La decisione del generale Khalifa Haftar di accettare la tregua proposta dalla Russia e dalla Turchia offre all’Italia un’ultima possibilità di cambiare la sua politica in Libia. La necessità di un mutamento si basa sulla constatazione che la scelta di mediare tra i due contendenti da una posizione di equidistanza si è dimostrata inefficace, a causa del rafforzamento di Haftar nel conflitto e la sua convinzione di potere ottenere la vittoria finale. Un approccio più proficuo potrebbe essere perciò quello di abbandonare l’equidistanza e di impegnarsi a sostenere il governo di Fayez al-Serraj per ristabilire l’equilibrio tra le parti. Tale iniziativa potrebbe contribuire a convincere Haftar che sedersi al tavolo delle trattative è più conveniente di continuare il conflitto.
I principali interessi e i rischi per l’Italia
La scelta italiana di non inviare armi ad una delle due parti può essere giustificata dalla necessità di evitare di aggravare il conflitto, che si comprende analizzando gli interessi di natura economica e politica del nostro paese in Libia. Dal punto di vista economico l’Italia ha un ruolo fondamentale nell’estrazione ed esportazione di idrocarburi (gas e petrolio): un settore di grandissima importanza per l’economia libica. Per comprendere a pieno la centralità degli idrocarburi per Tripoli basta citare due dati: ovvero il 70% del PIL nazionale e il 95% dell’export libico che si basano su questa industria. Inoltre, la rendita che deriva dal settore degli idrocarburi rappresenta circa il 90% delle entrate statali, ed è utilizzata dal governo libico per consolidare il consenso interno. L’importanza dell’Italia è legata alla presenza di ENI nel processo di estrazione ed esportazione del petrolio e del gas. Per quanto riguarda l’estrazione, ENI è il principale produttore internazionale in Libia. Per quanto riguarda l’esportazione, una parte consistente degli idrocarburi libici raggiunge il nostro paese. L’esempio più significativo del legame tra Italia e Libia è quello del gas di Wafa e Bahr Essalam, che viene trasportato attraverso il gasdotto Greenstream fino al terminale di Gela in Sicilia. Inoltre, la Libia ha assunto una particolare importanza per quanto riguarda il tema della gestione dei flussi migratori. Negli ultimi anni l’Italia ha preso la controversa decisione di collaborare con il governo libico per ridurre gli sbarchi. Infine, esiste un’intensa collaborazione tra Roma e Tripoli per quanto riguarda il contrasto alle organizzazioni criminali e terroristiche e per impedire il traffico illegale di uomini e di merci.
Allo stato attuale il principale rischio per l’Italia è rappresentato da un eccessivo rafforzamento di Haftar e da un innalzamento del livello di violenza del conflitto a causa di interferenze esterne nel paese. In particolare, l’Italia teme che le truppe del generale libico entrino nelle zone centrali di Tripoli. Tale scenario avrebbe come conseguenza più immediata che i ministeri, le banche, e la stessa Compagnia Nazionale Libica (National Oil Corporation) non potrebbero più operare per la mancanza delle condizioni minime di sicurezza. La chiusura delle principali istituzioni metterebbe in crisi l’attuale sistema di distribuzione della rendita petrolifera, che è alla base del contratto sociale libico. Questo perché molti cittadini che svolgono una funzione pubblica (medici, insegnanti, poliziotti, impiegati comunali) si troverebbero senza stipendio per un periodo di tempo imprecisato. Inoltre, gli scontri avverrebbero in un territorio di quasi un milione e 200 mila cittadini, senza contare le migliaia di abitanti dei sobborghi. È evidente che molti cittadini di Tripoli, privati delle fonti di reddito e costretti a sopravvivere in un contesto di guerra, cercherebbero di fuggire dalla capitale libica. I più disperati potrebbero cercare anche di raggiungere l’Italia via nave, come già avvenuto di recente.
