il commercio energetico[18] – dal cui successo dipenderà la vendita di elettricità ai paesi vicini e verso Europa e Africa –, così come le esercitazioni militari-navali congiunte, avvenute nelle settimane precedenti l’accordo greco-egiziano, con la Francia[19] e con Grecia e Cipro[20]. In questa prospettiva, sarà fondamentale per Il Cairo coordinare una risposta diplomatica equilibrata e coordinata con i partner regionali (Israele ed Emirati Arabi Uniti, in primis) e internazionali (Unione Europea e Stati Uniti), i quali condividono interessi medesimi di sicurezza ed energetici in Libia e nella regione del Mediterraneo orientale.
Non meno vorticoso si sta dimostrando anche il quadrante del Mar Rosso e dell’Africa orientale, ove da alcuni anni a questa parte Il Cairo ha mostrato un rinnovato interesse strategico, non solo nella messa in sicurezza delle rotte commerciali, ma anche in conseguenza della rinata assertività regionale etiopica guidata dal progetto del Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd). Il riempimento del Gerd da parte dell'Etiopia, iniziato a metà luglio, dovrebbe limitare il flusso d’acqua dal Nilo Azzurro all’Egitto. Nonostante i vari round di mediazione regionali e internazionali, le parti coinvolte (principalmente tre, ossia Egitto, Sudan ed Etiopia, benché il bacino nilota interessi ben 11 paesi, compresi quelli già citati) continuano ad accusarsi vicendevolmente mancando le opportunità per un accordo complessivo che affronti, in particolar modo, le preoccupazioni egiziane e sudanesi sulle quote di acque a disposizione dei due paesi. Ad alimentare le inquietudini del Cairo e Khartoum vi sono le conseguenze sociali ed economiche che la diga provocherebbe se entrasse a pieno regime in termini di approvvigionamento idrico, di fabbisogno agricolo e alimentare e di produzione industriale ed energetica dei paesi a valle del Nilo[21]. Pur rimanendo decisamente alto il livello dialettico dello scontro, Egitto, Sudan ed Etiopia hanno solo paventato il confronto militare come extrema ratio nel caso di un’escalation fuori controllo. Ciò nonostante, è interesse di tutte le parti superare lo stallo esistente, impedire possibili strappi definitivi e mantenere, seppur con estrema difficoltà, le redini di un confronto diplomatico serrato. Qualora Addis Abeba dovesse accettare la proposta egiziana e sudanese – supportata anche da Washington – di un modesto rallentamento dei tassi di riempimento della diga, è plausibile che le parti possano definire un accordo di massima rispettato da tutti, ma è altresì improbabile che l’Egitto, anche dinanzi all’assertività etiopica, possa garantire ulteriori concessioni senza ottenere alcuna rassicurazione sui flussi idrici[22]. Anche in virtù di ciò, l’Egitto ha lanciato una vasta campagna diplomatica volta a creare pressioni sull’Etiopia. Un primo risultato in tal senso è stato quello di assicurarsi l’appoggio americano. Dopo aver tagliato 130 milioni di dollari di aiuti destinati allo sviluppo della diga, l’amministrazione Trump ha minacciato l’attivazione di sanzioni economiche all’Etiopia come misura punitiva per il suo atteggiamento di rifiuto nella mediazione sulla controversia del Gerd[23].
Rappresenta, invece, un aspetto significativamente interessante il tentativo egiziano di rinforzare l’asse diplomatico con Iraq e Giordania, anche come forma di bilanciamento alla forza imperante di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sostenuti sempre meno informalmente da Israele, nei principali dossier regionali. Il 23 agosto, in un trilaterale tenuto ad Amman, i leader dei tre paesi si sono incontrati per affrontare le principali questioni regionali (Siria, Libia, Yemen e Mediterraneo orientale) e il ruolo degli attori coinvolti in esse (Turchia, Qatar e Iran), ma anche per discutere delle opportunità di rafforzare i legami bilaterali in ambito diplomatico, economico e di sicurezza[24]. In sostanza, le tre leadership puntano a sviluppare una sorta di quarta sponda interna al Medio Oriente di paesi non allineati ai blocchi esistenti[25], promuovendo un doppio ruolo basato sull’integrazione strategica verso obiettivi condivisi e sulla mediazione e la cooperazione politica e di sicurezza regionale[26].
