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L'accordo

Libia: cosa nascerà dal cessate il fuoco?

Armando Sanguini
28 ottobre 2020

Nei giorni precedenti Stephanie Williams, la Rappresentante delle Nazioni Unite per la Libia, si era dichiarata fiduciosa sulla possibilità di raggiungere un accordo di “cessate il fuoco” tra le principali parti in conflitto. Poi, a conclusione di ben 5 giorni di serrato confronto tra i loro rappresentanti militari e politici, Williams ha potuto annunciare l’accordo per un “cessate il fuoco nazionale permanente e con effetto immediato”; un risultato accolto con un lungo applauso nel palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra; un vero e proprio “punto di svolta per la pace e la stabilità in Libia” anche perché corredata da una serie di intese puntuali, quali:

- la decisione di Khalifa Haftar di “liberare” gli impianti petroliferi, dopo averli chiusi a settembre provocando una perdita di oltre 8 miliardi di euro, e affermando di aver ottenuto in cambio la garanzia di un equo riparto delle pertinenti entrate

- l’intesa sulla riapertura delle principali strade e dei voli interni e dunque ai contatti interpersonali bloccati dalla guerra;

- il consenso sul ritorno alle rispettive postazioni di tutte le unità militari per poi procedere alla loro immissione in un quadro istituzionale unico;

- la luce verde data all’uscita dal paese di tutte le milizie straniere entro i prossimi tre mesi;

- l’impegno ad arrestare la retorica dell’odio a mezzo stampa e sui social e

- a operare per il mantenimento della calma sulla linea del fronte, sostenendo gli sforzi in atto per ottenere la liberazione dei prigionieri.

Questi, in estrema sintesi, i termini complessivi dell’accordo, ciascuno dei quali già di per sé importanti e di non agevole implementazione, che si sono andati progressivamente definendo sulla scia degli impegni assunti durante l’incontro di Berlino del gennaio scorso sotto la mano benedicente delle Nazioni Unite.

Impegni che in queste ultime settimane avevano visto anche lo svolgimento di un nevralgico incontro in Marocco tra le delegazioni della Camera dei rappresentanti (Tripoli) e del Parlamento di stanza a Tobruk (riconosciuto internazionalmente) nonché dell’Alta Corte Suprema e poi di una tornata di discussioni intra-libiche tenutasi al Cairo sul futuro del quadro costituzionale del paese.

Ciò per sottolineare che quest’ultimo incontro ginevrino non è stato episodico, bensì il risultato di una dinamica politica di convergenze di cui sarebbe improprio sottostimare il rilievo pur in costanza di una situazione generale libica a dir poco ingarbugliata nella sua conflittualità.

Risultato apprezzabile anche se come la stessa Stephanie Williams ha tenuto a sottolineare, la strada da percorrere verso una stabilizzazione degna di questo nome sia ancora lunga e piena di insidie e richieda un patriottismo all’altezza della sfida che il popolo libico è chiamato ad affrontare".

Lo stesso segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha voluto elogiare l'accordo firmato a Ginevra, congratulandosi con le parti per aver fatto prevalere “l'interesse della nazione sulle loro divergenze".

Un deciso plauso è venuto da gli Stati Uniti così come dall’Unione europea pur in presenza della perdurante ambiguità francese. E non stupisce certo che da Berlino, la capitale europea particolarmente impegnata sul delicato nodo libico, sia giunto l’apprezzamento dello stesso Ministro degli esteri tedesco: “i negoziati, ha sottolineato, hanno raggiunto “un primo successo decisivo e costituiscono una buona base per lo sviluppo futuro di una soluzione politica”. La Libia, ha aggiunto, non ha ancora conseguito tale obiettivo, ma ha superato un ostacolo importante sulla strada della pace, strada per la quale occorre invitare gli attori internazionali a sostenere senza riserve il processo avviato, astenendosi da ulteriori, nuove ingerenze.

Positiva anche la reazione ufficiale degli Emirati e dello stesso Consiglio di cooperazione del Golfo, concordi nel ritenere che una soluzione politica sotto la supervisione delle Nazioni Unite sia l’unica strada per porre fine al conflitto libico.