Una situazione di guerra simile a quella siriana, caratterizzata da conflitti diffusi su diverse aree del territorio nazionale e una forte influenza degli attori internazionali, determinerebbe anche la fine di qualsiasi politica di gestione di flussi. Questo perché i membri delle milizie che sostengono il governo di Tripoli non avrebbero alcun incentivo a limitare i flussi in mancanza di istituzioni funzionanti che garantiscano finanziamenti senza contare che il numero di persone in fuga dal conflitto sarebbe troppo alto per essere limitato. Infine, alcuni gruppi armati che gestiscono i campi di detenzione libici potrebbero scegliere di combattere nella capitale per garantirsi la sopravvivenza politica, o addirittura unirsi alle migliaia di truppe ausiliarie che supportano l’esercito libico di Haftar. In sintesi, il governo italiano si troverebbe a dover gestire una gravissima crisi umanitaria con poche possibilità di limitare le partenze dal territorio libico.
Dal punto di vista economico, l’aumento del livello di violenza del conflitto determinerebbe un calo della produzione di idrocarburi e la cessazione dell’attività in diversi impianti. La Libia rappresenta un mercato importante per ENI, che ha realizzato nel paese quasi il 17% della sua produzione di idrocarburi nel 2018 (302 barili di petrolio equivalenti su un totale di produzione di 1779). L’azienda, controllata di fatto dal ministero dell’Economia e delle finanze, ha la capacità di diversificare la sua produzione per attutire questa perdita, ma subirebbe comunque un grave contraccolpo. Un’eventuale vittoria militare di Haftar avrebbe tra le conseguenze che le forze politiche che si riconoscono nel generale libico avrebbero tutto l’interesse ad assegnare i nuovi contratti di esplorazione ed estrazione alle aziende energetiche dei loro principali sostenitori internazionali (in primis Egitto ed Emirati Arabi Uniti), a discapito di ENI. Per quanto riguarda i contratti petroliferi esistenti non ci sarebbero invece rischi nell’immediato, in quanto le attività di ENI sono regolate da contratti internazionali che hanno una durata compresa tra il 2038 e il 2043. Tali accordi non potrebbero essere rescissi dal futuro governo libico senza incorrere in gravi contenziosi giuridici, che si tradurrebbero con tutta probabilità in rimborsi onerosi a vantaggio di ENI.
Le opzioni per l’Italia: sostenere al-Serraj per negoziare con Haftar
Se l’obiettivo della tregua e della mediazione è perciò corretto, la strategia per ottenere tale scopo è apparsa fino a questo momento poco efficace. Un approccio più proficuo potrebbe essere quello di spingere Haftar a mantenere la tregua e sedersi al tavolo del negoziato attraverso una serie progressiva di quattro iniziative politiche, diplomatiche e militari per rafforzare al-Serraj. L’obiettivo dell’Italia dovrebbe quindi essere di bilanciare i rapporti di forza tra i due contendenti per arrivare ad un negoziato. In parole povere, mandare a Haftar il messaggio che una ripresa dei combattimenti avrebbe come conseguenza una serie di misure di sostegno crescente al governo di Tripoli da parte dell’Italia.
Una prima iniziativa potrebbe essere quella di rendere effettivo l’embargo sulle armi. La proposta di cui si discute in questi giorni è l’invio di una flotta militare di vari paesi dell’Unione di fronte alle coste libiche per verificare che le navi in arrivo nei porti libici non contengano armi. Non è chiaro se questa misura includerebbe anche lo spazio aereo libico. I paesi coinvolti in questa operazione potrebbero essere la Germania, la Spagna, il Regno Unito e, con maggiore difficoltà, la Francia. È evidente che tale blocco sarebbe facilmente aggirabile da entrambi i contendenti, in particolare Haftar, che controlla la maggior parte dei confini terrestri, ma tale iniziativa rappresenterebbe un primo passo per una presa di responsabilità dei paesi dell’Unione. Inoltre, si tratterebbe del primo tentativo di ridurre l’intensità del conflitto. Infine, l’operazione consentirebbe di dispiegare le truppe europee a pochi chilometri dalle coste libiche. In altre parole, sarebbe un messaggio ai sostenitori di Haftar, come Egitto ed Emirati, che il disinteresse europeo per la Libia è finito e i paesi dell’Unione sono pronti a fare la loro parte. Qualora l’embargo non bastasse a convincere Haftar, una seconda iniziativa potrebbe essere di lavorare in modo bilaterale con i paesi che sostengono il generale libico. La cornice sarebbe quella di una proposta diplomatica su su larga scala che includa i principali paesi della regione e discuta della questione libica in un’ottica più ampia di interessi condivisi, anche a livello energetico, nel Mediterraneo Orientale.
