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Quattro ragioni

Libia: perché la tregua potrebbe reggere

Matteo Colombo
26 Agosto 2020

Ci sono almeno quattro ragioni per essere ottimisti sulla possibilità che il cessate-il-fuoco in Libia possa reggere per diverse settimane e consolidarsi in una tregua duratura. La prima è lo stallo militare degli ultimi mesi, la seconda è la fragilità di entrambi i contendenti dal punto di vista del consenso interno, la terza è l’attuale contesto internazionale, e la quarta è l’interesse dei protagonisti di questa fase politica a mantenere l’accordo. Tuttavia, un’eventuale tregua duratura potrebbe non essere seguita da un accordo politico complessivo per pacificare il paese, a causa della difficoltà delle attuali istituzioni di imporsi sui vari attori locali e delle divergenze tra le potenze internazionali sulla riunificazione e il futuro assetto politico della Libia.

La prima ragione di ottimismo è che né il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli né la Camera dei Rappresentanti (HoR) di Tobruk hanno la capacità militare per ottenere una vittoria totale. Da una parte è irrealistico pensare che nei prossimi mesi le forze fedeli al GNA riescano ad avanzare verso est fino al confine egiziano. Il motivo è che i gruppi armati che sostengono il governo di Tripoli non sono un esercito organizzato, ma una coalizione di milizie. Ne consegue che non hanno la forza necessaria per controllare un territorio senza la legittimazione dei gruppi armati locali e della popolazione, che beneficiano entrambi dell’attuale struttura di potere, politica, militare ed economica, Tobruk[1]. Allo stesso modo, le forze che supportano l’HoR sono una coalizione eterogenea di gruppi armati, inquadrati all’interno dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Dopo una avanzata di diversi mesi, che le aveva portate alla periferia di Tripoli, gran parte dei gruppi che compongono l’LNA si trova ora a circa 350 chilometri dalla capitale libica. La ritirata ha inferto un duro colpo militare e psicologico, dal quale sarà difficile riprendersi nei prossimi mesi, e questo rende molto difficile per l’LNA riprendere l’offensiva.

La seconda ragione di ottimismo è che l’attuale fragilità interna del GNA e dell’HoR spinge entrambe le elite governative a rispettare il cessate-il-fuoco per rafforzarsi internamente. Dopo il 2011 il potere libico si è frammentato, e ancora oggi le milizie, i sindaci e i gruppi economici possono opporsi alle decisioni politiche di Tripoli e Tobruk, senza che le autorità centrali abbiano la forza per intervenire. Tale debolezza si è aggravata con il blocco dell’estrazione di idrocarburi all’interno del territorio controllato dall’HoR, imposto da Haftar nel gennaio 2020. La decisione aveva l’obiettivo di indebolire il governo di Tripoli che, a differenza di Tobruk, è legittimato a vendere gli idrocarburi sul mercato internazionale e utilizza questa fonte di reddito per accrescere e consolidare il consenso. Se da una parte il blocco ha ridotto i proventi della vendita di idrocarburi per Tripoli di circa 8,7 miliardi di dollari, dall’altra tale decisione ha determinato un forte malcontento tra la popolazione libica, anche a causa dei frequenti blackout elettrici. Inoltre, le recenti proteste a Tripoli contro la classe dirigente, sia quella legata al GNA sia quella vicina alla HoR, segnalano un diffuso malcontento tra i cittadini libici, che mette a rischio la legittimità popolare di entrambi gli schieramenti. La scelta di riprendere l’estrazione energetica e la creazione di un fondo comune di GNA e HoR per gestire la futura rendita da idrocarburi nel mercato internazionale, circa il 95% del totale delle esportazioni nel 2014-2018, serve perciò a Tripoli e Torbuk per riguadagnare il consenso interno. Mantenere il cessate-il-fuoco consente ai due schieramenti di accrescere la loro popolarità in tre modi. Il primo è quello di rendere più soddisfatti i cittadini per quanto riguarda la fornitura di servizi, come scuole e ospedali, che necessitano di approvvigionamenti elettrici stabili. Il secondo è di aumentare gli stipendi pubblici attraverso la distribuzione dei proventi della rendita da idrocarburi. Il terzo è l’utilizzo dei fondi della vendita di petrolio e gas per guadagnare il consenso dei membri delle milizie, che potrebbero essere gradualmente inseriti in un nuovo apparato di sicurezza.