Anche il Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, nella sua veste di Presidente dell’Unione africana, ha accolto con estremo favore l’accordo di Ginevra, qualificato come una tappa di rilevanza “storica” per il futuro del paese sottolineando la necessità che le parti esterne rispettino l’embargo sulle armi e si astengano dall’intervenire nella dinamica degli eventi in Libia.

Più riservata Mosca che tuttavia sembra aver dato il suo sostegno per il prosieguo del lavoro di mediazione della Williams riguardante il nuovo assetto della governance della Libia con un Consiglio presidenziale a tre membri (un presidente e due vice) e un premier alla guida del governo.

E l’Italia? Il Ministro degli esteri Di Maio ha espresso soddisfazione per l’accordo alla cui realizzazione, ha lasciato trapelare, ha concorso con una mirata pressione sugli Stati Uniti, precisando come "Tripoli disti circa 250 chilometri in linea d'aria dalle nostre coste e la stabilizzazione della Libia sia fondamentale per controllare i flussi migratori irregolari e combattere i gruppi terroristici che infestano il Sahel".

Chi si è distinto dal coro è stato Erdogan che non ha nascosto il suo scetticismo rilevando come l’accordo sul cessate il fuoco concordato a Ginevra “non sia stato sottoscritto al più alto livello e appaia conseguentemente di carente credibilità”. Che dire? Da un lato non si può non convenire sul fatto che i firmatari dell’accordo, rappresentanti dei due fronti avversari, l’Esercito libico del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli (Gna) e l’Autoproclamato Esercito nazionale libico del Comando generale di Bengasi (Lna), siano personalità di seconda fila. Dall’altro non si può neppure ignorare il fatto che si tratta in ogni caso di personalità che hanno ricevuto un preciso mandato dai rispettivi vertici.

Possono essere smentiti? Certo, ma finora non lo sono stati, né da parte tripolina (Serraj) né da quella cirenaica che ha nel declinante uomo forte Khalifa Haftar, un militare tanto ambizioso quanto in perdita di credibilità a fronte di un Saleh, il presidente del Parlamento di stanza a Tobruk, riconosciuto internazionalmente e suo dante causa, un politico di rango che da tempo ne ha preso le distanze e oggi appare un leader di cui seguire attentamente l’azione.

Ma la sottolineatura scettica di Erdogan assume un’altra valenza se si considera il ruolo politico-militare da lui rivestito nella Libia odierna e la posizione che ritiene di aver acquisito in materia energetica nel quadrante orientale del Mediterraneo grazie all’intesa ad hoc raggiunta con Serraj. È comprensibile che voglia salvaguardare in qualche modo l’uno e l’altra.

La sua è un’incognita che pesa così come pesano criticamente le aspettative degli altri diversi sponsor delle due principali forze in conflitto, dall’Egitto agli Emirati alle monarchie del Golfo, a Mosca, a Parigi; tutti vogliosi di trarre profitto dagli “investimenti” fatti sull’una o sull’altra parte; quantomeno in termini di influenza politica ed economica se non anche militare.

Ma queste sono speculazioni sulle rispettive intenzioni di cui vedremo e apprezzeremo la portata nei prossimi giorni e settimane. Il grande momento di verifica essendo la sfida, forse decisiva, che si porrà al variegato e conflittuale coacervo dei rappresentanti libici che si affronteranno nel Libyan Political Dialogue Forum fissato dalle Nazioni Unite per l’8 novembre a Tunisi.

Si tratta infatti di un appuntamento cui sono chiamati ben 75 rappresentanti libici: 13 scelti rispettivamente dal Parlamento di Tobruk e dall’Alto Consiglio di stato di Tripoli cui se ne aggiungeranno altri 49, scelti dalle Nazioni Unite, in rappresentanza delle minoranze geografiche, politiche, sociali e tribali del paese, dell’associazionismo civile, delle donne e dei giovani, nonché dei delegati civili delle milizie più importanti.

Sarà chiesto loro di decidere la formazione del nuovo Consiglio presidenziale (tre membri) e del governo unificato e di elaborare le procedure costituzionali per nuove elezioni entro 18 mesi.

Un obiettivo tanto ambizioso quanto probabilmente irripetibile.

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AUTORI

Armando Sanguini
ISPI Senior Advisor

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