Se nemmeno tale iniziativa fermasse in generale, il terzo stadio della strategia di pressione crescente nei confronti di Haftar potrebbe essere quello di cercare un accordo diplomatico per la creazione di una forza di interposizione con alcuni paesi europei ed eventualmente la Turchia. Ottenere un consenso politico su questa decisione sarebbe complicato, ma non impossibile per il nostro paese. Inoltre, l’Italia potrebbe offrire il contingente più numeroso e chiedere agli altri paesi un impegno meno oneroso e sostegno politico all’iniziativa. Tale accordo tra un certo numero di paesi potrebbe bastare a convincere Haftar ad accettare una tregua e sedersi al tavolo delle trattative. Haftar si troverebbe, infatti, davanti ad una scelta obbligata: avanzare nonostante la possibile presenza di militari europei, con il rischio di perdere qualsiasi credibilità internazionale, oppure accettare un qualche compromesso sul futuro della Libia. Un successo dell’Italia in questo progetto avrebbe inoltre il merito di prevenire l’uccisione di molti cittadini libici e un ulteriore aggravamento dell’attuale crisi umanitaria. Qualora nemmeno l’accordo politico sulla creazione di una forza di interposizione bastasse a convincere Haftar a fermare l’avanzata e sedere al tavolo delle trattative, si potrebbe procedere all’ultima fase di questa strategia di pressione crescente e rafforzamento di al-Serraj: l’effettivo impiego della forza multinazionale di interposizione tra i due contendenti a seguito di una richiesta di al-Serraj. In tale scenario, la soluzione ottimale è di agire a seguito di una risoluzione delle Nazioni Unite. Tuttavia, c’è il rischio che la Russia, uno dei principali sostenitori di Haftar, si opponga a questa iniziativa. È però opportuno sottolineare che tale forza di interposizione sarebbe dispiegata a seguito di un cessate-il-fuoco che è già stato accettato da Haftar grazie all’impegno di Mosca ed è perciò possibile che i russi acconsentano a questa risoluzione in cambio di alcune garanzie politiche ed economiche. Un’altra possibilità per l’Italia potrebbe essere di portare avanti questa iniziativa in sede NATO o agire in Unione Europea per convincere i singoli paesi. Infine, è opportuno sottolineare che tutti questi quattro stadi della strategia italiana in Libia dovrebbero essere accompagnati da una proposta politica credibile per la fase successiva al conflitto, che si basi sulla distribuzione delle risorse tra gli attori locali e il coinvolgimento di alcuni leader di milizie nel processo politico, per essere efficaci.
Il ruolo dei paesi europei: cinque motivi per sostenere al-Serraj
Una prima motivazione per convincere gli altri stati europei a seguire l’Italia in una strategia di sostegno ad al-Serraj potrebbe essere il fatto che questi paesi guadagnerebbero un debito di riconoscenza nei confronti del governo libico, che si potrebbe tradurre in opportunità economiche nel settore degli idrocarburi e la ricostruzione del paese nei prossimi anni.
La seconda motivazione è relativa alla necessità di limitare i rischi per la sicurezza dei paesi europei dal punto di vista della possibile proliferazione di gruppi criminali e terroristi.
La terza motivazione è il rischio di abdicare a una qualche politica comune nel Mediterraneo a vantaggio della Turchia e della Russia. Tale scenario avrebbe conseguenze per quanto riguarda la gestione dei migranti e la politica di diversificazione degli approvvigionamenti energetici.
Il quarto motivo è il rischio di trovarsi comunque in una situazione di grave instabilità nei prossimi anni, in caso di vittoria di Haftar. Il generale libico ha 76 anni ed è riuscito ad aggregare forze molto diverse, dai nazionalisti ai salafiti madkhali fino ai nostalgici di Muammar Gheddafi, soprattutto grazie al suo carisma personale. È ipotizzabile che una sua uscita di scena dalla politica possa spaccare questo instabile fronte eterogeneo.
Il quinto motivo è che Haftar ha molti alleati non europei, ai quali dovrà ripagare il sostegno. Avrà perciò difficoltà a mantenere tutte le promesse che, presumibilmente, sono state fatte in questi anni. Quest’ultimo argomento può essere convincente anche per la Francia, che è il paese europeo più vicino al generale libico.
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell'ISPI