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Daily focus

Libia: se salta la tregua

30 gennaio 2020

Navi turche nel porto di Tripoli. Botta e risposta tra Ankara e Parigi sul sostegno militare in violazione degli accordi di Berlino. E l'Italia boccia il protocollo d'intesa sul Mediterraneo Orientale. La tregua in Libia è già saltata?

 

“Abbiamo ricevuto rapporti sicuri che confermano che ieri nel porto di Tripoli sono state consegnate armi perforanti, così come armi e munizioni antiaeree e questo grazie alla protezione di navi da guerra turche". Ahmed Al Mismari, portavoce dell'esercito nazionale libico (Lna), denuncia la violazione della tregua da parte della Turchia. Il riferimento è alla fregata turca Gaziantep, che incrociava al largo della Libia: secondo Ankara per soccorrere dei migranti in mare, mentre per i media vicini al generale Khalifa Haftar trasportava personale militare, attrezzature e carri armati per schierarli al fianco delle forze del governo di Tripoli di Fayez al-Serraj. In realtà, il rappresentante delle milizie guidate dal generale Haftar riferisce quello che tutti sanno e che nessuno dice riguardo la situazione sul terreno: nel silenzio seguito alla Conferenza di Berlino, le parti in lotta ne approfittano per riarmarsi e potrebbero riprendere i combattimenti da un momento all’altro.

 

Botta e risposta?

 

A puntare il dito contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato anche il presidente francese Emmanuel Macron che, pur senza citare l’ultimo episodio, ha accusato Erdogan di “non mantenere la parola data”. “Negli ultimi giorni vediamo navi turche accompagnare mercenari siriani sul suolo libico. È un’esplicita violazione di ciò che il presidente Erdogan si era impegnato a fare nella Conferenza di Berlino”, ha tuonato il capo dell’Eliseo. Immediata la risposta di Ankara: “Non è un segreto per nessuno che la principale responsabile della crisi libica, iniziata nel 2011, sia la Francia. Come non è un segreto che questo paese offra un sostegno incondizionato al maresciallo Khalifa Haftar per garantirsi il diritto di controllo sulle risorse naturali della Libia” ha dichiarato il portavoce del ministero per gli Affari Esteri Hami Aksoy, aggiungendo che “se la Francia vuole contribuire all'attuazione delle decisioni prese alla conferenza [di Berlino], dovrebbe iniziare ponendo fine al suo sostegno a Haftar”. 

 

 

 

Gioco di sponda?

 

Nel muro contro muro sulla Libia, Ankara e Parigi giocano di sponda anche a sud del Sahara. Da un lato Emmanuel Macron lamenta l’effetto domino della crisi libica sul Sahel, dove circa 4500 militari francesi sono dispiegati per la missione Barkhane, e cerca di convincere i paesi della regione a sostenere Haftar. Dall’altro Erdogan – appena rientrato da un tour in Algeria, Gambia e Senegal – li spinge, in nome dell’unità islamica, ad appoggiare il suo tentativo di salvare il governo di Tripoli dall’uomo forte della Cirenaica, sostenuto invece da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, in prima linea contro la Fratellanza Musulmana. Se è indubbio che il conflitto libico abbia avuto pesanti ricadute sul Sahel e che in passato la proliferazione di armi abbia favorito la diffusione e il rafforzamento di gruppi jihadisti locali, l’Africa subsahariana ha sempre avuto poca voce in capitolo.

 

Cosa può fare l’Africa?

 

Anche per questo, oggi, l’Unione Africana (UA) si riunisce a Brazzaville, in Congo. All’incontro – che si tiene a due settimane dalla Conferenza di Berlino – saranno presenti proprio i protagonisti delle due parti in lotta: Haftar e al-Serraj. L'UA riuscirà laddove l’UE ha fallito? In pochi ci credono, ma l’incontro sarà una cartina di tornasole delle capacità della diplomazia africana di proporre soluzioni africane per la Libia.

 

E l’Italia?

 

Pur se “allarmata dal continuo flusso di armi in Libia”, uno sviluppo “contrario agli auspici della Conferenza di Berlino” come ha sottolineato il ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio, “l’Italia ritiene fondamentale l'impegno della Turchia in questa fase” e invita a lavorare insieme per restaurare il cessate-il-fuoco e rilanciare il dialogo politico. Nel tentativo di recuperare terreno con Ankara, ormai alleato di riferimento per il governo di Tripoli, Roma asseconda. Ma se politicamente le posizioni sono più vicine, più complessa è la questione economica. Al termine di un incontro con il ministro degli Esteri di Cipro, Nikos Christodoulides, la Farnesina ribadisce la sua piena solidarietà a Nicosia “sulle continue attività di trivellazione illegali della Turchia nel Mediterraneo orientale” e definisce “inaccettabile” il protocollo d'intesa firmato dalla Libia e dalla Turchia sulla delimitazione della piattaforma continentale, sottolineando che il documento “viola i diritti sovrani dei paesi terzi, [e che] non è conforme alla legge del mare e non può produrre conseguenze giuridiche per i paesi terzi”. 

 

 

 

Migrazioni: rinnovare il memorandum d’intesa?

 

Il prossimo 2 febbraio si rinnoverà, automaticamente, il memorandum d’intesa tra Italia e Libia per il contenimento dei flussi migratori. Nonostante le molteplici critiche sollevate, le promesse dell’esecutivo di modificare il testo e far chiudere i centri di detenzione non saranno mantenute. La perdita di peso specifico dell’Italia nello scenario libico trova nella questione dei migranti la sua prima conseguenza concreta. Non siamo più in grado di dettare condizioni, né di obbligare i leader delle due parti a sedersi al tavolo e rinegoziare. Rinnovare il memorandum significa continuare a finanziare la guardia costiera libica, accusata di collusione con i trafficanti, e condannare decine di migliaia di persone alla prigionia, a prendere le armi o ai lavori forzati lungo la linea del fronte. L’alternativa, al momento, è rivolgerci alla Turchia che dopo l’accordo del 2016 con l’UE per il contenimento dei profughi siriani, si troverà ora a gestire anche la porta d’accesso sud all’Europa.

 

Il commento

di Eugenio Dacrema, Associate research fellow area Mena, ISPI

“Turchia ed Emirati si confermano le due potenze più coinvolte nel conflitto libico. Entrambe hanno puntato tutto su un solo cavallo e quindi, in caso di fallimento, hanno tutto da perdere.

In Nord Africa, gli Emirati Arabi Uniti perseguono una politica interventista e pro-attiva mirata a creare situazioni di ‘gioco’ alternative. La strategia è quella del ‘filo di perle’, che parte dal Golfo, passa per i porti del Corno d’Africa e approda nel Mediterraneo. E che vede nella Libia una ‘perla’ pregiata e insostituibile”.

 

***

A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)

 

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