Nonostante i successi dell’offensiva militare governativa dei primi mesi dell’anno, Boko Haram (BH) resta il maggiore fattore d’instabilità e d’insicurezza del nord della Nigeria. La struttura decentralizzata e la composizione eterogenea rendono il gruppo estremamente flessibile e quindi capace di reagire a contesti diversi. Anche negli ultimi mesi BH si è adattato velocemente al “cambio di passo” del governo, tanto da intensificare il numero dei suoi attacchi. L’elezione del neo presidente Muhammadu Buhari, vincitore su Goodluck Jonathan nel marzo scorso, ha aperto nuovi scenari e opportunità. In quanto musulmano, esponente del nord ed ex-militare, Buhari potrebbe riuscire nell’intento di modificare profondamente le relazioni militari e negoziali con i jihadisti e il contesto regionale in cui essi si muovono.
Il gruppo guidato da Abubakar Shekau è strutturato in numerose cellule sostanzialmente indipendenti. Un Consiglio della Shura coinvolge le figure di spicco, ma nei fatti risulta scarsamente capace di coordinare le operazioni. Questo anche perché, secondo quanto appare dalle limitate testimonianze e dalle informazioni disponibili, le riunioni faccia a faccia sono rare e i contatti avvengono principalmente per via telefonica. Gli esperti ipotizzano che le cellule scelgano autonomamente l’attività in cui specializzarsi, tra queste figurano quelle di reclutamento, di propaganda, di rapimenti e addirittura di sistemi di “welfare” in aiuto alle famiglie degli attentatori suicidi.
Le fonti di finanziamento del gruppo provengono da furti, rapimenti e sostegni assicurati da supporter locali, leader politici e addetti alla sicurezza. Le relazioni con altre organizzazioni islamiste forniscono inoltre conoscenze, addestramenti, armi, attrezzatura e aiuti per la comunicazione interna e la propaganda.
Shekau è a capo del gruppo da luglio 2010, quando ha sostituito Mohammed Yusuf. La sua gestione autoritaria di BH, basata anche su favoritismi etnici, crea un forte malcontento che, se manifestato, viene duramente punito. Più volte dichiarato morto dalle autorità nigeriane, Shekau è poi sempre riapparso nei video di propaganda. Non manca però chi sostiene che sia effettivamente defunto e che la sua immagine sia diventata una sorta di “brand” utilizzato dalle diverse cellule.
Mamman Nur è lo storico terzo in carica di BH e ha forti relazioni con al-Qaida e con gli al-Shabaab, con i quali si è addestrato dopo aver lasciato la Nigeria nel luglio 2009. Tornato dall’estero, nel 2011 ha orchestrato il primo attacco suicida della storia del paese (Abuja, 16 giugno 2011): un’ulteriore testimonianza del legame con le altre organizzazioni jihadiste. La sua visione va ben oltre i confini nazionali e per molti militanti sarebbe il più adatto a guidare il gruppo. Tuttavia le sue origini camerunensi e la durezza con cui è gestito BH non gli permettono di ottenere un consenso sufficientemente diffuso.
Un’altra personalità chiave nella dirigenza di BH è Khalid al-Barnawi, anche lui dotato di saldi rapporti con l’universo jihadista, consolidati addestrandosi all’estero e combattendo in Mali. Al-Barnawi è una risorsa unica per il gruppo anche per la sua esperienza in ambito rapimenti.
Nel 2012 la divisione interna a BH ha portato alla nascita di Ansaru, organizzazione con una forte visione internazionale e tra le cui fila sembra ci siano gli stessi al-Barnawi e Nur. I suoi attacchi si concentrano soprattutto nella zona centrale della Nigeria, luogo di storiche tensioni religiose, e sono realizzati dai residenti arruolati. Pare invece che i componenti legati al vecchio Salafist Group for Call and Combat (Gspc) e quelli vicini ad al-Qaida in the Islamic Maghreb (Aqim) si siano riavvicinati a BH nel 2013 con un’operazione voluta da al-Barnawi. Secondo diversi studiosi, questi uomini, ben inseriti nell’universo jihadista, avrebbero successivamente stabilito i legami con l’Isis e spinto Shekau a dichiarare uno Stato Islamico (agosto 2014) e ad affiliarsi con il Califfato (marzo 2015). Non è chiaro come il legame si evolverà. In molti sostengono che l’accordo sia stata una mossa puramente mediatica ma è da considerare che sono stati ritrovati alcuni uomini di BH in un campo di addestramento del Califfato a Mosul, la legittimazione del gruppo nigeriano è aumentata e, pare, anche la forza della sua propaganda mediatica. La Cia sottolinea però che il jihadismo arabo è profondamente razzista verso i neri e che quindi il rapporto non è visto pariteticamente dall’Isis.
