La crisi pandemica ha cambiato radicalmente il ruolo e la percezione della digitalizzazione nelle nostre società e ne ha accelerato il ritmo. Le tecnologie digitali sono diventate imprescindibili per il mantenimento della vita sociale ed economica e saranno uno dei fattori essenziali del Recovery Fund per la transizione verso una rinnovata società post Covid-19. Quest’anno di pandemia ha però anche esposto le vulnerabilità dell'approccio europeo alla trasformazione digitale. La dipendenza da tecnologie cinesi e statunitensi, la mancanza di competenze e il crescente divario digitale, rappresentano un ostacolo alle ambizioni europee per un futuro digitale antropocentrico, inclusivo e sostenibile in cui l’Unione possa avere la propria sovranità digitale. Per tradurre tale visione in obiettivi concreti e misurabili, la Commissione ha presentato la “Bussola per il digitale 2030”, mappatura della rotta e del ritmo della trasformazione digitale europea nel prossimo decennio, da realizzare lungo quattro punti cardinali:
- competenze e professionisti nel settore digitale
- infrastrutture performanti e sicure e capacità di calcolo competitiva
- trasformazione digitale delle imprese
- digitalizzazione dei servizi pubblici
Competenze e professionisti nel settore digitale
La Commissione quantifica in 125 miliardi di euro all'anno il fabbisogno di investimenti nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) e in competenze digitali per colmare il divario con USA e Cina. A oggi infatti il 42% della popolazione adulta nella Unione Europea non possiede competenze digitali di base, prerequisito per partecipare attivamente alla transizione tecnologica. Carenza a cui si somma quella di specialisti ICT, tanto che più del 70% delle imprese nella UE segnalano la mancanza di personale con adeguate competenze digitali come un ostacolo agli investimenti. Settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che è inoltre caratterizzato da una netta discriminazione di genere: solo uno specialista ICT su sei e un laureato STEM su tre sono donne.
Entro il 2030, l’UE si è posta come obiettivo il raggiungimento di competenze digitali di base da parte dell'80% della popolazione adulta, il che richiederebbe un aumento di 22 punti percentuali durante il prossimo decennio. Sarà quindi necessario un vero e proprio cambio di marcia considerando come negli ultimi cinque anni l’aumento registrato sia stato di soli 3 punti percentuali. A questo target si aggiunge quello di 20 milioni di specialisti ICT, con una convergenza tra donne e uomini. Un incremento desiderato, rispetto alla situazione attuale, del 156%, quattro volte superiore a quello avvenuto nel decennio 2010-2020.
Infrastrutture digitali performanti e sicure, capacità di calcolo competitiva
Per le infrastrutture e le reti digitali, l'UE ha un deficit di investimenti di 65 miliardi di euro all’anno che determina un forte svantaggio competitivo rispetto alla leadership tecnologica statunitense. Per esempio il 90% dei dati UE sono gestiti da aziende statunitensi, con Microsoft, Amazon e Google che da sole possiedono oltre la metà dei principali 600 centri dati globali. L’UE ne ospita il 19%, la Cina il 10%. Il valore dei dati europei viene quindi estratto al di fuori del territorio dell’Unione, limitando lo sviluppo del relativo mercato europeo e amplificando i rischi in termini di sicurezza informatica.
Allo stesso tempo, l’Unione si trova al momento impreparata a rispondere alle sfide future poste dai crescenti volumi di dati prodotti e dalla decentralizzazione delle capacità di elaborazione di questi. Ad oggi, nella UE, la copertura 5G è del 14%, e solamente il 59% delle famiglie può beneficiare di connessione Gigabit, rispetto all’80% negli Stati Uniti. La “Bussola per il Digitale” mappa in questo contesto due principali filoni di intervento entro il 2030. Da una parte l’Unione si impegna a estendere la fibra ottica e il 5G in tutto il proprio territorio, un obiettivo che la Cina punta a raggiungere entro il 2025. Dall’altra concentrerà i propri sforzi per rafforzare la propria infrastruttura e capacità di cloud computing, dotandosi di 10 mila edge nodes (micro data center capaci di elaborare e memorizzare dati critici localmente) e portando avanti il dibattito per un'infrastruttura cloud federata.
