Il pre-elezioni e il dopo-elezioni potrebbero rivelarsi più importanti delle stesse elezioni presidenziali in programma in Algeria il 17 aprile. Con Abdelaziz Bouteflika candidato dopo tre mandati già compiuti l’impressione è che i giochi siano stati fatti con la convergenza sul presidente uscente di tutti i gruppi di pressione che contano. Il peso degli anni e l’urgenza ampiamente riconosciuta di un mutamento sono stati sacrificati alla stabilità. Si sarebbero trovate d’accordo sia la “famiglia rivoluzionaria”, che si richiama alla legittimità della guerra di liberazione ed è composta dal Fronte di liberazione nazionale (Fln) e dalla vecchia guardia militare, sia le corporazioni economiche che fanno da corona all’establishment più specificamente politico. Anche chi difende l’esistente ha accennato a qualche possibile riforma: cruciale sarebbe la creazione del posto di vice-presidente per facilitare la successione al vertice in caso di necessità. Nel frattempo, sempre in vista delle elezioni, Ahmed Ouyahia è stato chiamato a dirigere il gabinetto del presidente. L’antico delfino, messo da parte frettolosamente dopo le elezioni parlamentari del 2012, pur vinte dalla coalizione governativa con a capo proprio Ouyahia, leader del Rassemblement national démocratique, l’alleato junior del Fln, è tornato in auge. Sarà Ouyahia il vice se Boutef vincerà anche nel 2014?
Enarca di origine cabile, Ouyahia è il solo alto dirigente algerino che abbia usato in Parlamento il tamazight, la lingua berbera inclusa tardivamente come lingua nazionale nella Costituzione. Quando tornò al potere negli anni Duemila, Ouyahia si portava dietro la nomea di rigorista cieco e sordo alle istanze sociali per aver ridotto negli anni Novanta l’eccessiva generosità dello stato che il governo algerino, anche senza dover subire le condizionalità del Fondo monetario internazionale, aveva giudicato non più sostenibile. La sua fuoriuscita nel 2012 potrebbe essere stata dettata però da un dosaggio fra laici e religiosi per compensare la sostituzione come segretario generale del Fln di Abdelaziz Belkhadem, ritenuto il capofila della fazione dei “barbuti”, più islamisti che nazionalisti, dentro il partito di maggioranza. Non è un caso che anche Abdelaziz Belkhadem sia stato recentemente ripescato per un posto di rilievo nelle stanze del potere.
L’opposizione a Bouteflika è divisa sostanzialmente fra chi boicotta le elezioni dipingendole come un po’ più o un po’ meno di una frode a vantaggio di un apparato opaco e inamovibile, e chi spende la carta di Ali Benflis. Nel campo dell’astensionismo figurano i laicissimi e berberisti del Rcd (Rassemblement pour la culture et la démocratie) e il Msp (Mouvement de la société pour la paix), il più grosso frammento della nebulosa islamista data in calo di consensi. Naturalmente non ci sono legami possibili fra i due partiti, ma il governo sfrutta la loro “fronda” come una ragione in più per fare blocco a difesa dell’“ordine” contenendo i due poli virtualmente agli estremi. Benflis, che fu capo del governo con Bouteflika durante il suo primo mandato, ritenta la sorte a dieci anni di distanza come indipendente. La rottura con Boutef lo portò nel 2004 allo “strappo” imperdonabile di sfidare la sua rielezione candidandosi personalmente. Il risultato fu un deludente 6,4 per cento, ma i tempi dieci anni dopo sono cambiati e lui, Benflis, ha dieci anni in meno di un Bouteflika in condizioni di salute precarie.
Ali Benflis, che è stato capo del governo e segretario generale del Fln ed è figlio di un “martire” della guerra di liberazione, assicura di non avere scheletri alle spalle perché uscì dal cerchio magico sulla base di una contestazione dei metodi con cui esso gestiva lo stato e i beni della nazione. Oggi si propone come il campione della resistenza e del cambiamento. Il suo programma prevede un’ampia riforma della Costituzione in senso liberale e liberista per garantire la partecipazione, l’alternanza e l’emersione di tutte le risorse di una società fin troppo coartata e scoraggiata. Ha idee innovative anche in settori come la legge sugli idrocarburi, la scuola e la giustizia: uno stato di diritto al posto della “privatizzazione” dello stato in atto. Collaboratore di Zeroual e Bouteflika nella politica di conciliazione nazionale, ha in animo di chiudere anche gli ultimi “buchi neri”. La sua speranza è d’intercettare non tanto l’opposizione pura e dura quanto piuttosto quell’Algeria che per età, istruzione e professione non si riconosce più nel pouvoir che in forme diverse – civile-militare o militare tout court – ha il monopolio dal 1962. La sua “primavera” l’Algeria l’ha vissuta vent’anni prima del 2011 con la successione da incubo della vittoria elettorale del partito islamista, il colpo di stato e la guerra civile.
Un argomento che potrebbe fare breccia a favore di Benflis è la perdita di autorevolezza dell’Algeria in Africa e nel mondo. Con allarme in Algeria è stato seguito il viaggio di Mohammed VI in Mali, Costa d’Avorio, Guinea e Gabon. Il Marocco è il rivale storico dell’Algeria. Il dossier Sahara Occidentale sta ricadendo tutto a danno di Algeri. Il sovrano marocchino non esita ad “africanizzarsi” aggirando l’Algeria, che a sua volta non crede più come un tempo nel Maghreb e ha cercato alleati a sud cominciando dal Senegal. Il Sahel è un campo di battaglia che vede impegnati attori che vengono da molto lontano, in primis la Francia, e il Marocco pensa di avere strumenti migliori per cercare di “regionalizzare” le soluzioni. La tradizione di autonomia e permalosità dell’Algeria, un titolo di merito per la stagione “terzomondista”, ne fa comunque un alleato scomodo. Le potenze occidentali non amano trattare alla pari con i governi della periferia.
CEPA e ISPI