La terza ragione di ottimismo è l’attuale contesto internazionale. A differenza di alcuni mesi fa, Turchia ed Egitto non hanno interesse ad alzare il livello dello scontro. La Turchia, principale alleato del GNA, ha relazioni negative con i vari paesi della regione e sta attraversando una fase economica molto difficile. La scelta di Ankara di spingere le forze fedeli al governo di Tripoli ad avanzare verso est richiederebbe esosi investimenti militari e aggraverebbe le relazioni con i paesi della regione, in particolare l’Egitto. Inoltre, la Turchia ha ormai ottenuto due degli obiettivi della sua partecipazione al conflitto, ossia l’accordo di delimitazione delle Zone economiche esclusive e la probabile concessione all’utilizzo della base navale di Misurata. L’Egitto, principale sostenitore militare e politico dell’HoR, potrebbe accontentarsi di mantenere l’attuale linea del fronte per consentire alle forze fedeli a Tobruk di mantenere il controllo della mezzaluna petrolifera, dove si trova circa l’80% delle riserve di petrolio libico. Inoltre, Il Cairo vuole evitare di essere coinvolto in uno scontro dagli esiti incerti, che potrebbe aggravare ulteriormente le sue relazioni con la Turchia. Infine, un conflitto di lunga durata potrebbe costringere il governo egiziano all’impiego di unità dell’esercito di leva, con gravi ripercussioni sul sostegno interno. Questi due paesi si aggiungono ad una serie di potenze regionali e globali che già si sono spesi per una soluzione diplomatica del conflitto. Italia, Germania e Stati Uniti, paesi politicamente vicini al GNA o neutrali, vogliono la fine del conflitto in Libia per ragioni che variano da paese a paese. Tra queste c’è l’interesse a limitare l’instabilità nella regione, ridurre l’arrivo di migranti e rifugiati, e preservare i proventi economici dell’estrazione e vendita di idrocarburi. Il mantenimento del cessate-il-fuoco è ormai anche nell’interesse di Russia e Francia, due governi politicamente vicini all’HoR. Parigi vuole mantenere la sua influenza in Cirenaica, mentre Mosca vuole evitare che la questione libica abbia ripercussioni sulla sua relazione con Ankara, che è centrale nello scenario siriano. L’unico attore che potrebbe essere scontento dalla tregua sono gli Emirati Arabi Uniti, alleati del HoR, ma anche per Abu Dhabi la spartizione di fatto del paese consente di rafforzare i suoi interessi economici e infrastrutturali.

La quarta ragione di ottimismo è legata agli interessi politici dei protagonisti dell’attuale fase politica a preservare la tregua. Il presidente del consiglio di Tripoli, Fayez al-Serraj, e il presidente della camera dei rappresentanti di Tripoli, Aguila Saleh, hanno interesse a mantenere l’accordo per varie ragioni. Per quanto riguarda al-Serraj, la sua legittimità politica deriva più dal riconoscimento internazionale che da una forte legittimità popolare. Ne consegue che sarà molto difficile per il premier del governo di Tripoli distanziarsi dagli alleati della GNA. In altre parole, il futuro politico di al-Serraj è soprattutto legato a quello dei suoi sostenitori al di fuori della Libia e mantenere l’accordo è il modo migliore per garantirsi la sopravvivenza politica. Qualora il cessate-il-fuoco fallisse, infatti, il premier libico rischierebbe di essere messo in discussione da competitori politici interni favorevoli ad un approccio militare. Aguila Saleh ha un forte interesse a mantenere il cessate-il-fuoco per consolidare il suo ruolo di interlocutore principale delle cancellerie internazionali, presentandosi come il rappresentante di Tobruk che crede nel dialogo. Tale ruolo mette in secondo piano Haftar, ormai considerato dalle cancellerie internazionali come il fautore del fallito approccio militare.

Per quanto ci siano buone ragioni per sperare che la tregua regga, ciò non implica che si vada verso una soluzione politica della crisi libica, né tantomeno verso una riunificazione ed una effettiva pacificazione nei prossimi mesi. Oltre all’accordo sul cessate-il-fuoco e la ripresa dell’estrazione di petrolio, rimangono diverse divergenze tra i due contendenti. Come correttamente riassunto da Alessandro Scipione per Agenzia Nova, esistono vari punti sui quali c’è un forte disaccordo per quanto riguarda l’interpretazione del cessate-il-fuoco. In primo luogo, la data dello svolgimento delle elezioni, indicata da Serraj a marzo, e la creazione di un nuovo consiglio presidenziale a Sirte, sostenuto da Saleh. C’è anche un disaccordo tra i due contendenti sulle caratteristiche della zona cuscinetto tra le due linee del fronte: smilitarizzata per quanto riguarda al-Serraj, de-militarizzata e affidata a una forza di sicurezza libica per Saleh. Inoltre, l’accordo e la possibile soluzione politica al momento sono ancora legati alla sopravvivenza politica dei due contraenti, ma non esiste alcuna garanzia che non ci siano dei cambiamenti interni nei prossimi mesi. Inoltre, qualsiasi accordo che includa altri punti rispetto al cessate-il-fuoco e la distribuzione della rendita deve essere implementato nella realtà libica, che è caratterizzata da una forte debolezza di entrambi gli schieramenti. Nei prossimi mesi, ad esempio, è difficile che le due autorità centrali riescano a convincere le milizie a consegnare le armi per formare un esercito e delle forze di polizia unificate. A causa della debolezza dei due schieramenti, sarebbe impossibile per le autorità politiche di Tripoli e Tobruk resistere all’azione di alcune milizie dissidenti se non dovessero accettare la tregua. Tale rischio è particolarmente grave per l’HoR, a causa dell’importanza e del prestigio del generale Haftar, che potrebbe forzare la mano per riprendere un ruolo politico. Infine, il contesto internazionale è legato a fattori contingenti, come l’attuale crisi economica turca, ma potrebbe cambiare nei prossimi mesi. 

 

[1] Wolfram Lacher, Libya’s Fragmentation: Structure and Process in Violent Conflict. London: IB Tauris, 2020, p. 146

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AUTORI

Matteo Colombo
ISPI Associate Research Fellow e ECFR Pan-European Junior Fellow

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