NOTE:
[1] “Coronavirus: Egypt parliament to discuss bill to give Sisi extensive powers”, Middle East Eye, 6 aprile, 2020.
[2] “Egypt targets Guardian, NYT journalists over coronavirus reports”, Al-Jazeera, 18 marzo 2020.
[3] A. Magdi, “Coronavirus: Egypt’s prisons could avoid disaster with conditional releases”, Middle East Eye, 16 marzo 2020.
[4] A. Hamzawy and N.J. Brown, How Much Will the Pandemic Change Egyptian Governance and for How Long?, Carnegie Endowment for International Peace, 23 luglio 2020.
[5] “IMF board approves $5.2 billion, 12-month loan program for Egypt”, Reuters, 27 giugno 2020.
[6] “Arab Republic of Egypt: Request for a 12-Month Stand-By Arrangement-Press Release”, International Monetary Fund, 10 agosto 2020.
[7] “Egypt’s real GDP to reach 6.4% in FY 2021/22: IMF”, Daily News Egypt, 2 settembre 2020.
[8] Economist Intelligence Unit, Country Report, Egypt, 8 settembre 2020.
[9] A. Melcangi, “Eastern Mediterranean: Testing Egypt’s Geopolitical Ambitions?” in G. Dentice e V. Talbot (a cura di), A Geopolitical Sea: The New Scramble for the Mediterranean, Italian Institute for International Political Studies (ISPI), 17 luglio 2020.
[10] M. Magdy, “Apathy dominates Senate elections in Egypt”, Al-Monitor, 16 agosto 2020.
[11] “Egypt threatens to prosecute 54m for not voting in senate elections”, Middle East Monitor, 27 agosto 2020.
[12] “Egypt to hold Senate runoff elections for locals on 8-9 September”, Daily News Egypt, 7 settembre 2020.
[13] A. Omra, “Can Egypt prosecute 54 million voters?”, Al-Monitor, 10 settembre 2020.
[14] G. E. El-Din, “Egypt’s political parties prepare for parliamentary elections ahead of registration data”, Ahram online, 13 settembre 2020.
[15] D. Walsh, “Libyan Rivals Call for Peace Talks. It May Be Wishful Thinking”, The New York Times, 21 agosto 2020.
[16] “Egitto e Grecia, accordo su frontiere marittime”, Ansamed, 6 agosto 2020.
[17] M. Colombo e G. Dentice, L’accordo Egitto-Grecia e il Grande Gioco per il Mediterraneo Orientale, Commentary, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), 7 agosto 2020.
[18] M. Abu Zeid, “Egypt, Cyprus officials intensify talks over joint gas pipeline project”, Arab News, 1 settembre 2020.
[19] “Egypt conducts joint military exercises with France in the Mediterranean”, Egypt Today, 25 luglio 2020.
[20] “Egypt, Greece, Greek Cypriot administration hold drills”, Anadolu Agency, 26 giugno 2020.
[21] R. Mahmoud, “Egypt casts about for ways to protect fisheries from GERD effects”, Al Monitor, 27 agosto 2020.
[22] “Egypt, Sudan ‘optimistic’ over Nile dam talks with Ethiopia”, Al Jazeera, 15 agosto 2020.
[23] R. Gramer, “U.S. Halts Some Foreign Assistance Funding to Ethiopia Over Dam Dispute with Egypt, Sudan”, Foreign Policy, 27 agosto 2020.
[24] “Egypt, Jordan, and Iraq to hold trilateral summit in Amman this week”, Ahramonline, 23 agosto 2020.
[25] Il tripolarismo mediorientale è composto dal cosiddetto “Quartetto arabo” o asse contro-rivoluzionario, costituito da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Bahrain (e in supporto tattico e strategico l’azione interessata di Israele in funzione anti-iraniana) al quale si somma l’appoggio militare statunitense e un sostegno più defilato della Giordania; il secondo blocco è quello relativo all’Islam politico formato da Qatar-Turchia e, infine, l’Asse di resistenza formato da Iran, Iraq, Siria e Hezbollah, che è sostenuto in una certa misura da Russia e Cina.
[26] M. Saied, “Egypt sends signal to Turkey by deepening ties with Jordan, Iraq”, Al Monitor, 5 settembre 2020.