Dal 2011 il sostegno internazionale e locale (dovuto anche alle pessime condizioni del nord del paese) ha reso BH sempre più forte. A marzo di quest’anno è stata istituita una coalizione internazionale per far fronte a una minaccia che è sempre più regionale. Negli ultimi mesi i successi dell’offensiva, guidata dalla Nigeria con la partecipazione di Niger, Ciad e Camerun, hanno costretto BH ad abbandonare molti dei territori occupati e a tornare a prediligere tecniche di guerriglia. Le principali città del nord sono ora ritornate nella mani del governo ma, dall’insediamento del nuovo presidente, il numero degli atti terroristici è aumentato. Solo nelle prime settimane di luglio gli attentati nella Nigeria settentrionale hanno causato più di 200 vittime. Si tratta soprattutto di sparatorie e di attacchi suicidi che colpiscono la popolazione civile.
La riconquista governativa è da imputare anche al coinvolgimento di mercenari sudafricani, segretamente assunti a gennaio dal governo nigeriano con il compito di addestrare le forze speciali e sostenerle nella lotta. Tuttavia i confini porosi, i legami etnici che oltrepassano le frontiere statali, le inefficienze dell’esercito nigeriano e la scarsa capacità e volontà di coordinare le diverse forze armate giocano a favore del gruppo di Shekau.
Video ritrovati nei campi di addestramento riconquistati mostrano come gli stranieri giochino un ruolo sempre più importante nell’organizzazione. La natura internazionale del gruppo è testimoniata anche dall’uso frequente della lingua araba nei video di propaganda e dall’abbigliamento dei seguaci, spesso non autoctono. Facili preda del reclutamento, che avviene anche nei paesi confinanti, è la popolazione in povertà e i rifugiati in fuga dalle crisi vicine (soprattutto dal Mali e dalla Repubblica Centrafricana). I mezzi di persuasione sono la forza e il denaro.
Tra gli stati limitrofi coinvolti, il Camerun è quello con il confine più vulnerabile e per questo i suoi territori sono utilizzati da BH come basi operative, vie per il traffico di armi e terre di rapimenti e di reclutamento. Un campo di addestramento, destinato anche a molti bambini, è stato smantellato nel dicembre scorso.
I grandi flussi migratori aiutano BH a infiltrarsi in Niger, dove il gruppo ha più volte attaccato dei villaggi, anche come ripercussione all’entrata del paese nella coalizione. L’ultimo episodio è quello del 18 giugno scorso, nella provincia di Diffa, che ha causato almeno 38 morti.
Nello stesso mese il gruppo di Shekau ha colpito più volte N’Djamena, capitale del Ciad, e pare che anche l’attacco avvenuto in questi giorni sia opera sua. Il confine poco praticabile rende il Ciad meno accessibile ma le sue terre sono comunque una via per il traffico di armi - che parte dalla Libia e passa prima dal Sudan e dalla Repubblica Centrafricana - e zona di reclutamento. Gli attacchi terroristici si concentrano nella zona del Lago Ciad, territorio ricco di petrolio e di uranio, e danneggiano l’economia del paese rendendo difficili gli scambi commerciali con la Nigeria. Per motivi economici, oltre che politici, finanziari e d’immagine internazionale il presidente ciadiano Idriss Deby è fortemente impegnato nel conflitto.
La presenza del gruppo di Shekau è stata registrata anche in Mali, a fianco di Aqim e del Movement for Unity and Jihad in West Africa (Mujao), e in Somalia, dove i suoi membri si sono addestrati con gli al-Shabaab. Fin dal 2013 si sospettava un coinvolgimento di BH anche nel conflitto della Repubblica Centrafricana e oggi il legame tra alcune frange dei Seleka e il gruppo nigeriano sarebbe confermato, oltre che dai fatti, dalle intelligence di Francia e Ciad. Il rapporto si concretizzerebbe in vendita d’armi e sostegno nei combattimenti.
A oggi la sua struttura interna e il contesto regionale hanno permesso a BH di mutare a seconda delle condizioni, e di crescere. La sua flessibilità ed eterogeneità limitano però il coordinamento, rendendo difficili operazioni su larga scala e negoziati. Nei prossimi mesi questo tipo di organizzazione sarà messa alla prova dalla dura lotta promessa dal neo presidente. Si vedrà allora se i suoi punti di forza sono maggiori rispetto a quelli di debolezza.