Nella caotica Libia degli ultimi due anni l’azione del generale rinnegato Khalifa Haftar contro le minacce dei fondamentalisti islamici che occupano parte della Cirenaica sembra offrire facili chiavi di lettura: finalmente i buoni si coalizzano contro i cattivi. Nessuna visione del problema Libia è più manichea e insieme più sconveniente di questa.
Non solamente perché Hiftar non è l’egiziano al-Sisi: non possiede lo stesso consenso interno né soprattutto ha le stesse forze alle spalle. Ma anche perché ciò sta dando l’ultima spinta verso la completa polarizzazione politica e militare del paese e obbliga in qualche misura tutte le forze a schierarsi nel campo degli islamisti o degli anti-islamisti riducendo al minimo le speranze di riconciliazione nazionale e rifondazione dello stato e schierando sui fronti opposti le milizie più numerose e meglio armate, in particolare quelle di Misurata contro quelle di “di Zintan”.
Fratellanza musulmana libica. Questa situazione ha soprattutto l’effetto di spingere il partito della Fratellanza musulmana, in coalizione con il raggruppamento di indipendenti islamisti, a radicalizzare le proprie posizioni. Nonostante molte ambiguità e “forzature istituzionali” per usare eufemismi, come il tentativo di nominare Amhed Mitig primo ministro in circostanze del tutto particolari e con la convocazione del parlamento fuori dalla sua sede, la Fratellanza ha sempre optato per la scelta di giocare all’interno del processo democratico e delle istituzioni.
La caduta di Morsi. Più ancora della legge sull’isolamento politico – che ha escluso dalla scena chiunque avesse avuto incarichi nel governo e nell’amministrazione del regime di Gheddafi, compresi i leader del partito Afn, uscito come prima forza dalle elezioni di due anni fa – è stata la caduta del governo di Mohammed Morsi in Egitto a costituire un elemento chiave del quadro politico libico. Il rovesciamento del Fratello egiziano ha fornito due messaggi contrastanti: ha disincentivato le forze più “laiche” al dialogo con la Fratellanza, mentre quest’ultima ha compreso che l’unica deterrenza utile contro un eventuale rovesciamento o repressione era un’alleanza tattica con le milizie islamiste.
Appeasement. Le recenti dichiarazioni da parte della Fratellanza, il partito più coeso al Congresso, non sono purtroppo uscite dall’ambiguità. Mentre un pesante giudizio di condanna è dato all’azione di Haftar vi è una modesta presa di posizione contro le forze radicali in Cirenaica, in particolare il gruppo jihadista Ansar al-Sharia. Di fatto l’azione del generale che accomuna Fratellanza e salafiti-jihadisti sfavorisce il compromesso politico all’interno del futura Camera dei Rappresentanti e consiglia ancora la prima di tenere una posizione di appeasement verso i gruppi terroristi.
Interessi occidentali. In realtà gli interessi occidentali dovrebbero essere opposti: tenere l’islam “moderato” all’interno di un processo di dialogo e isolare politicamente l’islam jihadista. Tuttavia la posizione di Stati Uniti ed Europa è già stata troppo equivoca verso Haftar. La strada più breve per un appoggio militare potrebbe già aver affascinato servizi di sicurezza occidentali che assisterebbero o perlomeno tollererebbero l’aiuto fornito da Egitto e paesi del Golfo. Una stabilità libica duratura può essere conseguita solo con il confronto politico e delle componenti locali e regionali. È una strada molto più impervia ma l’unica che non conduca a uno stato fallito o a una nuova dittatura. Appare alquanto surreale sentir parlare di uomo forte.
Pace forzata. Costringere i libici a mettersi tutti intorno a un tavolo è un’impresa disperata se gli stessi non lo desiderino. Un ruolo più incisivo delle Nazioni Unite sembra obbligato. Qualche settimana fa una lettera aperta della Commission on Libyan Crisis indirizzata al segretario generale dell’Onu cercava di riportare l’attenzione pubblica delle istituzioni internazionali. Quasi come risposta Unsmil ha avviato un primo tentativo di avvio di dialogo nazionale. Bisognerebbe insistere.
Crisi di legittimità. Le elezioni e un rinnovato parlamento possono – forse – offrire una nuova chance. Andrebbe interrotta la spirale della crisi di legittimità nella quale sono state trascinate le deboli istituzioni libiche. Le elezioni – con un sistema che premia gli indipendenti e cancella la quota dei partiti – potrebbero fornire il risultato di una Camera espressione di forze locali. Un primo passo politico potrebbe essere quello della revisione della legge sull’isolamento politico di cui si sono avvantaggiati gli islamisti e la Fratellanza a sfavore di chiunque avesse avuto un ruolo (politico o amministrativo) nel regime di Gheddafi nonostante, magari, abbia combattuto con i rivoltosi sin da subito. Questa revisione dovrebbe venire accompagnata da concessioni alle forze islamiche sia sulla Costituzione che sulla loro piena partecipazione politica. Poi si aprirebbe certamente il capitolo delle autonomie locali e regionali. L’unica via, certamente la più faticosa, non può che essere quella del compromesso tra le varie componenti politiche e localistiche del paese: un’arte che sinora non sembra purtroppo appartenere alle corde dei libici. La vicina Tunisia sembra invece offrire un vero modello.
Ruolo della comunità internazionale. Ma quale potere di deterrenza può avere la comunità internazionale? Difficile far leva su nuove sanzioni (blocco dei beni di esponenti libici? Blocco delle importazioni quando già sono ridotte al minimo e si aggrava la nostra dipendenza?). Per paradosso l’unica misura credibile sarebbe la minaccia di un intervento esterno, un’Europa in grado di giocare un vero “bluff” programmando un serio intervento di peackeeping e correndo il rischio di andare fino in fondo con l’opzione “boots on the ground” e, al contempo, di lasciare spazio all’unica via di dialogo politico, la convocazione di una conferenza o di un dialogo nazionale sotto un più deciso controllo esterno.
Ogni speranza va riposta? Nelle ultime settimane una UE sempre più imbarazzante ha ridotto al minimo il personale della propria missione nel paese per que-stioni di sicurezza. Quando il gioco si fa duro…