Parallelamente allo sviluppo di una sempre più necessaria infrastruttura digitale, è evidente nel piano della Commissione la ricerca di un primato tecnologico nella potenza di calcolo. Nel prossimo decennio, l’UE ambisce a dotarsi del suo primo computer quantistico. Una tecnologia, già sviluppata da Google e IBM, che promette di eseguire in pochi minuti elaborazioni che a un normale computer richiederebbero migliaia di anni, per la quale l’Unione ha già messo in campo un investimento da 1 miliardo di euro attraverso la Quantum Flagship Initiative.
Altrettanto centrali per Bruxelles sono gli obiettivi stabiliti per il settore dei semiconduttori, alla base di catene del valore strategiche quali l’automotive, la missilistica, l’Internet delle cose, e l'intelligenza artificiale. Gli Stati Uniti attualmente detengono la principale quota di questo mercato col 47%. Una leadership legata al controllo dei principali colli di bottiglia nella catena del valore dei semiconduttori, specialmente nella fase di progettazione. Il 90% del mercato degli strumenti EDA, software di automazione della progettazione elettronica del layout dei microchip, è infatti controllato da aziende americane, con Siemens unica eccezione europea. L’Europa può vantare una nicchia di eccellenza quale la produzione di macchine per la litografia ultravioletta estrema, che permettendo ai produttori di ridurre a 7 nanometri (nm) - sette milionesimi di millimetro -, la distanza di stampa dei circuiti, ne aumenta il numero installabile e quindi la potenza del microchip. L’attuale frontiera globale sono però i 5 nm che solo la taiwanese TSMC e Samsung sono in grado di proporre.
Un posizionamento altamente competitivo dell’Unione si registra anche nella produzione di microchip destinati alle automobili, che tuttavia hanno dimensioni medie tali, 28 nm, da non poter soddisfare le esigenze di altri settori. Inoltre la diffusione di sistemi di infotainment sempre più avanzati sta spingendo anche l’automotive verso processori sempre più piccoli. La dipendenza europea in questo settore da tecnologie e materiali stranieri è quindi in crescita come evidenziato solo 2 mesi fa, quando la scarsa disponibilità di microprocessori sul mercato europeo ha costretto le principali aziende automobilistiche del continente a rallentare la propria produzione. Per ottenere una propria sovranità digitale, l’Unione Europea si è quindi data l’intento per il prossimo decennio di portare la produzione di semiconduttori in Europa, dall’attuale 10% del valore della produzione mondiale al 20%, diventando punto di riferimento globale nello sviluppo della prossima generazione di microprocessori, quelli da 2 nm.
Trasformazione digitale delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici
Ai 2 miliardi di euro messi a bilancio europeo per lo sviluppo delle infrastrutture digitali, dovrà corrispondere, nei piani dell’Unione, una più forte cultura digitale da parte di imprese e cittadini. Secondo Eurostat, solo il 36% delle imprese dell'UE ha utilizzato servizi cloud nel 2020, per lo più per operazioni semplici come l’archiviazione di file. Una percentuale che l’UE vorrebbe far salire al 75% entro il 2030, insieme a un aumento di 30 punti percentuali della quota di Pmi europee con un livello di base di intensità digitale, oggi ferma al 61%, e al raddoppio del numero di "unicorni" europei. Le start-up tech, in Europa, dal valore di almeno 1 miliardo di dollari sono infatti solamente il 10% di tutte quelle nel mondo, 60 contro le 265 negli Stati Uniti e le 204 in Cina. Un gap frutto della diversa scala dei finanziamenti di venture capital disponibili per la crescita imprenditoriale: 136 miliardi di dollari negli Stati Uniti vs 39 miliardi in Europa. Infine, entro il 2030, la Commissione punta a garantire per tutti gli europei la possibilità di accesso alla propria cartella clinica in forma elettronica e a estendere l’utilizzo dell'identificazione digitale all'80% dei cittadini.
La “Bussola per il digitale” traccia un percorso chiaro per colmare le principali lacune attualmente esistenti nella strategia digitale europea. Solo muovendosi verso gli obiettivi in essa indicati e attivando forti partnership digitali internazionali, l’UE sarà in grado di proiettare sulla scena mondiale il proprio modello per la trasformazione digitale. Fondamentale in questo percorso sarà il varo rapido di progetti multinazionali in cui confluiscano investimenti a carico del bilancio dell'UE, degli Stati membri e del settore privato. In questo senso, l’effettivo utilizzo dei fondi del Recovery Fund rappresenterà un primo banco di prova delle rinnovate ambizioni digitali europee.