Sembrava aver retto l’impatto del Covid 19 meglio di altri paesi della regione e invece l’Argentina si è ritrovata con uno scenario persino peggiore: la curva di contagi e decessi in crescita e una recessione ormai incontrollabile. A Buenos Aires amano sentirsi speciali, nel bene e nel male, e così oggi in molti si lamentano di aver sopportato la “quarantena più lunga del mondo” senza però essere riusciti ad arginare l’onda d’urto del coronavirus che a fine settembre fa registrare 750.000 contagi (ottavo paese al mondo) e circa 20.000 decessi.
A differenza del suo collega Jair Bolsonaro, il peronista Alberto Fernandez non ha affatto sottovalutato la pandemia; il suo governo, fresco di nomina, ha decretato un rigido lockdown e la chiusura di tutte le frontiere già a metà marzo. “Dell’economia parleremo più avanti – ha ripetuto per settimane – adesso dobbiamo pensare a salvare le vite umane. Una fabbrica, un impiego si può riprendere; una vita che se ne va non torna più”. Una strategia elogiata all’inizio anche dall’OMS, ma che a lungo andare non si è rivelata per nulla vincente. Il virus è partito molto forte a Buenos Aires e nella sua sterminata periferia per poi espandersi ad altre provincie e centri urbani, come Cordoba, Mendoza a Santa Fe.
Se è vero che le regioni rurali del nord hanno subito un impatto minore, a non lasciare scampo è stata la crisi economica. Migliaia di imprese ed esercizi commerciali hanno chiuso i battenti, il settore del turismo e ristorazione, la costruzione e l’industria vivono una crisi peggiore persino a quella della bancarotta del 2001. Anche l’euforia per l’accordo raggiunto con i creditori internazionali ai primi di agosto è durata pochissimo. Nel secondo trimestre il PIL è crollato del 19.1% rispetto allo stesso periodo del 2019, le previsioni per il 2020 parlano di una flessione tra il 12 e il 15%. La disoccupazione supera il 10%, la povertà raggiunge il 52% della popolazione, nella periferia di Buenos Aires sei bambini su dieci soffrono di denutrizione.
La strategia di chiusura totale del governo è stata sbagliata non dal punto di vista della lotta alla pandemia, ma perché non c’è stato contemporaneamente un piano di sostegno concreto all’economia e nemmeno un rafforzamento delle strutture sanitarie per affrontare l’emergenza. Alla Casa Rosada hanno pensato, sbagliando, che bastava confinare la gente in casa per sconfiggere il virus e il suo impatto sul tessuto sociale e produttivo. Non è esistita una politica di controllo e isolamento dei casi positivi, né la capacità di flessibilizzare le norme di quarantena per quelle province dove i casi erano pochissimi. Si è notata, ancora una volta, la profonda frattura tra la capitale e i grandi centri urbani e le campagne.
Mentre Fernandez cercava di rassicurare gli animi, numerose imprese straniere hanno chiuso le loro filiali e hanno abbandonato il paese e migliaia di argentini hanno ritirato i propri fondi dal sistema bancario. Nell’ultimo mese lo stock di dollari depositati presso le banche locali si è dimezzato, passando da un totale di 32 a 16 miliardi. Il dollaro blu, quello cambiato sottobanco, vale il doppio rispetto a quello blindato della quotazione ufficiale. Il ministro dell’Economia Martin Guzman riceverà ai primi di ottobre la prima missione esplorativa del Fondo Monetario Internazionale per iniziare le trattative sulla rinegoziazione del debito di 44 miliardi di dollari. Guzman ha promesso per il 2021 una ripresa da +5% del Pil e un’inflazione sotto il 30% (oggi sfiora il 50%), ma non ha spiegato come questa ripresa si concretizzerà. L’appoggio al presidente è in calo. Da settimane si ripetono le manifestazioni contro la riforma della giustizia che i peronisti vorrebbero approvare e che potrebbe congelare le inchieste aperte contro la vicepresidente Cristina Kirchner. Anche la Corte Suprema, tradizionalmente schierata con il potere di turno, si è messa di traverso. Ancora una volta l’Argentina sembra un transatlantico sul punto di affondare. Al governo da meno di un anno, Alberto Fernandez deve fare di tutto per non rischiare di fare la fine del pianista del Titanic.