La presa di posizione delle Forze armate algerine a sostegno della transizione verso la cosiddetta "Nuova Repubblica" – un passo giunto dopo settimane di esitazione – fa pensare che nel futuro prossimo i militari giocheranno un ruolo cruciale quando scadrà il mandato presidenziale di Abdelaziz Bouteflika. E che probabilmente saranno loro ad esprimere una candidatura autorevole per la successione all'uscente raìs. Lo invocano le piazze, ancora fiduciose nell'azione garantista delle caserme in contrapposizione a quella che viene percepita come una manovra di palazzo per conservare lo status quo.
Nell'attesa di una candidatura algerina in divisa, la stabilizzazione della presidenza egiziana, le cui radici affondano nell'humus militare, fa scuola in Nord Africa.
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, già feldmaresciallo e ministro della Difesa per volontà dell’ex presidente Mohammed Morsi e, di quest'ultimo, suo successore manu militari, è oggi l'uomo forte della sponda Sud del Mediterraneo. Dall'estate del 2013, quando sull'asfalto del Cairo e di Giza sono rimasti uccisi centinaia di sostenitori della Fratellanza musulmana dopo la destituzione di Morsi, al-Sisi è stato il motore della restaurazione politica e del rilancio economico. Relegata la primavera egiziana ai libri di storia ancora prima che se ne potessero raccogliere i frutti, il blocco di potere rappresentato da alta borghesia e forze armate ha ripreso le posizioni solo temporaneamente perdute nel 2011. Con un cambio generazionale al vertice: non più il pluridecorato eroe dell'aviazione Hosni Mubarak, ormai 90enne come i suoi commilitoni, ma un militare di carriera con poca esperienza sui campi di battaglia mediorientali e un curriculum da attachéegiziano all'ambasciata di Riad. Una figura ponte fra Il Cairo e il regno dei Saud, con competenze di intelligence.
Qualche cenno sull'Egitto di oggi, utile a comprendere in quale frangente socio-economico versi ora il grande Paese nordafricano. Con una crescita economica del +5,3% medio nel biennio 2017-2018 e aspettative di performance ancora migliori per il biennio 2019-2020, Il Cairo vanta a buon titolo lo sviluppo più sostenuto dell'intero bacino del Mediterraneo, in parallelo alla netta riduzione dell'inflazione: dal picco del +30% del luglio 2017 all'8% del novembre 2018. Per ritrovare ritmi di crescita simili, è necessario risalire alla Turchia di dieci anni fa, quando l’allora primo ministro Recep Tayyep Erdogan sdoganava la borghesia anatolica, vicina alla Fratellanza musulmana.
Eppure la presidenza al-Sisi non può dormire sonni tranquilli. Come ha evidenziato lo stesso presidente in svariati discorsi alla nazione, l'aumento demografico incontrollato e il terrorismodi matrice islamica sono emergenze di pari gravità.
Per quanto concerne il primo punto, un quesito tormenta la dirigenza egiziana: l'attuale tasso di crescita economica, ipoteticamente costante sul medio-lungo periodo, sarebbe sufficiente ad assicurare a 100 milioni di abitanti (questa la popolazione egiziana oggi) uno sviluppo economico diffuso? Ad oggi, i macro-indicatori, per quanto positivi, non hanno avuto ancora riflessi ad ampio raggio. Il costo della vita rimane sostenuto, la disoccupazione endemica, i servizi pubblici scarni, la corruzione nell'amministrazione inalterata.
Ma soprattutto: alla luce delle previsioni delle Nazioni Unite – secondo cui nel 2100 l’Egitto avrà 200 milioni di abitanti – quale ritmo di crescita dovrebbe avere l'economia egiziana per assicurarsi la sopravvivenza? Dall'inizio del 2019, è in corso nel Paese una vasta campagna sociale dal titolo “Due è abbastanza”, tesa a sensibilizzare ed educare le fasce più disagiate della popolazione alla pianificazione famigliare. Non mancano le polemiche e le voci critiche, ma le più autorevoli cariche religiose si sono schierate a fianco della presidenza e dell'ingente investimento sul dossier: 4 milioni di dollari in due anni.
Così come anche sul dossier “Irhab”, terrorismo, al-Sisi raccoglie supporto unanime: le forze armate egiziane sono impegnate sia nel Sinai sia sul territorio continentale nel contrasto dell'islamismo armato. Nel Nord del Sinai, l'ingrossarsi delle file degli jihadisti affiliati al Daesh – complice la débacledel sedicente Califfato in Siria e Iraq – non fa presagire niente di buono per la stabilità egiziana. La repressione nei confronti della Fratellanza, di inedita crudezza, ha finito per legittimare le frange più radicali del movimento, ora più pericolose che in passato.
In questo scenario si inserisce l'attuale rimaneggiamento della Carta costituzionale egiziana, destinato ad assicurare ad al-Sisi, all’esercito e al mondo industriale-finanziario il controllo del Paese per i prossimi vent'anni.
I 13 articoli costituzionali che il parlamento sta modificando e i 2 che rappresentano una novità – o meglio, un ritorno al passato – interessano in primis il limite al numero di mandati presidenziali e la loro durata. Proprio quanto voluto dai rivoluzionari del 2011, cioè la riduzione a due mandati presidenziali di quattro anni l'uno (in reazione alla dittatura trentennale di Mubarak), viene ora trasformata in due mandati consecutivi di sei anni l'uno. E – attenzione alla “prudenza” del legislatore – solo per il presidente Abdel Fattah al-Sisi si introduce la clausola dei quattro mandati consecutivi: il calcolo è presto fatto, per il raìs la strada è spianata, dopo la naturale scadenza del suo secondo mandato nel 2022, fino al 2034. E accanto a lui, farà la sua comparsa un vice presidente.
Non solo. Alla presidenza i deputati stanno per concedere prerogative più ampie e strategiche, quale la nomina dei vertici della magistratura.
Grazie alla nuova Costituzione, risorgerà inoltre la Camera alta del Parlamento, quel consiglio consultivo di nomina presidenziale (la “Shura”) cancellato dai rivoluzionari. Ora si chiamerà Senato, avrà poteri più ampi sebbene un numero di membri ristretto rispetto al passato. Quanto al ministero dell'Informazione, eliminato otto anni fa, esso farà presto il suo ritorno.
Ma soprattutto, la riforma prevede che l'esercito diventi “guardiano della Costituzione, dei principi democratici e dello Stato civile”.
Una vera e propria incoronazione per le forze armate. E un congelamento del dibattito politico pluralistico, con l'obiettivo di ridurre le opposizioni a mere comparse di una pellicola già scritta. Il legislatore previene le critiche introducendo articoli tesi alla tutela delle minoranze, con una maggiore rappresentanza nell'emiciclo per cristiani, donne, egiziani all'estero, disabili e via dicendo.
Già nel 2014, ancora prima di diventare presidente, al-Sisi pilotò un primo “maquillage” costituzionale, incentrato sulla messa al bando dalla vita politica di qualsiasi formazione avente radici confessionali. Ora, mentre la manovra di controllo del regime si avvia al pieno compimento, l'esercito prende pure sotto la propria “ala protettrice” tutti gli asset economici più nevralgici (dall'agroalimentare agli idrocarburi, dalla difesa al manifatturiero) e detta l'agenda nazionale.
Se anche le forze armate algerine, come quelle egiziane, tenteranno di approfittare opportunisticamente del vuoto di potere venutosi a creare, si saprà fra poche settimane, quando il quarto e ultimo mandato Bouteflika terminerà ufficialmente, il 28 aprile.